Guicciardini e l’apertura della prima Porta Santa a San Pietro
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L'autore della Storia d'Italia racconta i due anni santi del 1500 e del 1525. In particolare il primo, indetto dal discusso Papa Borgia, che portò grandi novità cerimoniali e urbanistiche.
Dopo il devastante sacco di Roma del 1527, la prigionia di Papa Clemente VII e la cacciata dei Medici da Firenze, Francesco Guicciardini (1483-1540) attraversò un momento di grave crisi personale e dovette difendersi dalle accuse che lo riconoscevano colpevole di quanto accaduto: la Consolatoria, l’Accusatoria, la Defensoria sono figlie di quel clima.
Guicciardini abbandonò progressivamente gli interessi politici e sempre più si accostò a quelli storici. Ridotto all’inattività, dopo la morte di Papa Clemente VII (1534) e la nomina di Cosimo I a duca di Firenze, concepì il progetto di raccontare quanto aveva vissuto in prima persona durante gli anni che avevano portato al sacco di Roma: nacque l’idea dei Commentari della luogotenenza.
L’acuirsi della coscienza storica portò ben presto Guicciardini a concepire quel progetto insufficiente a spiegare la complessità dei fattori che avevano condotto gli Stati italiani alla crisi. Non bastavano la sua testimonianza e la sua esperienza da protagonista, ma occorrevano un’attenta ricerca delle fonti, il confronto e la discussione delle stesse per documentare come nell’arco di quarant’anni (dalla discesa di Carlo VIII nel 1494 alla morte di Papa Clemente VII nel 1534) fosse maturata la situazione politica a causa della quale l’Italia era divenuta luogo conteso dalle grandi potenze europee.
Nacque la Storia d’Italia, definita la prima opera storica moderna dallo studioso Jean Bodin nella seconda metà del Cinquecento. Guicciardini si avvalse degli archivi degli organi di governo di Firenze, che nel 1530 si era portato a casa, integrati con i documenti di altri archivi, con le testimonianze dirette di protagonisti, con le opere di altri storici contemporanei. La redazione fu sottoposta a diverse revisioni, lasciate in parte provvisorie perché l’autore voleva verificare e accertare. Guicciardini, che non voleva essere ricordato come un letterato, aveva concepito però la sua opera per la pubblicazione, rivedendola nella forma e nello stile.
La Storia d’Italia diviene il ritratto di un Paese che era stato faro della cultura, del sapere e dell’arte per tutto il mondo occidentale, esportando il Rinascimento, e che ora stava perdendo il primato a causa degli odi intestini e delle contrapposizioni.
Guicciardini ci racconta due giubilei nella Storia d’Italia: quello del 1500 e quello del 1525. Il Giubileo del 1500 portò grandi novità. Infatti, da quel momento venne fissato un cerimoniale di apertura dell’Anno Santo. La vigilia di Natale del 1499 su una portantina e con paramenti sacri il Papa giunse alla Porta Santa della Basilica di San Pietro, bussò tre volte con un martello. I muratori demolirono la parete che impediva l’accesso e il Papa entrò in ginocchio. Così pure accadde nelle basiliche di San Paolo, di Santa Maria Maggiore e di San Giovanni in Laterano ove furono tre cardinali a varcare la Porta Santa. Fu un autorevole liturgista, Giovanni Burcardo, a codificare il cerimoniale. Anno Santo e Porta Santa sarebbero diventati da quel momento in poi sinonimi di Giubileo.
Per comprendere meglio il significato simbolico dell’apertura della Porta Santa durante il Giubileo possono essere utili due richiami all’Antico e al Nuovo Testamento. Il salmo 118 richiama l’apertura della porta di Gerusalemme come possibilità di entrare in contatto con il Signore: «Apritemi le porte della giustizia: vi entrerò per rendere grazie al Signore. È questa la porta del Signore: per essa entrano i giusti». Nel Vangelo di Giovanni leggiamo: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo». Nel rito Cristo è, quindi, indicato come la via della salvezza: attraverso di Lui si può compiere la propria vita. La Porta Santa rappresenta anche la Gerusalemme celeste verso cui tutti tendiamo e la Misericordia divina. L’abbattimento del muro è segno della roccia che colpita diventa possibilità di salvezza. Il martello che percuote il muro ripete il gesto di Mosè che fece sgorgare acqua dalla roccia.
La seconda novità riguardava il fatto che la Bolla di indizione venne letta dinanzi a tutto il popolo.
Non mancarono i lavori di urbanistica nella città di Roma. Papa Alessandro VI fece realizzare una nuova via, la Alessandrina, che collegasse Castel Sant’Angelo con la Basilica di San Pietro.
Il Papa prorogò l’indulgenza giubilare fino all’Epifania del 1501 a causa dell’alluvione. Decise di concedere l’indulgenza plenaria fino alla Pentecoste del 1501 a tutti coloro che non si fossero recati a Roma, ma avessero elargito somme di denaro per la guerra contro i Turchi e il restauro della Basilica Vaticana e di Castel Sant’Angelo. Il Papa introdusse così l’idea di un tempo successivo al Giubileo.
Nel V libro della Storia d’Italia Guicciardini si sofferma in particolar modo sullo scandalo del papa Alessandro VI Borgia che aveva creato nell’anno giubilare del 1500 dodici cardinali «non de’ più benemeriti ma di quegli che gli offersono prezzo maggiore, per non pretermettere specie alcuna di guadagno». Il Papa «spargeva per tutta Italia e per le provincie forestiere il giubileo, celebrato in Roma con concorso grande, massimamente delle nazioni oltramondane». Papa Alessandro VI concesse la facoltà di ottenere l’indulgenza a tutti, anche a coloro che non si fossero recati a Roma, ma che avessero pagato una certa somma di denaro.
Guicciardini sostiene che tutti quei denari furono poi dati al duca Valentino, il figlio del Papa, che, fermatosi a Forlì, preparava «le cose necessarie per l’oppugnazione per l’anno futuro».
Quel duca Valentino è lo stesso che Machiavelli propone come esempio da imitare per i principi italiani ne Il principe ove apre una lunga digressione sulle azioni del duca, di cui sono ribadite costantemente la lucida determinazione e la capacità di andare oltre la morale tradizionale, facendo ricorso anche al tradimento. Machiavelli ne idealizza ora il ritratto rispetto ai commenti stesi all’epoca degli avvenimenti (nel 1502-1503) nelle sue lettere, ove non aveva nascosto i suoi errori, le incertezze e le ingenuità.