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La guerra a Gaza

Hamas-Israele, firmata la tregua. I vescovi esortano alla speranza

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I delegati di Israele e Hamas hanno firmato nella notte l'intesa sulla tregua e lo scambio di prigionieri, che era stata in bilico per tutta la giornata di ieri, dopo gli avvertimenti dell'estrema destra israeliana a Netanyahu. Intanto gli ordinari cattolici della Terra Santa avevano lanciato un appello alla speranza e alla riconciliazione.

Esteri 17_01_2025
Attivisti israeliani contrari ad accordo su tregua, 16/01/2025 (Ap/LaPresse)

AGGIORNAMENTO, 8.30: I rappresentanti di Israele e Hamas - con la mediazione di Stati Uniti e Qatar - hanno firmato a Doha l'accordo per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e il rilascio degli ostaggi israeliani e di prigionieri palestinesi. L'ufficio di Netanyahu ha comunicato nella notte il raggiungimento dell'accordo stesso.

Di seguito i passi che hanno preceduto la firma dell'intesa, che ieri, a un certo punto, sembrava sul punto di saltare. E l'appello alla speranza dei vescovi cattolici.

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Sembrava un sogno destinato a rimanere dentro ad un cassetto. Una tregua annunziata, che non sarebbe andata a buon fine. Da una parte, Benjamin Netanyahu che dichiara che il gruppo terroristico di Hamas ha modificato l'accordo, dall’altra Hamas che sostiene che non è stato cambiato nulla di quanto concordato. Accuse e controaccuse. Ma la realtà è un'altra: il governo Netanyahu è in crisi. Il ministro dell'estrema destra, responsabile della Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, ha minacciato di abbandonare il governo se l'accordo annunciato verrà approvato, mentre si vocifera che anche il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, stia considerando una mossa simile. Smotrich, infatti, ha chiesto garanzie scritte, ovvero che dopo la conclusione della prima fase dell'accordo Netanyahu riprenda immediatamente i bombardamenti sulla Striscia. «Penso che ci siano alte probabilità di un nostro abbandono del governo», ha affermato il parlamentare del partito sionista religioso, Tzvi Sukkot. Ma se Ben Gvir e Smotrich abbandoneranno l’esecutivo, il leader dell'opposizione, Yair Lapid, sarebbe pronto a sostenere il governo per il cessate il fuoco.

Nonostante le profonde divergenze tra i componenti dell’esecutivo, pare che Netanyahu sia riuscito a trovare un accordo all’interno della coalizione, anche se gli scenari cambiano di ora in ora. L’intesa doveva essere ratificata oggi dal governo israeliano, ma probabilmente il primo ministro rinvierà il tutto a domani sera, sabato, a dimostrazione che l’attuazione dell'accordo potrebbe non iniziare prima di lunedì. Hamas, invece, era disponibile a sottoscrivere, ieri notte, giovedì, il patto per il cessate il fuoco.

Mentre i componenti del governo israeliano discutono aspramente, a Gaza si continua a morire. Sono 81 le vittime dell’ultima incursione aerea. L’attacco è avvenuto dopo l'annuncio dell’intesa del cessate il fuoco. Secondo un esponente delle Brigate al Qassan, durante il bombardamento, sarebbe morta anche una prigioniera che rientrava nell’elenco degli ostaggi prossimi ad essere liberati.

Netanyahu è tra l’incudine e il martello: da un lato, il presidente eletto Donald Trump, che ha dato per primo l’annuncio dell’accordo, dall'altro la destra messianica radicale dei coloni che gli garantisce la maggioranza. Ma a mettere sotto accusa il primo ministro, senza alcuna giustificazione, è il Forum delle famiglie: «Né Hamas, né Ben-Gvir, ma Benjamin Netanyahu sarà responsabile di qualsiasi ulteriore ostacolo al ritorno degli ostaggi – si legge in un comunicato –. L'accordo deve iniziare immediatamente in tutte le sue fasi».

Suonano in qualche modo stonate, in questo contesto, le parole tratte dal libro del profeta Isaia: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace» (Is 52,7) con cui gli ordinari cattolici della Terra Santa hanno accolto l'annuncio del cessate il fuoco a Gaza e il proposito di mettere la parola fine al conflitto, alla liberazione degli ostaggi israeliani detenuti nella Striscia e alla liberazione dei prigionieri palestinesi reclusi nelle carceri israeliane.

Nel momento in cui scriviamo, secondo i dati diffusi dal Ministero della Sanità di Gaza, il conflitto ha causato 46.788 morti e 110.453 feriti. Per Israele e Hamas è giunto ora il momento di far tacere le armi, come auspica il documento sottoscritto – quando la tregua sembrava cosa fatta – dai vescovi latini, melchiti, maroniti, siriani, armeni, caldei e dal Custode di Terra Santa: «Speriamo che questo cessate il fuoco segni in modo importante la fine della violenza che ha causato sofferenze incalcolabili. Si tratta di un passo necessario per fermare la distruzione e soddisfare i più urgenti bisogni umanitari delle innumerevoli famiglie colpite dal conflitto».

È stato un lavoro lungo ed estenuante quello fatto dai mediatori di Stati Uniti, Qatar ed Egitto. Un percorso accidentato, ostacolato da veti incrociati, da temporanee sconfitte, ma anche dalla caparbietà di non cedere all’ostinazione bellicosa delle parti in causa. Una vera e propria corsa contro il tempo ha caratterizzato le ultime trattative, visto che sul campo la situazione stava peggiorando giorno dopo giorno. A Doha la diplomazia ha vinto, nonostante le brusche frenate e le accuse reciproche.

Apparentemente sia gli israeliani che il gruppo di Hamas, fino a mercoledì scorso, hanno fatto di tutto per non far trapelare la notizia che l'accordo era stato raggiunto. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, parlava di alcuni dettagli che dovevano essere ancora discussi e limati; mentre il portavoce di Hamas ribadiva che le proposte del gruppo non dovevano più subire delle modifiche. A spazzare via i dubbi ci ha pensato Trump, che attraverso il suo social network ha annunciato la firma dell'accordo per il cessate il fuoco.

«Siamo consapevoli che il cessate il fuoco non significa la fine del conflitto. È quindi necessario affrontare alle radici, in modo serio e credibile, le questioni profonde che stanno all'origine di questo conflitto da troppo tempo», si legge ancora nel documento dei vescovi della Terra Santa.

Insomma, una tregua a lungo annunciata, ma rinviata e spesso ostacolata. Un cessate il fuoco che apre speranze di pace. «Una pace autentica e duratura può essere raggiunta solo attraverso una soluzione giusta che affronti le cause originali di questo prolungato scontro. Ciò richiede un lungo processo, la volontà di riconoscere reciprocamente la sofferenza l’uno dell'altro e un'educazione mirata alla fiducia che porti al superamento della paura dell'altro e della giustificazione della violenza come strumento politico», dicono ancora i vescovi.

A Gaza, intanto, si è festeggiato; hanno fatto festa anche gli israeliani per i loro 33 ostaggi che saranno restituiti, in questa prima fase, alle loro famiglie. «Speriamo sinceramente che questo cessate il fuoco segni l'inizio di un nuovo cammino verso la riconciliazione, la giustizia e una pace sostenibile. Che questo sia il primo passo di un cammino che promuova la guarigione e l'unità tra tutti coloro che vivono in Terra Santa», sottolineano i vescovi.

Ma sarà vera pace? Probabilmente lo diventerà. Per ora, quella che dovrebbe iniziare domenica prossima, è solamente un’interruzione del conflitto con un futuro molto incerto. Il governo Netanyahu, come detto, è diviso al suo interno. Lo stesso primo ministro non è soddisfatto. Il suo obiettivo finale, tra l’altro più volte dichiarato, è quello di annientare totalmente il gruppo terroristico di Hamas. Ma non può non considerare che la strage perpetrata a Gaza, in questi 15 mesi di orrenda guerra, alimenterà nuovi sostegni alle ideologie più estreme. Hamas, come tutti i gruppi terroristici, non sarà distrutto con le armi, ma con il dialogo, come dicono gli ordinari cattolici: «Nonostante il dolore che abbiamo sofferto, continuiamo a guardare al futuro con incrollabile speranza. Possa questo cessate il fuoco ispirare nuovi sforzi per il dialogo, la comprensione reciproca e una pace duratura per tutti. All'inizio dell'Anno Giubilare, dedicato alla speranza che non delude, leggiamo in questo evento un segno che ci ricorda la fedeltà di Dio».

I vescovi della Terra Santa concludono il loro documento con un invito e una speranza: «Chiediamo ai leader politici e alla comunità internazionale di sviluppare per il dopoguerra una visione politica chiara e giusta. Un futuro costruito sulla dignità, la sicurezza e la libertà per tutti i popoli è un prerequisito per una pace vera e duratura. Esortiamo tutte le parti ad implementare i passi immediati già concordati e a negoziare in buona fede le fasi future dell'accordo».