Hamas è il peggior nemico dei palestinesi
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La carneficina del 7 ottobre è una barbarie che va ben oltre il conflitto israelo-palestinese, non trova alcuna giustificazione e minaccia tutto l'Occidente. Hamas ha anche calcolato la reazione di Israele che, però, ora dovrebbe avere il coraggio di evitare la vendetta sul popolo palestinese.
Più i giorni passano più il confronto Israele-Palestina si radicalizza anche da noi, sui social e nei talk show televisivi. Sul web le ricostruzioni della storia del conflitto e della nascita dello Stato d’Israele (perlopiù in chiave pro-Palestinesi) si moltiplicano: mai sospettato che l’Italia fosse anche un paese di storici. Non aggiungeremo qui l’ennesima storia del conflitto, anche se nei prossimi giorni sarà opportuno almeno chiarire la ridicolaggine e la pericolosità di certi luoghi comuni che vengono continuamente ripetuti.
Qui vorremmo soprattutto riportare l’attenzione a quanto avvenuto il 7 ottobre e che prescinde dall’ormai cronico conflitto israelo-palestinese. Sì, perché la carneficina compiuta dai miliziani di Hamas non può essere considerata solo l’ennesimo capitolo della guerra, è un fatto radicalmente nuovo, sia per le dimensioni sia per la natura. È vero, gli attacchi terroristici sono una costante della cosiddetta resistenza palestinese: sono stati compiuti dall’OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina) di Yasser Arafat e quando questi ha accettato il negoziato politico, sono stati ereditati da Hamas e dalla Jihad islamica. Ma la carneficina del 7 ottobre è molto più di un attentato: non è una bomba lasciata su un autobus e poi fatta esplodere, o un kamikaze che aziona una cintura esplosiva che indossa a un check-point o tra la gente seduta a un bar. Azioni comunque censurabili ma che si consumano in un istante, senza che l’attentatore abbia neanche la possibilità di guardare in faccia le sue vittime.
Quanto avvenuto due settimane fa è tutt’altra cosa: migliaia di terroristi che hanno invaso il territorio israeliano e hanno massacrato centinaia e centinaia di civili inermi (1.400 morti è il bilancio ufficiale sin qui) setacciando le singole case per non lasciare indietro nessuno, godendo nel vedere il terrore nei loro occhi, accanendosi sui feriti e anche sui morti in un’orgia di violenza senza pari. Abbiamo potuto vedere diversi filmati, fatti dagli stessi miliziani di Hamas, che per la crudezza delle immagini non possiamo riproporre ma che testimoniano a che profondità può arrivare l’abisso umano, un odio così profondo e radicato che può far disperare della possibilità di un cambiamento. Un odio che non è di un piccolo gruppetto di terroristi invasati ma di un esercito intero e, probabilmente, ben oltre l’esercito.
Non c’è rivendicazione politica o militare che possa giustificare un’azione del genere, non c’è ingiustizia subita che dia un senso a tanta barbarie. A cui va aggiunto il dramma degli ostaggi, circa 200: bambini, ragazze, anziani, di cui abbiamo potuto vedere per alcuni il momento della cattura. E soprattutto i video rilasciati dagli stessi assassini, per creare maggiore terrore. Il fatto nuovo è l’ostentazione della violenza perpetrata, il giubilo davanti al terrore seminato, i festeggiamenti davanti ai corpi straziati. Nelle guerre, chi commette i crimini, pur compiendoli consapevolmente, cerca di nasconderli, sa che comunque sono considerati da tutti un male, sa che sta trasgredendo una norma universalmente riconosciuta e che mostrarli farebbe perdere consenso.
Qui invece abbiamo il rovesciamento, le atrocità vengono esibite, proprio perché non è un semplice atto di guerra, per quanto crudele, ma desiderio di annientamento. E con la consapevolezza che tanti altri – in ogni parte del mondo – gioiranno per questa violenza e magari si uniranno a questa barbarie là dove sono.
Non rendersi conto di questa radicale diversità e del livello di ingiustificabile barbarie raggiunta significa essere ciechi e preparare altre tragedie simili. Anche perché anche in Europa, come abbiamo già visto, ci sono altre cellule islamiste pronte ad agire.
Il conflitto israelo-palestinese è solo il pretesto per scatenare la violenza. Ha ben ragione il cardinale Pierbattista Pizzaballa a dire che se non si trova una soluzione vera alla questione palestinese, non ci sarà mai pace in Terra Santa. Ma oggi la situazione è ancora peggiore perché Hamas non vuole alcuna soluzione che non sia l’annientamento dello Stato israeliano e di ogni ebreo che vive in Terra Santa. Hamas non vuole alcuna soluzione che preveda l’esistenza di Israele e per questo ha scatenato tanta ferocia nel momento in cui anche l’Arabia Saudita, dopo altri Paesi arabi, stava normalizzando le relazioni con lo Stato ebraico.
Di fatto per il popolo palestinese Hamas è un nemico ben peggiore di Israele. E lo dimostra anche il fatto che nel concepire la carneficina del 7 ottobre, Hamas contava proprio sulla vendetta di Israele, funzionale al disegno di far saltare tutto il Medio Oriente per poter alla fine affermare la sua legge. La morte di tanti civili palestinesi è musica per le orecchie dei terroristi di Hamas, che hanno sempre usato i civili come scudi umani, perché sanno che tanti morti palestinesi significano maggiore sostegno alla loro causa. Non per niente stanno impedendo che i civili evacuino le aree che Israele ha annunciato di voler bombardare.
Sta proprio qui oggi la sfida più grande per Israele, rinunciare alla legge dell’occhio per occhio, dente per dente: sconfiggere Hamas senza sterminare i civili palestinesi, fermare questa spirale infinita di violenza che rischia seriamente un allargamento tragico della guerra. In fondo, la vera vittoria di Hamas sarebbe proprio questa, la guerra generalizzata.
Non è un compito facile: Israele dovrebbe certo cambiare il suo approccio politico-militare, che a volte rende difficile la solidarietà internazionale; dovrebbe convincere il mondo che Hamas non è un problema solo per la sicurezza di Israele, visto che i Fratelli Musulmani (di cui Hamas è una branca) sono attivi in altri Paesi arabi e anche in Europa e Occidente in generale; e dovrebbe individuare una soluzione per Gaza che non sia l’occupazione militare, pur prevedendo l’eliminazione della presenza di Hamas.
Tutte cose non scontate e che richiedono che altri Paesi diventino protagonisti di un percorso che raffreddi le tensioni e cerchi di risolvere i problemi escludendo l’opzione guerra. E certo sarà impossibile un passo in questa direzione se prima non viene risolta la situazione degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas.
Ma si deve sperare contro ogni speranza e la preghiera a cui ci ha chiamati il cardinale Pizzaballa e anche il Papa è una potente arma da sfoderare, per quanto possa sembrare illusorio, perché è anzitutto il nostro cuore che deve cambiare. E basta dare un’occhiata ai commenti che si trovano su Internet o alle manifestazioni viste in questi giorni in tutta Europa, per rendersene conto.
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