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OLOGRAMMI FENOMENALI

Hatsune Miku: star finta, successo vero

Milioni di fan giapponesi in delirio per una cantante virtuale. Ma è così diversa dalla spettacolarità artificiosa dei concerti veri?

Articoli tematici 20_07_2011
Miku

Ha 16 anni, è alta 158 centimetri, pesa circa 42 chili, ha capacità vocali assolutamente fuori dal comune, canta e balla al ritmo del pop giapponese, ha milioni di fan, attira ai suoi concerti dal vivo centinaia di migliaia di giovani, può vantare più di trentamila titoli di canzoni e video che la vedono protagonista. Fra i suoi maggiori successi internazionali, ci sono le canzoni pop “Last Night Good Night”, “World is Mine”, “Garden”, “Melt”, “Secret” ma quando si è cimentata nell’aria della Regina della notte dal “Flauto magico” di Mozart ha dimostrato anche eccellenti doti liriche e non ha trascurato di cimentarsi nel musical “Il fantasma dell’opera”. È da molti mesi un fenomeno consolidato nello star system del Sol levante e sta conquistando larghissime fette di appassionati in tutto il mondo.

Si chiama Hatsune Miku, nome d’arte che significa più o meno “Primo suono del futuro”, ed è famosa al punto da essere già comparsa su molte copertine della stampa più diffusa. Soltanto un piccolo particolare la rende decisamente diversa dalle altre dive della musica di massa: lei non esiste in carne e ossa. Hatsune Miku è una ragazza finta, visualizzata come ologramma animato attraverso le più moderne tecnologie virtuali.
Apparsa in scena nell’ormai lontana estate del 2007, Hatsune è il personaggio lanciato dalla Cripton Future Media per lanciare “Vocaloid 2”, un software con cui chiunque può produrre il suo disco senza bisogno di utilizzare la propria voce. A chi possiede questa tecnologia è sufficiente inserire nel computer note e parole della propria canzone per poterla vedere eseguita dalla diva in miniatura e dalla sua band. Vastissime sono le possibilità di modificare non il timbro della voce sintetica, ma anche il look dell’interprete virtuale e così il gioco è fatto.

Dalla pubblicità del nuovo programma, Hatsune Miku è presto uscita per vivere di vita propria – virtuale, s’intende – e la sua presenza sulla scena dei concerti l’ha presentata ai suoi moltissimi fan come qualsiasi altra star popolare. Quando si esibisce, la potenza degli effetti speciali la rende agli occhi del pubblico autentica come i componenti in carne e ossa della sua band; e poco importa che la sua voce, risultato della campionatura di quella dell’attrice e doppiatrice Saki Fujita,  scaturisca da un sintetizzatore vocale o che i suoi movimenti siano frutto di accurati calcoli digitali e non di allenamento o abilità fisica.

Desta curiosità e stupore il fatto che una star puramente virtuale, frutto di avanzate applicazioni tecnologiche, possa riscuotere un successo pari a quello ottenuto da Shakira, Katy Perry e Lady Gaga, tanto per citare le cantanti più in voga del momento fra i teenager. Ma, in fondo, non sono forse del tutto artificiali i trucchi scenici delle cantanti in carne e ossa? E chi ci garantisce che le voci di queste ultime non siano anch’esse frutto di abili manipolazioni elettroniche capaci di renderle suadenti, accattivanti, perfettamente intonate ed estremamente “fashion” alle orecchie del pubblico?

Viviamo in un’epoca in cui i confini fra mondo reale e mondo virtuale tendono sempre più a confondersi e sovrapporsi. I classici cartoon bidimensionali sono stati da tempo soppiantati dalle animazioni in 3D che rendono i personaggi sempre più simili agli individui in carne e ossa; in parallelo, il ricorso alle tecnologie elettroniche è largamente diffuso nella realizzazione dei film, in cui ambienti, scenografie e addirittura alcuni personaggi sono completamente creati al computer.

L’elemento che suona più strano nel caso di Hatsune Miku è il trasporto con cui i fan seguono i suoi concerti live, ma a livello di percezione visiva e auditiva non cambia nulla rispetto alla spettacolarità artificiale di cui si avvalgono le star di maggior successo. In ogni caso, è la tecnologia a scandire tempi, ritmi e modi dell’esibizione. Certo, i cantanti in carne e ossa possono sbagliare mentre la precisione di Hatsune è garantita dalle applicazioni digitali, ma per tutto il resto cambia poco.

Lasciando a sociologi, tecnologi e psicologi (eventualmente anche psichiatri) le ipotesi relative alle ragioni di una così forte  presa del fenomeno sulle masse, è difficile pensare che i milioni e milioni di fan stregati da questo ologramma “made in Japan” possano dimenticare che si tratta di pura finzione scenica. Più probabilmente, ciò che conta per loro è assistere a uno spettacolo coinvolgente e appassionante. E non fa niente se sul palco di esibisce un fantasma in 3D, l’importante è divertirsi a suon di musica e immagini a effetto.