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LA STORIA SI RIPETE?

I "comitati di salute pubblica" sono tipici di ogni regime

Il comitato che sta governando l'Italia del Covid-19 è composto da persone totalmente estranee ai compiti loro assegnati. Per compredere cosa potrebbe accadere a chi usa il potere senza freni basta guardare la storia. Anche i governanti farebbero meglio a conoscerla, perché chi agisce restringendo le libertà alla fine l'ha sempre pagata cara.

Attualità 12_05_2020

Una mattina gli italiani si sono svegliati e hanno trovato il dittatore. Non si tratta di una parafrasi del celebre canto “Bella Ciao”, ma di ciò che sta accadendo nell’Italia al tempo della pandemia Covid-19.

D’un tratto gli italiani hanno scoperto che il loro Bel Paese è governato da un Direttorio. Sì, un vero e proprio Comitato di Salute Pubblica che in nome dell’emergenza sanitaria è riuscito a fare ciò che neppure il Duce durante il ventennio aveva osato: sequestrare tutti gli italiani in casa, sospendendo l’attività politica, la libertà di circolazione, la libertà di riunione, la libertà di associazione, e persino la libertà di culto. Altro che Patti Lateranensi! Persino Benito Mussolini, nell’al di là, starà arcuando le sopracciglia per lo stupore.

Tutto questo il Direttorio è riuscito ad ottenerlo grazie ad un virus, invisibile, microscopico, cento volte più piccolo di un globulo rosso. Mai microrganismo fu più provvidenziale di questo per garantire un potere incostituzionale. Il Comitato di Salute Pubblica procede a colpi di decreti del suo Presidente. Si tratta di atti amministrativi monocratici, privi di controllo preventivo e successivo, sottratti al vaglio del parlamento e alla verifica del Capo di Stato. Governare in questo modo è il sogno di qualunque tiranno che pretenda la patente di democratico.

Ma da chi è costituito il nostro Comitato? Qui le cose si fanno ancora più inquietanti. Le sorti del nostro Paese in uno dei momenti più drammatici della sua storia dopo la Seconda Guerra Mondiale sono, infatti, affidate alla cosiddetta “cabina di regia” della crisi pandemica. In cabina troviamo a dirigere un oscuro avvocato di provincia, tale Giuseppe Conte, che ha l’onore di non rappresentare nessuno, non avendo – a quanto risulta – mai ottenuto un voto in vita sua, e che pare non aver mai amministrato nulla prima d’ora, neppure il condominio del palazzo in cui vive. Segue il fido ed onnipresente portavoce ufficiale, Rocco Casalino, che annovera tra i propri titoli quello di aver partecipato al demenziale programma televisivo noto come “Grande Fratello”. Non proprio un master ad Harvard o ad Oxford. Lo affianca, sempre in cabina, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che proviene dal mondo dello sport: è stato infatti steward presso il San Paolo di Napoli. In italiano la definizione è “assistente di stadio”, una professione di tutto rispetto che si estrinseca in varie attività come, ad esempio, il presidio dei varchi di accesso, il filtraggio della tifoseria, la verifica del biglietto, l’accompagnamento al posto assegnato. Nella stessa cabina abbiamo anche un giovane ministro della salute, Roberto Speranza, laureato in Scienze Politiche, che sta alla medicina come un chirurgo sta alla letteratura sanscrita, e che non siamo proprio certi sappia cogliere a colpo d’occhio la differenza tra un batterio e un virus. C’è spazio, infine, per l’ultimo componente della cabina: il responsabile della Protezione Civile, il quale, per meriti di competenza, non poteva che essere un commercialista e revisore dei conti. Stiamo parlando del dott. Angelo Borrelli. Ora, è vero che i contabili nel nostro Paese hanno a che fare quotidianamente con un sistema fiscale totalmente dissestato ed una burocrazia amministrativa del tutto terremotata, però affidare loro la Protezione Civile della Nazione pare, invero, un po’ eccessivo.

Con tutto il rispetto dovuto, a me pare che la competenza del dott. Borrelli in materia di emergenza pandemica sia pari a quella del sottoscritto nel progettare un ponte. Ossia pari a zero. Qualcuno potrebbe obiettare che un Paese non deve necessariamente essere governato da tecnici. Questo è vero, però nel caso eccezionale di una pandemia mondiale forse a gestire l’emergenza sarebbe più opportuno mettere qualcuno che almeno mastichi la materia. Anche perché, il rischio che i politici, in questo caso, perdano il controllo è altissimo.

Il potere assoluto, privo di qualunque contrappeso, insindacabile, al di sopra di tutto e di tutti finisce sempre per inebriare. Ci si esalta, si perde il senso del limite e si cade inesorabilmente in una sorta di delirio di onnipotenza. Sì, un simile potere dà alla testa, al punto che poi si finisce per perderla. Anche nel senso letterale, come dimostra la Storia.

Osservando con una certa attenzione quello che sta accadendo nel nostro Paese, infatti, mi è venuto alla mente un altro celebre Comitato di Salute Pubblica. Mi riferisco, in particolare, a la Grand Comité de salut public istituito in Francia nel 1793. Quello che in nome della “salut public” finì piano piano per imporre un regime che assunse il nome evocativo di “Terrore”. È interessante notare che con il pretesto di una presunta minaccia d’invasione straniera, i membri del Comitato cominciarono a restringere sempre di più le libertà dei cittadini e a seminare paura. Una paura che alla fine si trasformò, appunto, in terrore. Fino a quando il popolo non ne poté più e si ribellò violentemente.

Non finì bene, infatti, per gli usurpatori del potere. Guardiamo, ad esempio, cosa accade alle figure principali del Comité. Il più importante, Massimiliano Robespierre, oscuro avvocato di provincia trovatosi per circostanze fortuite al centro della politica francese, finì ghigliottinato a furor di popolo il 28 luglio 1794, e il suo corpo venne gettato in una fossa comune del Cimitero degli Errancis. Stessa tragica fine per Georges Couthon, fedele amico di Robespierre, e per Louis Antoine de Saint-Just, il più colto del gruppo. Brutta fine anche per Marie-Jean Hérault de Séchelles, ghigliottinato nell’aprile del 1794, personaggio pittoresco e dalle particolari tendenze sessuali al punto che le cronache dell’epoca di lui dicevano che spesso fosse preda di “calori contro natura”.  Uno dei pochi a non perdere anche fisicamente la testa fu Jean-Marie Collot, un attore proiettato nel mondo della politica. Fu condannato alla deportazione e morì di febbre nella famigerata prigione della Caienna circa un anno dopo. E sì, il potere dispotico dei Comitati di Salute pubblica ha sempre portato male e i politici di ogni epoca dovrebbero saperlo, anche perché, come diceva il filosofo George Santayana, chi non conosce il passato è destinato a ripeterlo.