Hong Kong sempre peggio, perseguitati anche i dissidenti in esilio
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Una ricompensa in denaro per chi fornisce informazioni sui dissidenti in esilio, famigliari interrogati, arresti di chi raccoglie fondi per gli esuli e le loro associazioni. Hong Kong è ormai come il regime totalitario cinese.
Fino a tre anni fa, a Hong Kong si godeva di una piena libertà di espressione ed anche di una certa libertà politica, anche se non è mai stato un regime democratico. Oggi la città, colonia britannica fino al 1997, è a tutti gli effetti Cina. Non c’è più libertà di espressione e solo i politici locali espressamente voluti da Pechino possono essere eletti. La risposta della popolazione è stata un’emigrazione massiccia. E soprattutto quelli che erano gli attivisti anti-comunisti formano una nuova comunità di esiliati. Almeno all’estero ci si può esprimere liberamente contro Pechino senza subire censure? No. L’illusione è finita questo mese, con l’inizio di una vera e propria caccia all’esule, lanciata dal governo locale di Hong Kong (pro Pechino), con tanto di taglie e interrogatori dei famigliari rimasti in patria.
Il 3 luglio, con una conferenza stampa molto ben pubblicizzata dai media, la polizia di Hong Kong ha emesso una taglia di 1 milione di dollari honkonghesi (circa 118mila euro) per chiunque fornisca informazioni rilevanti su otto esuli. Fra questi vi sono due ex parlamentari, Ted Hui e Dennis Kwok, cinque attivisti, Nathan Law, Anna Kwok, Elmer Yuen, Mung Siu-tat e Finn Law e l’avvocato Kevin Yam. Stanno cercando di rifarsi una vita nel Regno Unito, in Canada, negli Usa e in Australia, ma nella loro città natale sono accusati di incitazione alla secessione (dalla Cina), sovversione e collusione con forze straniere, pene per cui è previsto anche l’ergastolo in base alla nuova Legge per la sicurezza nazionale.
Il capo della polizia, Steve Lee, ha spiegato ai giornalisti stranieri che la taglia “non è un modo per fare spettacolo”, ma è perfettamente conforme alla legge. Tuttavia, usando ben altri toni, il governatore John Lee ha definito gli esuli “topi di fogna” che “saranno braccati per tutta la vita” e devono essere evitati a tutti i costi.
I “topi di fogna” facevano normalmente politica, quando il regime di Pechino rispettava la piena autonomia di Hong Kong. Nathan Law, con Joshua Wong e Agnes Chow, nel 2016 aveva fondato il partito Demosisto. Gli stessi promotori lo avevano spontaneamente sciolto una volta che era entrata in vigore la Legge per la sicurezza nazionale. Ma non è bastato. Basta molto meno per ritrovarsi con una taglia sulla propria testa. Ted Hui, avvocato e politico d’opposizione, uno del gruppo degli otto ricercati, scriveva la settimana scorsa sul Wall Street Journal: “L'uso dei social media per sostenere la libertà e la democrazia a Hong Kong può essere considerato una sedizione. Incontrare politici e partecipare a udienze governative può essere considerato una collusione con forze straniere”.
I metodi per ottenere il rientro degli esuli sono analoghi a quelli del regime cinese: vengono usati i famigliari come ostaggi. L’11 luglio la polizia ha dato notizia dell’arresto, interrogatorio e rilascio di tre persone, due donne e un uomo, per crimini correlati alla sicurezza nazionale. La stampa locale ha poi rivelato che fossero famigliari di Nathan Law. Eppure, l’esule aveva formalmente troncato tutti i rapporti con la sua famiglia, attestandolo anche in una dichiarazione scritta nell’agosto del 2020, quando si era trasferito nel Regno Unito. Anche in questi giorni, ha ribadito: “Per quanto riguarda le recenti operazioni di polizia, dichiaro fermamente che le parti coinvolte non hanno alcun legame economico con me e che il mio lavoro non li riguarda nel modo più assoluto”.
Pressioni sui famigliari erano già state esercitate su un’altra attivista esule, Chung Ching Kwong, che ora vive in Germania (ex portavoce del gruppo di attivisti Internet, Keyboard Frontline). Per due volte la polizia ha interrogato suoi famigliari, l’anno scorso. Gli agenti hanno detto loro che avrebbero arrestato Chung Ching Kwong se fosse rientrata in patria.
Vengono colpiti anche i collaboratori indiretti degli esuli, chi raccoglie fondi e aiuti di altro tipo per loro e per le loro organizzazioni. Dall’inizio di luglio, cinque persone sono state arrestate, con l’accusa di aver raccolto denaro per sostenere attività sovversive all’estero. Per spiegare anche questo tipo di caccia all’esule, la parlamentare pro-Pechino Regina Ip, aveva dichiarato nei giorni scorsi: “Alcuni dei ricercati sono molto attivi nel Regno Unito. Organizzano tea party in aree dove vivono molti hongkonghesi. In apparenza si tratta di tea party in stile Hong Kong, ma in realtà sono progettati per fare il lavaggio del cervello e confondere i politici e incoraggiarli a condannare e sanzionare la Cina”.
Negli ultimi due anni, 144.500 persone hanno lasciato Hong Kong per il Regno Unito, la meta occidentale preferita dal dissenso, soprattutto per la politica di accoglienza promossa dal governo Johnson e proseguita dall’attuale governo Sunak. Ironizzando sulla campagna mediatica promossa da Hong Kong per attrarre nuovi investitori, Anne Marie Trevelyan, ministero degli Esteri britannica, ha dichiarato in Parlamento: “È difficile capire come possano risultare convincenti, se al tempo stesso perseguitano loro cittadini la cui unica colpa è di aver manifestato pacificamente in piazza per rivendicare i loro diritti”. La Travelyan ha rinnovato l’impegno per garantire a chi arriva da Hong Kong ed è dotato di passaporto britannico, un percorso privilegiato per ottenere la cittadinanza. Potenzialmente, sono fino a tre milioni di persone. “Accogliamo con favore il contributo che questa crescente diaspora dà alla vita nel Regno Unito”. Lo stesso Regno Unito che, però, non ha saputo far rispettare i patti sulla sua ex colonia. Perché l’aveva restituita alla Cina nel 1997 solo in cambio della sua piena autonomia fino al 2047.