I collettivi, dopo la censura, ora impongono la linea alle università
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Il collettivo "occupa" il Senato accademico dell'Università di Torino. E questo vota secondo la loro linea: contro la collaborazione con gli atenei israeliani.
Le università italiane sono nelle mani dei collettivi studenteschi di estrema sinistra? La domanda è legittima, considerando quel che è accaduto martedì 19 marzo all’Università di Torino. Il Senato accademico ha votato compatto, con una sola docente contraria, per rfiutare ogni futuro legame con le università israeliane, dopo che due collettivi pro-palestinesi hanno fatto irruzione nelle stanze del rettorato, interrompendo il Senato e imponendo la loro agenda. Altri casi, nelle ultime settimane, stanno confermando questa tendenza.
Il Senato accademico dell’Università di Torino era riunito martedì mattina, quando l’aula del rettorato è stata occupata da due collettivi studenteschi di area neocomunista, Cambiare Rotta e Progetto Palestina, muniti di uno striscione con la scritta “Israeli Apartheid Week” (la settimana di sensibilizzazione sulla segregazione di cui viene accusata Israele) e bandiere palestinesi. Lungi dal chiamare la sicurezza, il rettore Stefano Geuna ha fatto accomodare i contestatori e ha ceduto la parola a una loro portavoce. Dopo aver subito le prediche dei ragazzi di estrema sinistra, gli accademici si sono ritirati in sede deliberante e hanno votato, compatti: contro Israele. Una sola voce contraria, quella della professoressa Susanna Terracini, docente di Matematica, ma tutti gli altri hanno votato la decisione di non partecipare al bando 2024 del Ministero degli Esteri per la raccolta di progetti di collaborazione tra le istituzioni di ricerca italiane e israeliane. Di fatto, l’università ha accettato l’agenda dei due collettivi occupanti.
I neo-comunisti cantano vittoria, giustamente dal loro punto di vista. «Una vittoria importante che proveremo ad ottenere anche negli altri atenei dei Paese per smontare pezzo a pezzo la complicità delle università italiane con l’entità sionista», si legge in un loro comunicato, in cui sparisce anche il nome di Israele e viene sostituito con “entità sionista”, la stessa definizione delegittimante usata dalla Repubblica Islamica dell’Iran.
Si tratta di un passo ulteriore di una battaglia dell’estrema sinistra iniziata subito dopo il massacro di israeliani compiuto da Hamas il 7 ottobre. Già il 9 novembre scorso, all’Università La Sapienza di Roma (la stessa i cui professori avevano negato la parola a papa Benedetto XVI, nel 2007), al termine di un’occupazione, i collettivi pro-palestinesi avevano dato fuoco alle copie cartacee delle intese con gli atenei israeliani, facendolo davanti al rettorato e durante una riunione del Senato accademico. Quando il Ministero degli Esteri ha pubblicato il bando per la collaborazione con le università israeliane, è subito iniziata una raccolta firme di docenti favorevoli al boicottaggio. Ben sessanta erano di professori dell’Università di Torino.
Questa tendenza è, appunto, ormai consolidata. Ci sono aule della Sapienza di Roma e di altre università ormai permanentemente occupate. I collettivi decidono chi può parlare chi no, se sei anche solamente sospetto di simpatie filo-israeliane, magari anche solo se sei ebreo, non puoi parlare. Esemplare il caso del giornalista David Parenzo, interrotto a male parole, l’8 marzo scorso, nelle aule dell’ateneo romano, durante un convegno organizzato da Azione Universitaria (dunque due volte nel mirino: perché “sionista” e perché invitato dai “fascisti”). Non si trattava di un convegno sulla guerra a Gaza, ma un incontro dal titolo “Ricambio generazionale: pronti, partenza, via!”, con ospiti i giornalisti Parenzo e Flavia Perina e Federico Rocca, consigliere comunale di FdI. Quando il conduttore di L’aria che tira e de La Zanzara ha preso la parola è stato zittito da un coro di: «sionista, razzista, strumentalizzi la causa delle donne per legittimare lo sterminio a Gaza, come hai già fatto per l’Afghanistan e l’Iraq, tu qui dentro non hai agibilità politica, non puoi parlare».
Appena un settimana dopo lo stesso trattamento è toccato a Maurizio Molinari, direttore de La Repubblica. Invitato a parlare all’Università Federico II di Napoli, in un convegno sul Mediterraneo, è stato letteralmente “cacciato” dai collettivi: convegno annullato per rischi legati all’ordine pubblico. Sotto lo striscione con la scritta “Fuori i sionisti dall’università!” i contestatori erano riusciti a entrare nella sede universitaria dopo qualche contatto con gli agenti in borghese. In quel caso era intervenuto il presidente Mattarella, con un messaggio di condanna all’intolleranza degli atenei. Ma se la censura imposta al direttore de La Repubblica, colonna portante della sinistra, fa scandalo e scatta la pubblica riprovazione, tanti altri episodi sono passati sotto silenzio.
Quanti siano, non lo sappiamo neppure. La presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, Noemi Di Segni, ha rivolto un appello alle autorità (pubblicato il 19 marzo su Il Foglio) in cui si chiede maggiore protezione, anche di polizia, per gli studenti ebrei esposti all’odio dei loro compagni di studio: «La situazione nelle università è talmente grave – scrive la Di Segni - che ci aspettiamo che si intervenga in maniera decisa per tutelare gli studenti ebrei. C’è bisogno di un presidio delle forze dell’ordine. Non si può più sottovalutare questo clima d’odio».
Né il problema si esaurisce all’odio antisionista. Anche una persona totalmente estranea al Medio Oriente, Daniele Capezzone, nell’ottobre del 2022 (all’indomani delle elezioni, dunque) era stato letteralmente assediato dai collettivi mentre parlava in un convegno sul capitalismo, sempre all’Università La Sapienza di Roma. Solo la scorta della polizia gli aveva permesso di entrare, parlare e uscire (vivo e sano). E allora ben pochi erano stati i messaggi di solidarietà da parte del mondo politico, tantomeno era intervenuto Mattarella. Il conflitto a Gaza è sicuramente un catalizzatore fortissimo dell’estremismo di sinistra. Ma i collettivi hanno l’obiettivo di prendere il potere nelle università, dettandone la linea, di qualunque cosa si parli. E quanti sono i loro complici, fra docenti e rettori?