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CINA

Hong Kong: arrestarne 53 per "educarne" milioni

Ad Hong Kong lo chiamano "terrore bianco": un periodo di intimidazione e persecuzione politica. 53 attivisti democratici arrestati in una sola mattinata, mercoledì. Sono stati tutti (tranne uno) rilasciati, ma l'intimidazione resta. L'accusa di sovversione è puramente politica, la loro unica colpa era quella di aver organizzato le elezioni primarie in luglio.

Esteri 09_01_2021
Hong Kong, attivisti democratici appena rilasciati

Ad Hong Kong lo chiamano “terrore bianco”, un periodo di intimidazione e persecuzione politica. E’ questo lo scenario descritto da chi è rimasto vittima dell’ultima grande retata della polizia: 53 attivisti democratici arrestati in una sola mattinata, mercoledì. Tutti tranne uno (Wu Chi-wai, presidente del partito Democratico) sono stati rilasciati dopo una notte di detenzione, ma sono ritornati a casa con la netta sensazione di essere in balia delle autorità.

Il motivo dell’arresto era “sovversione”, secondo la nuova Legge per la sicurezza nazionale, imposta a Hong Kong dal regime di Pechino. La loro colpa è quella di aver organizzato le elezioni primarie dell’opposizione democratica, lo scorso luglio, in vista delle prossime elezioni legislative, che non ci sono ancora state. La loro è un’attività assolutamente legale, secondo le norme di Hong Kong. Hanno esercitato il diritto di libertà di associazione e di assemblea, garantito finora dalla legge. La magistratura non ha formulato nei loro confronti alcuna imputazione formale. Wu Chi-wai è stato trattenuto in custodia cautelare perché non ha consegnato il suo passaporto, tutti gli altri sono stati liberati su cauzione. Eppure sono stati ugualmente arrestati, in un’operazione spettacolarizzata che ha visto entrare in azione più di mille agenti delle forze dell’ordine, in particolare la nuova polizia della sicurezza nazionale istituita a seguito dell’introduzione della nuova legge.

Ad essere arrestati nella retata di mercoledì scorso sono veterani dell’opposizione democratica, come James To, Lam Cheuk-ting, Claudio Mo e Benny Tai; membri del movimento giovanile di protesta, come Lester Shum, Gwyneth Ho, Tiffany Yuen e Jeffrey Andrews; 13 candidati alle primarie, i giuristi che avevano fornito consulenza per organizzare il voto ed anche un americano, l’avvocato per i diritti umani John Clancey. Le primarie erano state organizzate in luglio dall’Hong Kong Public Opinion Research Institute, un istituto demoscopico che è entrato anch’esso nel mirino delle autorità. Lo scopo era quello di selezionare i candidati per le elezioni legislative che si sarebbero dovute tenere a settembre. Alle primarie avevano partecipato oltre 600mila cittadini di Hong Kong, un’affluenza molto alta considerando il carattere informale dell’evento e l’intimidazione molto forte del governo. Pechino era andata su tutte le furie, accusando gli organizzatori di sovversione. A settembre le elezioni legislative vere e proprie erano state rimandate a data da destinarsi, ufficialmente a causa della pandemia di Covid-19.

Nessuno degli arrestati è associato a proteste violente o ad atti di teppismo. Sia per gli accademici che per gli avvocati, per gli studenti e per gli attivisti che si erano candidati a luglio, l’accusa di sovversione ha un significato puramente politico. Si sono opposti, con metodi pacifici e legali, alla volontà del governo locale guidato da Carrie Lam e soprattutto al regime di Pechino. Per ora nessuno degli arrestati rischia anni di carcere, ma il segnale lanciato dalle autorità di Hong Kong è molto forte. Di fatto ogni attività politica sgradita al Partito Comunista Cinese è vietata. Il fatto che sia stato arrestato anche un cittadino statunitense è la dimostrazione che il regime non si ferma neppure di fronte a Washington.

La sola introduzione della Legge per la sicurezza nazionale ha fatto da deterrente. Vero è che sia coincisa con l’epidemia di Covid-19, quindi molte manifestazioni sono state cancellate per motivi sanitari e non solo strettamente politici. Ma dall’estate scorsa in poi, nessuno ha più osato manifestare, organizzare attività di protesta, persino le interviste a giornali stranieri sono diventate più rare. Questa dimostrazione di forza, il primo arresto di massa di oppositori, avrà l’effetto di intimidire ancora di più la popolazione locale.

C’è anche da chiedersi: quando toccherà alla Chiesa di Hong Kong? Finora l’ex colonia britannica era l’unica oasi cinese di libertà di religione. Già nel corso delle manifestazioni del 2019, le chiese di Hong Kong non erano già più zona franca, al loro interno sono stati anche arrestati attivisti. La nuova legge punisce ogni contatto con “forze straniere” e fra queste rientra anche il Vaticano. Ci vuol poco, dunque, per considerare parrocchie, scuole e centri studi cattolici come “sovversivi” per intimidirli e reprimerli.