Haiti, una coalizione di bande armate terrorizza il Paese
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Un’ondata di violenze senza precedenti, con l’assalto alle istituzioni, nonché a scuole, ospedali, negozi, banche. Un gruppo di bande armate, un tempo rivali, chiede le dimissioni del premier Henry. Il nodo della polizia internazionale
Notizie sempre più allarmanti arrivano da Haiti. La capitale Port-au-Prince e il nord del Paese sono devastati da una ondata di violenza senza precedenti. Ne sono responsabili le bande criminali che da anni agiscono pressoché incontrastate, circa 300 nella sola capitale dove controllano, contendendoselo, l’80% del territorio urbano.
Ma dall’inizio di marzo, mentre il primo ministro Ariel Henry era all’estero, invece di combattersi come di consueto per il controllo di vie e quartieri, le bande armate della capitale si sono unite in una coalizione che hanno chiamato “Vivre ensemble” e hanno dato l’assalto alle istituzioni. «La situazione è terrificante, le gang hanno assalito diversi edifici pubblici e privati», aveva raccontato il 5 marzo all’agenzia di stampa Fides la suora francescana Marcella Catozza, da molti anni impegnata in attività pastorali e caritative ad Haiti. «Un tempo rivali, ora hanno unito le forze per chiedere le dimissioni del primo ministro», confermava a Fides l’8 marzo il missionario redentorista, padre Renold Antoine. «Le stazioni di polizia, le sottostazioni e persino l’aeroporto internazionale di Toussaint Louverture sono stati bersaglio di attacchi. Scuole, ospedali, orfanotrofi, banche commerciali, edifici pubblici e molte attività commerciali sono state saccheggiate. La popolazione civile è terrorizzata dalla furia dei gruppi armati. Migliaia di persone hanno dovuto lasciare le loro case per cercare rifugio nei campi dove si sentono più sicure, ma spesso in condizioni disumane. Quasi tutte le istituzioni repubblicane sono inattive, due grandi carceri dell’area metropolitana della Capitale dove si trovavano i membri delle bande più temute del paese, sono state occupate da gruppi armati fuori legge che hanno facilitato la fuga di massa dei detenuti», ha aggiunto padre Renold.
Nell’ultimo fine settimana sono stati attaccati anche gli edifici governativi. Le bande hanno attaccato il Palazzo presidenziale e hanno distrutto parte del Ministero dell’interno incendiandolo con il lancio di bombe molotov. A scatenare la violenza delle bande armate è stato l’annuncio del rinvio all’agosto del 2025 delle elezioni che si sarebbero dovute svolgere lo scorso febbraio e probabilmente ha contribuito anche lo stato a quanto pare avanzato delle trattative in corso per l’invio sull’isola di un contingente internazionale di forze di polizia. Il primo ministro Henry, tuttora all’estero perché il 5 marzo l’aereo che lo riportava in patria non ha potuto atterrare all’aeroporto internazionale della capitale sotto attacco, il 1° marzo era in Kenya dove ha firmato l’accordo che dovrebbe dar vita alla Missione multinazionale di sostegno alla sicurezza (Mmas) di cui si parla dal luglio dello scorso anno quando il governo kenyano si è offerto di mandare mille agenti di polizia ad addestrare e affiancare la polizia haitiana e si è detto eventualmente disposto a guidare una forza multinazionale.
In realtà, però, l’avvio della missione a guida del Kenya forse non è così imminente nonostante il parere favorevole espresso dalle Nazioni Unite e anche dagli Stati Uniti che hanno promesso un finanziamento iniziale di 158 milioni di dollari. Molti sono gli ostacoli, non ultimo il fatto che, facendo seguito a una denuncia di un gruppo di parlamentari di minoranza, a fine gennaio la Corte suprema ha bloccato l’invio giudicandolo illegale perché deciso dal Consiglio di sicurezza nazionale che non ha facoltà di inviare all’estero degli agenti di polizia. Ma è l’iniziativa in se stessa che ha destato perplessità. I critici più caustici si domandano, senza giri di parole, perché mai si dovrebbe infliggere agli haitiani già tanto martoriati anche la presenza di migliaia di poliziotti kenyani, noti come sono per le maniere forti che usano con i civili e peggio: durante la pandemia di Covid-19 hanno persino sparato ad altezza d’uomo e ucciso per “convincere” la gente a rimanere a casa. Proprio in Kenya difatti sono state sollevate le obiezioni più vivaci. Le associazioni locali per i diritti umani accusano da sempre la polizia di atrocità, di omicidi extragiudiziali e torture e comunque sostengono, a ragione, che il Paese ha i propri, seri problemi di ordine pubblico e insicurezza e privarlo di centinaia di agenti è una pessima idea. Gli scontri tribali, anche se localizzati, sono frequenti e così pure gli attacchi del gruppo jihadista somalo al-Shabaab.
Dovrebbe anche preoccupare l’approccio che sembra trapelare dalle dichiarazioni del governo kenyano. Secondo il ministro degli esteri Alfred Mutua, che dice di non aspettarsi molta violenza, si tratta di disarmare quelli che ha definito «teppisti e bande». La polizia kenyana, assicurava in un’intervista alla Bbc alcuni mesi or sono, andrà e libererà gli haitiani rapiti e le donne violentate. C’è da sperare che nel frattempo si sia reso meglio conto della situazione. All’agenzia Fides suor Catozza diceva il 5 marzo: «Si tenga conto che le gang sono equipaggiate con armi e mezzi sofisticati, altroché machete; hanno persino dei droni per individuare i movimenti delle forze dell’ordine che appaiono incapaci di fermarle».
Gli stranieri intanto lasciano Haiti. Gli Stati Uniti stanno portando in salvo tutto il personale d’ambasciata non strettamente necessario. L’Unione Europea ha già evacuato i suoi diplomatici. Restano milioni di haitiani che non si possono permettere di lasciare il Paese. «Non importa quanto male vadano le cose – commentava l’11 marzo Jeremy Dupin, inviato della Bbc ad Haiti – sono intrappolati lì». Con loro e per loro rimangono i missionari, i sacerdoti, i religiosi cristiani. Si teme per la loro sorte. L’11 marzo si sono premurati di far sapere che il giorno prima erano stati liberati quattro dei sei religiosi della Congregazione dei Fratelli del Sacro Cuore rapiti il 23 febbraio e tre suore della Congregazione delle Suore di San Giuseppe di Cluny rapite il 5 marzo.