I 7 capri espiatori dell'Orissa: libero un altro cristiano
Bijay Kumar Sanseth, il secondo dei “sette innocenti di Kandhamal”, è stato scarcerato, dopo 10 anni dietro le sbarre. I sette cristiani sono stati presi come capri espiatori, accusati dell'uccisione del leader religioso indù Swami Laxmanananda Saraswati, nel 2008, omicidio che scatenò il pogrom nell'Orissa, con oltre 100 cristiani uccisi.
Bijay Kumar Sanseth, il secondo dei “sette innocenti di Kandhamal”, il 27 luglio sera ha fatto i primi passi da uomo libero, fuori dalla prigione di Phulbani, nel distretto del Kandhamal, nello Stato indiano orientale dell’Orissa, dopo 10 anni dietro le sbarre per un crimine che non ha mai commesso.
“Sono sconvolto, ringrazio Dio. Non ho parole sufficienti per ringraziare tutti voi che avete perorato la mia causa e lavorato per la mia libertà”, ci ha detto Bijay al telefono, pochi minuti dopo che era uscito di prigione, mentre una decina di suoi famigliari, fra cui il fratello maggiore Salei Sanseth e il figlio Karniel lo attendevano.
Bijay e Gornath Chalanseth (scarcerato il 21 maggio) sono stati liberati su cauzione per decisione della Corte Suprema dell’India del 22 luglio, su appello contro il rigetto della loro richiesta di cauzione a cui era ricorso l’Alta Corte dell’Orissa nel dicembre 2018. Mentre la richiesta di libertà su cauzione di Gornath era stata inoltrata dalla Adf (Alliance Defending Freedom) dell’India, quella per Bijay era stata fatta dalla branca legale dell’arcidiocesi del Cuttack-Bubaneswar che include il Kandhamal, tramite lo Human Rights Law Network.
Bijay e Gornath, assieme ad altri cinque, Bhaskar Sunamajhi, Buddhadev Nayak, Durjo Sunamajhi, Sanatan Badamajhi e Munda Badamajhi (che ha problemi mentali) sono stati condannati all’ergastolo dopo tre gradi di giudizio nell’ottobre del 2013 per l’assassinio di Swami Laxmanananda Saraswati, nel Kandhamal, il 23 agosto 2008. L’uccisione di Swami Laxmanananda Saraswati nel suo luogo di meditazione a Chakkapad durante il festival induista del Janmashtami, è stata subito attribuita a una “cospirazione cristiana” dai nazionalisti indù. Hanno subito gridato vendetta e chiesto la messa al bando del cristianesimo nel Kandhamal. Nonostante i cristiani abbiano smentito le accuse e condannato il delitto, i nazionalisti indù hanno scatenato contro di loro un’orgia di violenza.
Con i nazionalisti indù che “mettevano al bando” il cristianesimo nel Kandhamal, migliaia di cristiani dovettero fuggire della giungla, abbandonando tutto, per fuggire dell’ignominia di esser costretti a rinunciare alla fede in rituali di conversione organizzati dai nazionalisti indù. Cristiani valorosi rifiutarono di rinnegare la fede anche sotto minaccia di morte. Circa 100 cristiani vennero martirizzati, mentre 300 chiese furono danneggiate, 6mila case di cristiani saccheggiate, lasciando 56mila persone senza tetto.
Il perverso piano dei nazionalisti indù prevedeva che una violenza organizzata contro i cristiani avrebbe indotto il Papa e il mondo cristiano a premere su Sonia Gandhi, che controllava il governo federale (essendo, di fatto, alla testa della coalizione di governo Upa) di far dimettere il governo dell’Orissa, in cui il partito nazionalista indù Bjp era un partner di coalizione. I nazionalisti indù godevano nell’etichettare Sonia Gandhi, vedova dell’ex premier Rajiv, come “figlia del Papa che vuole cristianizzare l’India”, a causa della sua origine italiana cattolica.
Quando i cristiani furono aggrediti, i nazionalisti indù iniziarono a dire in giro che la Gandhi, dietro pressioni del mondo cristiano guidato da Usa, Europa e dal Papa, voleva licenziare il governo dell’Orissa. Se la Gandhi lo avesse fatto, il Bjp avrebbe colto l’occasione per far campagna elettorale e sconfiggere l’Upa nelle elezioni del 2009. La cospirazione è stata ordita a Delhi dai vertici del nazionalismo indù che erano in possesso di un video in cui Swami si vantava di aver fermato un piano di conversione al cristianesimo della sua terra ordito anche dal Papa.
Il primo gruppo di sette “assassini cristiani”, quattro dei quali erano stati picchiati e gettati in commissariato dai nazionalisti indù come “prova della cospirazione cristiana”, è stato liberato dalla polizia dopo 40 giorni di indagini. Dopo di loro, un secondo gruppo di “assassini”, i sette innocenti, è stato arrestato in due occasioni successive, in ottobre e dicembre 2008, nella remota area di Kotagarh, coperta dalla giungla.
“Sono rimasto scioccato quando ho appreso dell’arresto di Bijay con l’accusa di aver ucciso Swami quattro mesi prima”, ci ha detto don Sebastian Thottankara, un prete missionario che era stato messo al sicuro dall’ardente cristiano Bijay (assieme a suore e bambini, in un centro cattolico) mentre dilagavano le violenze.
La richiesta di scarcerazione su cauzione dei cinque cristiani che rimangono in carcere, è ancora in esame presso la Corte Suprema, mentre l’appello contro l’incarcerazione dei sette è in esame presso l’Alta Corte dell’Odessa da cinque anni.
Il giornalista Anto Akkara sta promuovendo una campagna online dal marzo del 2016 per i sette innocenti del Kandhamal. Ogni firma online su questo sito genera automaticamente quattro email, indirizzate al procuratore capo dell’India, al presidente dell’India, all’Alta Corte dell’Orissa e alla Commissione Nazionale per i Diritti Umani. Il giornalista è autore di libri inchiesta sul Kandhamal, compreso Chi ha ucciso Swami Laxmanananda? Chiedendo giustizia per gli innocenti, il giornalista ha anche prodotto il documentario Innocenti in carcere in occasione del 10mo anniversario del massacro nel Kandhamal nell’agosto del 2018, visitabile sul sito. Il documentario è stato tradotto in Odia, Hindi e Malayam, così come il libro Chi ha ucciso Swami Laxmanananda?, linkato alla campagna di raccolta firme.