I "corrotti prescritti", mostri immaginati dai manettari
Il governo rischia di cadere sul blocco della prescrizione, ma nel frattempo arrivano dati che sembrano dare torto ai giustizialisti. Per Eurispes, i reati di corruzione che si prescrivono sono meno dell’1% rispetto al totale. Renzi potrebbe rompere col governo votando assieme a Forza Italia.
Il governo rischia di cadere sul blocco della prescrizione, ma nel frattempo arrivano dati che sembrano dare torto ai giustizialisti, smaniosi di interrompere sine die i processi per assicurare sempre e comunque i colpevoli alla giustizia.
Il Rapporto Italia 2020 dell’Eurispes sfata, infatti, un luogo comune assai diffuso tra forcaioli e manettari: i reati di corruzione che si prescrivono sono meno dell’1% rispetto al totale dei processi definiti. C’è voluta una ricerca di un centro studi per ottenere un numero che smonta le argomentazioni dei sostenitori del blocco della prescrizione e corrobora quelle di chi richiama il tema della ragionevole durata dei processi.
Per anni l’Unione Camere penali ha chiesto al Ministero della Giustizia quel dato, ma inutilmente. Ora, invece, la cifra è ufficiale e risulta assai eloquente. Fa rientrare, infatti, quella presunta emergenza impunità sbandierata ai quattro venti dai giustizialisti, che vorrebbero affidare alle toghe le chiavi della libertà delle persone, tenendole perennemente sotto processo e privandole delle più elementari garanzie costituzionali.
Già il quotidiano Il Dubbio, nei giorni scorsi, aveva smascherato l’inganno, commentando il Rapporto Eurispes: "Si scopre che i reati di corruzione prescritti sono meno del 10% rispetto al totale delle declaratorie di prescrizione. E considerato che queste ultime rappresentano appena il 10% dei 'procedimenti arrivati a sentenza', vuol dire che i 'corrotti salvati dalla prescrizione', per dirla con i fautori della riforma Bonafede, rappresentano una quota insignificante. I 'colletti bianchi che sono riusciti a farla franca' perché il reato si è prescritto rappresenterebbero sì e no l’1% degli imputati destinatari di una qualche sentenza".
Tali cifre sono state ricavate dal monitoraggio di quasi 14mila processi in 32 sedi giudiziarie sparse per il territorio nazionale e dunque risultano rappresentative della realtà italiana. I processi che non arrivano a sentenza per intervenuta decorrenza dei termini riguardano soprattutto reati assai diffusi come furti, rapine, traffico di droga. Nel Rapporto Eurispes si legge che il primato della prescrizione spetta ai reati contro il patrimonio (25,1%).
Alla luce di tali rivelazioni, appare ragionevole l’atteggiamento di Italia Viva, che fa le barricate e minaccia addirittura di far cadere il governo qualora si ostinasse a far approvare la riforma Bonafede. Due giorni fa Movimento Cinque Stelle, Pd e Leu hanno trovato l’accordo sul blocco della prescrizione, che interverrebbe solo dopo due sentenze di condanna, in primo e in secondo grado. Visto che la riforma Bonafede (in vigore dal primo gennaio) blocca la prescrizione già dopo la sentenza di primo grado, qualora si volesse introdurre quella modifica bisognerebbe farlo con un provvedimento d’urgenza o col decreto Milleproroghe. Nell’ultima bozza di accordo, se il condannato in primo grado viene assolto nel processo d’appello, si riattiva la decorrenza della prescrizione con effetto retroattivo, come se fosse stato assolto anche in primo grado.
Ma i renziani ritengono comunque giustizialista l’impostazione degli alleati e si dicono pronti a votare la proposta di legge del forzista Enrico Costa, che abolisce la riforma Bonafede. Il braccio di ferro non sembra destinato a rientrare e gli scenari che si prospettano sono anche traumatici: si va dalle dimissioni del Guardasigilli all’uscita dei renziani dal governo, con conseguente appoggio esterno.
Una cosa è certa: al Senato senza i voti dei fedelissimi dell’ex premier ed ex sindaco di Firenze l’esecutivo non ha i numeri. E appare difficile che da Forza Italia possano arrivare aiuti, trattandosi di tema assai sensibile come quello della giustizia. Il disegno dei renziani è chiaro: schiacciare il Pd sulle tesi giustizialiste del Movimento Cinque Stelle e ritagliarsi il ruolo di forza moderata dentro la maggioranza, al fine di attrarre consensi dal mondo forzista e da quello dem. Il tutto senza far cadere il governo, perché in caso di elezioni anticipate Italia Viva non se la passerebbe affatto bene e rischierebbe di non eleggere un numero di parlamentari sufficiente per condizionare gli equilibri del prossimo Parlamento.