I disordini in Cile? Figli del castro-chavismo
Altro che spettro di Pinochet. Le manifestazioni violente che hanno prodotto fin qui 11 morti e oltre 1.500 arrestati sono legate al Partito Comunista. E si inseriscono nel solco di una più ampia regia di matrice castro-chavista che sta sconvolgendo altre regioni dell’America Latina, come la Colombia e l’Ecuador. E il dittatore venezuelano Maduro dice ai suoi che «il piano va avanti».
Il Cile è in stato d’emergenza. La cronaca degli ultimi giorni ci ha mostrato un Paese in preda a continui disordini. È stato imposto un coprifuoco notturno e i mezzi blindati hanno preso le strade di Santiago, dopo le massicce e violente manifestazioni che da venerdì scorso hanno fatto sprofondare il Cile nel caos. La scintilla è stata l’aumento del prezzo del biglietto della metro fino a 831 pesos cileni (circa un euro). Il bilancio: almeno 11 morti, oltre 1.500 arrestati e danni incalcolabili.
Il presidente Sebastián Piñera ha affermato che il Cile sta vivendo una “guerra” contro un “nemico potente e implacabile, che non rispetta nulla o nessuno”. Così ha descritto i gruppi violenti che hanno seminato il terrore nelle strade della capitale. Sono gli stessi gruppi che si sono proclamati in lotta contro la disuguaglianza e che, secondo il presidente del Partito Comunista Cileno, Guillermo Teillier, eseguono “azioni legittime di disobbedienza civile” per “l’incremento del costo della vita”.
“È tornato lo spettro di Pinochet!”, si è sentito dire in tanti telegiornali italiani. Senza dubbio un’affermazione molto riduttiva di chi non guarda al di là della superficie dei fatti. Non è solo il Cile in fiamme: l’intera regione latino-americana è sconvolta forse per l’azione di una regia di matrice castro-chavista che va avanti da qualche settimana colpendo anche la Colombia, con il ritorno alle armi delle Farc, e l’Ecuador, che ha sofferto 11 giorni di scioperi e violenti scontri contro le misure di austerity del presidente Lenin Moreno.
“Il piano va avanti, voi mi capite. Tutti gli obiettivi che abbiamo fissato nel Forum di San Paolo sono stati raggiunti. Stiamo andando molto meglio di quanto pensassimo”, ha detto domenica scorsa il dittatore venezuelano Nicolas Maduro durante il I Congresso Internazionale dei Movimenti Sociali a Caracas. Secondo lui la situazione è “il prodotto dell’unione dei movimenti sociali rivoluzionari di tutta l’America Latina, dei Caraibi e del mondo. Siamo rivitalizzati”, ha sottolineato con un sorriso, affermando che i partiti di sinistra di tutti i continenti dovrebbero continuare ad articolarsi per raggiungere gli scopi proposti in quella riunione realizzata a Caracas lo scorso mese di luglio.
Alla prova dei fatti, il numero due del regime, Diosdado Cabello, ha confessato di essere contento per “l’uragano bolivariano” che percorre la regione: “Ciò che sta accadendo in Perù, ciò che sta accadendo in Cile, ciò che sta accadendo in Argentina, ciò che sta accadendo in Honduras, in Ecuador, è solo la brezzolina. Quello che sta arrivando ora è l’uragano. È assolutamente impossibile che la Colombia rimanga così com’è, che il Brasile rimanga così com’è, non c’è verso. Questi paesi esploderanno!”, ha detto durante un comizio il leader chavista segnalato dalla DEA (Drug enforcement administration) per narcotraffico.
Infatti, l’uragano del mostro rosso rade al suolo l’America Latina, partendo dal Venezuela e trasformando la regione in una polveriera. Lo ha confermato il segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), Luis Almagro: “La brezzolina bolivariana, citata dal presidente dell’Assemblea Nazionale Costituente Bolivariana illegittima (Diosdado Cabello), ha portato destabilizzazione, violenza, traffico di droga, morte e corruzione. Il costo più elevato è stato pagato dal popolo venezuelano stesso, ma anche gli altri Paesi del continente stanno pagando un prezzo elevato per la crisi causata dalla dittatura venezuelana”, si legge nel comunicato pubblicato il 16 ottobre, in risposta a Diosdado Cabello.
E tutto ciò sotto la regia delle dittature venezuelane e cubane, “che cercano di riposizionarsi di nuovo, non attraverso un processo democratico, ma attraverso la loro vecchia metodologia di esportazione di polarizzazione e cattive pratiche, ma essenzialmente finanziando, sostenendo e promuovendo conflitti politici e sociali”, ha denunciato Almagro.
Il mostro non solo è rosso, è anche criminale. Si presume che i fondi per sostenere i gruppi violenti provengano del “Cartello dei Soli”, un’organizzazione venezuelana diretta da membri dell’alto comando militare delle forze armate del Venezuela che sarebbero implicati nel traffico internazionale di droga, secondo quanto si legge nel manifesto dei democratici del mondo sulla situazione in Ecuador, firmato il 21 ottobre da 185 leader democratici dell’America Latina e Spagna.
Però non è la prima volta che Maduro cerca di rovesciare un governo legittimamente costituito. È una verità lapalissiana, ricordata nel manifesto: “Nel 2009 ha partecipato attivamente come cancelliere di Chavez nel tentativo di ripristinare con la forza il dittatore Zelaya in Honduras. Nel 2012, ha arringato l’alto comando militare del Paraguay per promuovere un colpo di Stato. E meno di un mese fa, il governo di Iván Duque ha accusato Maduro di fronte all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di sostenere i gruppi narco-terroristi, come le FARC e l’ELN, per attaccare le istituzioni colombiane”.
Non si deve sottovalutare l’ondata di violenza che sta toccando la regione latino-americana. La mutazione latino-americana del mostro socialista rischia di portare l’intera regione nel baratro.