I 12 fuggitivi di Hong Kong "colpevoli" in Cina
Le proteste del 2019 a Hong Kong erano rivolte contro la nuova legge sull'estradizione, che avrebbe permesso al regime comunista di Pechino di processare anche cittadini honkonghesi. Ebbene i 12 manifestanti, che avevano provato a fuggire dall'enclave sono stati effettivamente incarcerati e processati in Cina
Dodici cittadini di Hong Kong, arrestati dalla Guardia Costiera cinese il 23 agosto scorso, sono stati processati nella città di Shenzhen, dal tribunale distrettuale di Yantian e si sono dichiarati colpevoli. Le accuse sono relativamente lievi nella Repubblica Popolare Cinese: attraversamento illegale di confine, tranne per due dei dodici, che sono minorenni e per altri due che sono accusati del più grave reato dell’organizzazione della violazione del confine. Ma al di là delle sentenze, attese per oggi, la questione è di rilevanza internazionale perché è un processo politico di cittadini di Hong Kong in un tribunale della Cina comunista. Esattamente quel che temevano gli honkonghesi scesi in piazza per tutto il 2019 (fra cui i 12 sotto processo).
Gli “Hong Kong 12”, come vengono chiamati nelle proteste di solidarietà nei loro confronti, sono tutti di età fra i 17 e i 33 anni. A Hong Kong erano accusati di aver partecipato alla sommossa studentesca del 2019, possesso illegale di armi (nel caso di Cheung Chun-fu, Cheung Ming-yu, Yim Man-him), possesso di materiale per bombe molotov (per Liu Tsz-man, Cheng Tsz-ho, Tang Kai-yin), incendio doloso durante le proteste (per Hoang Lam Phuc), fabbricazione di esplosivi (Wong Wai-yin) e ad Andy Li, arrestato assieme all’editore Jimmy Lai, viene contestato il reato di “collusione con forze straniere” punito sulla base della nuova Legge per la sicurezza nazionale, imposta da Pechino a Hong Kong. I dodici giovani, assieme alla trentatreenne, Quinn Moon, incensurata, hanno finto di andare in gita in un villaggio di pescatori, ma lì si sono imbarcati su un motoscafo, per un passaggio clandestino verso Taiwan. L’isola ha infatti promesso di dare rifugio ai perseguitati politici di Hong Kong, soprattutto dopo la promulgazione della nuova legge cinese. Ma dopo una cinquantina di chilometri di viaggio, il motoscafo è stato intercettato dalla guardia costiera cinese. E tutti e dodici i fuggitivi sono stati internati nella Cina continentale, a Shenzhen, la città costiera di fronte a Hong Kong.
Le famiglie sono state informate dell’arresto solo cinque giorni dopo. Hanno chiesto invano un loro trasferimento a Hong Kong, per un processo nelle più garantiste corti dell’enclave ex britannica. Le autorità comuniste hanno insistito a trattenere i dodici prigionieri sul continente. Unico loro segno di vita: lettere ai famigliari in cui esprimono il loro pentimento, sia per le proteste a cui hanno partecipato che per il tentativo di fuga. Andy Li ha scritto alla sorella, facendo autocritica per la sua partecipazione alle proteste e chiedendole di cessare le proteste. Beatrice Li, la sorella, si dice convinta che la lettera non sia genuina. Tutti i detenuti hanno affermato in pubblico di essere trattati bene. La realtà della loro prigionia a Shenzhen è tuttora sconosciuta, ma il processo che hanno subito negli scorsi due giorni, dopo quattro mesi di carcerazione preventiva, è tutto meno che equo.
I dodici arrestati non hanno potuto essere difesi dagli avvocati scelti dalle famiglie, a cui è stato negato l’ingresso in Cina. I loro famigliari stessi non hanno potuto assistere al processo. Teoricamente si trattava di un processo a porte aperte, ma l’invito a comparire è stato inoltrato alle famiglie solo 3 giorni prima, mentre il tempo necessario per la quarantena (per chiunque entri in Cina) è di 14 giorni. Funzionari del consolato britannico avrebbero voluto assistere al processo, ma anche a loro è stato negato il permesso. Tutti gli imputati, tranne i due ancora minorenni (per i quali è prevista un’udienza separata) si sono dichiarati colpevoli. E si accingono a fare autocritica in pubblico, alla televisione cinese. Dure le proteste internazionali. Gli Usa chiedono la loro scarcerazione, perché “la loro presunta colpa è solo quella di aver cercato di fuggire dalla tirannia”. Ad Hong Kong erano accusati di aver organizzato sommosse illegali e violente contro la legge per l’estradizione in Cina, per impedire che cittadini honkonghesi (che finora hanno goduto di piena autonomia, dunque anche di un sistema giudiziario separato e molto più garantista) finissero nelle carceri cinesi. Alla fine, nelle carceri cinesi ci sono finiti loro stessi. Quale miglior dimostrazione che i manifestanti avevano ragione?
Aggiornamento del 30 dicembre 2020: il tribunale distrettuale di Yantian ha condannato i dieci fuggitivi processati maggiorenni, con pene detentive che vanno da un minimo di sette mesi a un massimo di tre anni. Si tratta, appunto, di condanne lievi per un reato minore, quale l'attraversamento illegale del confine marittimo. Ad Hong Kong li attenderebbe un processo per la violazione della nuova Legge per la sicurezza nazionale e le pene che rischiano sono molto più severe. I due minorenni sono stati rimpatriati a Hong Kong per essere processati da un tribunale locale.