Guerriglia a Corvetto, prodotto di anni di malintesa tolleranza
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A Corvetto, quartiere di Milano sud, scoppia la guerriglia contro le forze dell'ordine. Le incolpano dell'uccisione di Ramy Elgaml, 19enne egiziano morto in un incidente mentre era inseguito dai carabinieri. Come nelle banlieue parigine.
Nella notte fra lunedì 25 e martedì 26, i milanesi, soprattutto quelli che abitano verso Sud, sono stati attratti dal consueto scoppiettio intenso di fuochi artificiali. Nulla di nuovo, si sentono praticamente tutte le notti, una usanza ormai per celebrare ogni tipo di evento, specialmente nelle periferie. Ma questa volta, i fuochi, erano stati lanciati ad alzo uomo contro la polizia, nel quartiere Corvetto. Era una rivolta, contro le forze dell’ordine, nella nostra banlieue, per una causa tipica delle rivolte delle banlieues francesi: la morte di un ragazzo immigrato egiziano per la quale vengono accusati i carabinieri.
Ramy Elgaml, questo il nome del 19enne defunto, era a cavallo di uno scooter guidato da un tunisino di 22 anni. I due sono stati intercettati domenica 24, a tarda notte, da una pattuglia di carabinieri che sorvegliava la zona di Corso Como, nota per la movida del sabato sera, ma anche per l’intensa attività di borseggiatori e piccoli delinquenti. Non hanno risposto all’alt delle forze dell’ordine ed è iniziato il lungo e spericolato inseguimento da una parte all’altra della città. Finché lo scooter non si è schiantato contro un muro, in via Ripamonti, quando i due ragazzi erano già nel loro quartiere Corvetto. Il 22enne alla guida si è salvato ed è stato ricoverato, il 19enne non ce l’ha fatta. Feriti anche i due carabinieri che li inseguivano, perché negli ultimi attimi convulsi dell’azione anche la loro auto è andata a sbattere contro un semaforo. Sul 22enne che si è salvato sono stati trovati: mille euro in contanti, una catenina spezzata, un coltello a serramanico e una bomboletta spray al peperoncino, tutti indizi di una notte di borseggi. Aveva precedenti penali, come anche li aveva Ramy Elgaml.
Per quegli ultimi attimi prima dello schianto si sta combattendo la guerriglia nel sud di Milano. Per i parenti e gli amici di Ramy, è stato ucciso dai carabinieri. Se lo schianto c’è stato, è perché è stato speronato, dicono. Per i carabinieri, non ci sono elementi che dimostrino la tesi di questa difesa, l’incidente è avvenuto per l’alta velocità e la maldestria del pilota. Che non aveva la patente, per altro. La fidanzata di Ramy dichiara al telegiornale che il defunto ragazzo egiziano non fosse mai stato un ladro e non avesse neppure bisogno di rubare, perché lavorava regolarmente. Un amico dichiara che la catenina spezzata trovata nelle tasche del ferito, fosse la sua e si fosse rotta quella notte. Nessuna refurtiva, insomma, ma i carabinieri la pensano diversamente, soprattutto per quei mille euro in contanti e le potenziali armi dell’aggressione.
La giustizia si sta muovendo in entrambe le direzioni. Sul sopravvissuto tunisino si indaga per omicidio stradale, guida senza patente e resistenza a pubblico ufficiale. Ma è in corso un’indagine anche sul carabiniere accusato dai parenti di aver travolto i due giovani e ucciso Ramy Elgaml.
Tuttavia, la “piazza” che si è mobilitata per Elgaml, non attende l’esito delle indagini, tantomeno un processo. All’insegna dello slogan “Verità per Ramy”, per due notti decine di persone hanno inscenato proteste contro la polizia. La prima protesta è stata relativamente limitata e senza conseguenze. Ma la seconda, a cui hanno partecipato almeno settanta persone, è finita con incendi dei cassonetti, lanci di bombe carta e fuochi artificiali ad alzo uomo, blocchi stradali improvvisati e danneggiamento di proprietà, fra cui diverse auto. Anche una pensilina dell’autobus è stata distrutta e un filobus della linea 93 assaltato e vandalizzato, con gran terrore per i passeggeri.
«Nessuna protesta, nessuna nobile ricerca di risposte, quella di stanotte a Milano nel quartiere Corvetto è stata una guerriglia – dichiarava ieri Valter Mazzetti, segretario generale di Fsp Polizia – Era stata organizzata nei tempi e nei modi, con tanto di auto posizionate ad hoc per impedire l’intervento delle forze dell’ordine e l’uso di bombe ed altri artifizi, pietre, incendi e quant’altro ed era finalizzata a devastare e aggredire, per affermare una presunta superiorità sulle leggi, sullo Stato, su ogni regola civile»
Come una fiaba sull’immigrazione di successo alla rovescia, un’auto guidata da un egiziano, con a bordo sua moglie, ha travolto tre ragazzi e un bambino, nel bel mezzo del caos. Stanco di attendere per i blocchi stradali dei protestatari, l’immigrato ne ha travolti quattro ferendoli, per poi andarsi a schiantare a sua volta contro un altro veicolo e rischiare il linciaggio. La polizia lo ha ricoverato, assieme alla moglie: ora sono accusati entrambi di lesioni e omissione di soccorso.
Alla terza notte è tornata la calma. La parola è tornata ai politici che si chiedono cosa sia mai potuto accadere a Milano, una città modello, “the place to be” (il posto in cui vivere) secondo l’asfissiante retorica del sindaco Giuseppe Sala. C’è un lato oscuro del modello milanese? Corvetto è lo stesso quartiere dove, l’aprile scorso, una lite fra immigrati si è conclusa con un assalto a un’auto della polizia: l’egiziano chiede aiuto ai poliziotti ma viene aggredito comunque, anche alla presenza degli agenti. E poi, al primo arresto, è l’auto della polizia stessa che finisce vittima dell’aggressione. Scenari tipici di escalation di una zona dove la polizia viene vista come nemica. E gli anarchici, gli antagonisti, i centri sociali, sono i primi a gettarsi nella mischia. Sia nell’attacco di aprile che nella rivolta di questi ultimi due giorni, gli anarchici si schierano apertamente contro le forze dell’ordine, denunciandone la “arroganza” nei loro comunicati.
Ma non c’è solo Corvetto: un arrestato per i disordini di lunedì notte proveniva da San Siro, altra zona in cui, nonostante il prestigio di cui gode (per lo stadio soprattutto) il degrado avanza. E la zona della stazione Garibaldi, di piazza Gae Aulenti e di Corso Como, oltre ai locali alla moda e alla movida della Milano bene, nasconde una realtà di aggressioni, rapine, risse, ad opera di giovani e giovanissimi, spesso minorenni sudamericani e nordafricani.
Nelle cronache e nelle prime analisi di quanto avvenuto, tuttavia, passano quasi inosservati dei dettagli che dettagli non sono. Si parla di Corvetto come di un quartiere ad alto tasso di abusivismo (fino all’80% secondo Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale). Molti abitano in case in cui non dovrebbero stare. Si parla di immigrati, ma quanti di loro sono regolari? E quanti sono in Italia illegalmente? Il vicinato, esasperato dai disordini degli ultimi due giorni, racconta di una realtà in cui lo spaccio e il consumo di droga sono all’ordine del giorno (anzi, della notte): tutti impuniti. L’accumulo di impunità porta poi allo scoppio inevitabile del bubbone, se nel quartiere la malavita diventa la norma e la polizia l’intruso da scacciare. Se poi il quartiere inizia ad essere a maggioranza islamica, la tendenza alla ghettizzazione (al darsi le proprie leggi e all'espellere le forze dell'ordine) diventa ancor più marcata, come dimostra l'esperienza dei paesi europei a più alta immigrazione musulmana. Milano non è ancora Parigi, con le sue banlieues e neppure Bruxelles con i suoi quartieri-ghetto a maggioranza islamica, dove le forze dell’ordine non possono più entrare. Facciamo ancora in tempo a cambiare rotta. Dipende molto dall’approccio al crimine: Rudolph Giuliani ereditò una New York apparentemente irrecuperabile, ma con una strategia di “tolleranza zero” la recuperò all’ordine. Da noi in Italia, forse per un malinteso senso della carità, questo approccio passa per essere disumano. Ma è più umano dar per perduto un quartiere intero e lasciare che le sue metastasi si moltiplichino nel resto della città?