Hong Kong in rivolta. E ora si teme un massacro
La proposta di legge sulla consegna dei criminali a Pechino pende come una spada di Damocle sulla popolazione di Hong Kong, visto che la Cina considera “criminali” anche chi critica il Partito comunista o chiede di professare la propria fede. In vista delle manifestazioni di domenica e lunedì, dopo i primi scontri tra polizia e manifestanti si teme un’escalation di tensioni. Rimasti in città, accanto alla gente, il cardinale Zen e il vescovo ausiliare Ha.
Che cosa sta succedendo a Hong Kong in questa inquieta prima parte dell’anno 2019? Sarebbe facile, forse, mettere la responsabilità sulle spalle della Cina senza però capire le ragioni profonde che portano allo stallo attuale.
La storia è nota: una donna viene uccisa a Taiwan dal suo fidanzato di Hong Kong, il quale riesce a fuggire nella sua città, in cui viene comunque arrestato per altri reati. A questo episodio si ispira il capo dell’esecutivo di Hong Kong, la cattolica Carrie Lam, per proporre una legge sull’estradizione che permetta la consegna di “criminali” non solo a Taiwan, ma anche a Macao e, soprattutto, alla Cina continentale. Non è difficile capire che questo fatto ha reso estremamente nervosa la popolazione di Hong Kong, che vede in questa legge una spada di Damocle perpetua sulla propria testa.
Non dimentichiamo che Hong Kong era ed è un rifugio per coloro che fuggivano e fuggono da persecuzioni di vario tipo nella Cina continentale. E ora? Che fine faranno? Se pensate che solo i criminali debbano preoccuparsi siete illusi. Infatti, bisognerebbe prima intendersi sul concetto di “criminale” in Cina, concetto in cui viene fatto rientrare chi critica il governo o il partito e i suoi leader o chi chiede di professare la propria religione indipendentemente dal controllo statale. Insomma, chi è al sicuro?
Le proteste sono sfociate in una marcia domenica 9 giugno, a cui hanno partecipato una marea di persone. Ho parlato con molta gente in questi giorni in cui mi trovo a Hong Kong e ancora non sono riuscito a trovare qualcuno favorevole a questa legge. Eppure il governo locale ci assicura di essere in possesso di un largo consenso.
Ma Carrie Lam, che ha pianto alcuni giorni fa in televisione durante un’intervista ricordando come il popolo di Hong Kong la accusa di aver svenduto la città, sembra ora di fronte a scelte difficili, in quanto la sua proposta di legge (ha assicurato che la Cina non le ha chiesto di introdurre questa legge sull’estradizione) ha portato la città sull’orlo della rivolta. Una rivolta dettata da condizioni sociali esasperate da un mercato immobiliare con prezzi inarrivabili, che rende precaria la vita di molte famiglie, nonché da una leadership che risponde a un governo centrale rispetto a cui il tipico cinese di Hong Kong si sente estraneo. Come qualcuno mi ha detto, a Hong Kong non ci sarà mai stata la democrazia, ma c’era la libertà. Il controllo soffocante che esiste nella Cina continentale fa certamente paura.
Domenica prossima e lunedì sono previste altre manifestazioni, e la presenza della polizia è molto più pervasiva in questi giorni. Già ci sono stati scontri fra manifestanti e polizia, ma si teme un possibile massacro, se la situazione dovesse peggiorare. Nella Chiesa cattolica ci sono alcuni che si schierano apertamente con la popolazione che protesta, ma in generale c’è prudenza, anche considerando che questa diocesi non ha vescovo da 6 mesi. Tra i più attivi al fianco dei manifestanti ci sono il cardinale Zen e il vescovo ausiliare Ha, che sono rimasti nella città per assistere spiritualmente e concretamente coloro che lottano per difendere i propri diritti e la propria dignità e per non vedere la città in cui è nato e vissuto divenire un luogo di instabilità e terrore.