I cristiani perseguitati sfidano il male con la misericordia
«Del resto non lo vedete? Lo portava anche Mariam, la madre di Gesù...». A pochi giorni dal Natale un manifesto con l'immagine della Vergine Maria per le strade di Baghdad. Finalmente un segno di amicizia con la tribolata comunità caldea? No. L'immagine sta lì a dare forza a un “invito” rivolto alle donne cristiane affinché si decidano a indossare il velo. Segno di una violenza senza fine contro i cristiani.
A pochi giorni dal Natale un manifesto con l'immagine della Vergine Maria per le strade di Baghdad. Finalmente un segno di amicizia per ciò che resta della tribolata comunità caldea della capitale irachena? Purtroppo no. L'immagine sta lì a dare forza a un “invito” rivolto alle donne cristiane affinché si decidano una buona volta a indossare il velo. «Del resto non lo vedete? Lo portava anche Mariam, la madre di Gesù...». Non bastasse tutto il resto in questa vigilia dell'ennesimo Natale sofferente per i cristiani del Medio Oriente, sono rispuntati anche questi manifesti a Baghdad.
Erano già apparsi una prima volta in novembre in alcune zone della città; ma stavolta sui muri delle case dei quartieri di Zayouna, Ghadir e Karrada li hanno appesi proprio a pochi giorni dal Natale. Chi? La domanda è interessante perché dice quanto la violenza contro i cristiani del Medio Oriente sia un tema drammaticamente trasversale nella «guerra mondiale a pezzi». Perché Baghdad oggi è nella mani degli sciiti, gli alleati dell'Iran; che a loro volta sarebbero alleati della Russia di Vladimir Putin e non dell'Isis o degli altri gruppi islamisti sunniti.
Ma nel complicato gioco di alleanze qualche pezzo della trafila a Baghdad deve essersi perso per strada. Così dove in teoria dovrebbero essere sicuri arrivano altre minacce ai cristiani. «Quei manifesti sono probabilmente opera di milizie sciite», ha confermato da Baghdad il patriarca caldeo Louis Raphael Sako, interpellato dall'ong francese Fraternité in Irak . «Ed è un fatto molto inquietante per i cristiani della città vedersi minacciati nella propria libertà di vestirsi. In più il gruppo parlamentare “Lo Stato di diritto” (che è poi la forza politica sciita dell'ex premier iracheno Nouri al Maliki ndr) ha depositato un progetto di legge per vietare gli alcolici in Iraq, il che sarebbe una novità per il Paese. L'insieme di questi passi sta generando timori tra i cristiani e i membri delle altre minoranze».
Non va dimenticata la battaglia di poche settimane fa sull'articolo 26 della legge sulle carte di identità che avrebbe voluto introdurre tra le pieghe del provvedimento l'obbligo per i minori di convertirsi all'islam quando anche uno solo dei loro genitori diventa musulmano. Un provvedimento contro il quale i cristiani - guidati proprio dal patriarca Sako - erano scesi in piazza a Baghdad, ottenendo lo scorso 17 novembre lo stralcio dell'articolo. Ma anche quella battaglia non è affatto terminata. Ed è evidente che nella capitale irachena oggi c'è chi vuole approfittare della situazione per pugnalare alle spalle i cristiani e le altre minoranze, incassando così i dividendi del clima più favorevole agli sciiti nel contesto della lotta all'Isis e alle altre milizie fondamentaliste sunnite. Formazioni che da parte loro - al nord e in Siria - non mancano certo di fare la propria parte nella persecuzione contro i cristiani.
È dunque in questo clima sempre molto pesante che i cattolici dell'Iraq e della Siria hanno aperto il Giubileo della misericordia. Sfida paradossale di riconciliazione per una comunità che oggi o si trova in esilio oppure vive comunque una quotidianità fatta di prove di ogni genere. Eppure la misericordia i cristiani d'Oriente l'hanno inscritta in una maniera indelebile nella propria storia. A ricordarlo è stato lo stesso patriarca Sako nella lettera pastorale inviata alla sua comunità all'inizio dell'Anno Santo. La teologia caldea - scrive - «si fonda tutta sulla grazia, che è più grande del peccato». E il rito liturgico dei cristiani iracheni è un unico grande invito alla conversione dell'uomo peccatore, «un cambiamento», aggiunge ancora il presule, «che dona fiducia e ci rende capaci di riconciliarci con Dio e con i fratelli».
Ecco - allora - da dove nasce il coraggio necessario per aprire una Porta Santa anche in un campo profughi di Ankawa, il quartiere cristiano di Erbil. «Questa porta», ha raccontato alla Radio Vaticana padre Benham Benoka, sacerdote siro-cattolico di Mosul sfollato anche lui ad Erbil, «è come le porte del cuore di ogni cristiano: è aperta per avere uno scambio di pace con gli altri, per accettare gli altri malgrado i loro comportamenti verso i cristiani. Su un altro livello, però, ci deve essere anche la giustizia, giustizia che è l’unica condizione che può impedire il male dei malvagi».
Ed è lo stesso messaggio che arriva anche da Aleppo, l'altra Porta Santa simbolo delle sofferenze dei cristiani d'Oriente in questo inizio di Giubileo. «Nonostante Aleppo viva proprio in questi giorni momenti assai difficili a causa dei lanci di missili sulle abitazioni», hanno raccontato al sito Ora Pro Siria i Fratelli Maristi che vivono in questa città martire della Siria, «la celebrazione presieduta dal vicario apostolico Georges Abou Khazen nella chiesa di San Francesco d'Assisi ha dato una grande consolazione nei cuori. A tutti brillavano gli occhi, dai vescovi fino ai laici. La nostra festa è grande e così anche la gioia perché il nostro è un Padre misericordioso che elargisce il suo perdono a tutti».