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MEDIORIENTE

Guerra e pace: ecco le nostre occasioni mancate

L’Italia, nel Mediterraneo e negli attuali conflitti mediorientali, sarebbe in grado di fare con efficacia una politica non militare di pacificazione attiva. In Libia la vera posta in gioco è il ruolo preminente dell’Eni, In Siria e in Nord Iraq è la futura ricostruzione post-bellica. Purtroppo, però, il nostro governo non sta facendo nulla del genere. 

Editoriali 06_08_2016
Impianti dell'Eni

In una situazione come quella del governo Renzi, in cui il premier fa anche il ministro degli Esteri, quando il premier ha altro da fare (come ad esempio quando è in Brasile a occuparsi di Olimpiadi) il ministro  degli Esteri in carica beninteso tace, ma i supplenti si moltiplicano. A dire che cosa il governo intende fare a proposito della Libia è dunque intervenuta Roberta Pinotti, ministro della Difesa. Si è così appreso che il nostro governo «considera l’eventualità» di autorizzare l’impiego delle basi Usa in Italia nel quadro dei bombardamenti americani in corso contro le postazioni dell’Isis a Sirte, se Washington ce lo richiedesse (ma finora non ci ha chiesto nulla). 

Fedele, insomma, al suo primo obiettivo in tema di politica estera, che è quello di riuscire a salvare sempre e comunque tutte le capre e tutti i cavoli, il governo offre agli Usa un aiuto militare indiretto non richiesto. A spiegare quali siano i nobili motivi di tanta disponibilità è stato poi incaricato il ministro della Giustizia, Andrea Orlando. Parlando in sede di commissione per il trattato di Schengen, il ministro ha, infatti,  informato i suoi colleghi del resto dei Paesi dell’Unione che in Italia è imminente la scoperta dell’acqua calda. Ha fatto sapere che la magistratura italiana ha in corso «una serrata verifica investigativa sull’ipotesi che fiduciari dell’Isis svolgano ruoli cruciali di controllo e di indirizzo nella gestione dei flussi migratori verso l’Italia, provvedendo anche a dare direttive sui criteri di distribuzione territoriale dei migranti». Chi l’avrebbe mai detto? Quando però questa serrata verifica investigativa sarà conclusa non si potranno più tenere gli occhi chiusi. E stando così le cose, se ne deduce, se c’è qualcuno disposto a tirare bombe sulle postazioni dell’Isis in Libia è benvenuto. 

Riguardo alla decisione di giocare o meno la carta dell’intervento militare si può discutere. Un fatto però è certo: si tratta di una scelta che non si può fare un po’ sì e un po’ no. Se la si fa a metà si finisce per averne solo tutti gli svantaggi. E in primo luogo la si può escludere soltanto nella misura in cui si è sviluppata e applicata una strategia ad essa alternativa. In particolare, nel caso della Libia il nostro Paese sarebbe in grado di fare con efficacia una politica non militare di pacificazione attiva avendone i mezzi, e avendone più di una volta avuto l’occasione. Purtroppo, però, il nostro attuale governo non sta facendo nulla del genere. 

Sia in Libia sia in Siria e dintorni si muove al traino di Paesi che nel Mediterraneo hanno interessi opposti ai nostri. In Libia la vera posta in gioco è il ruolo preminente dell’Eni con le ulteriori enormi prospettive che gli si aprono con un grande progetto in corso di attuazione di cui (forse non a caso) ben poco si parla: una rete di gasdotti posati sul fondo del mare destinata a collegare Cipro, capolinea di esportazioni di idrocarburi israeliani, il nuovo gigantesco giacimento dell’Eni in acque territoriali egiziane e il suo gasdotto che collega la Libia alla Sicilia. 

In Siria  e in Nord Iraq oggi la vera posta in gioco è la futura ricostruzione post-bellica, in cui pure il nostro Paese è meglio posizionato di Francia e Gran  Bretagna. Tra l’altro, le industrie ora in macerie di Aleppo e di altre zone percorse dalla guerra erano spesso attrezzate con macchinari italiani; e al momento di ricostruirle è presumibile che chi le aveva fornite verrà preferito a altri concorrenti. In tale prospettiva Roma avrebbe tutto l’interesse a sostenere la sospensione dell’embargo contro la Siria che, come già più volte sottolineammo, pesa sulle spalle della gente comune senza invece affatto incidere sul rifornimento di armi e munizioni delle parti in lotta. In campo sia culturale che economico non solo con la Libia ma anche con la Siria sussistono con il nostro Paese molti e profondi legami grazie ai quali il nostro governo potrebbe avere un ruolo di rilievo nel quadro di quella politica di pacificazione attiva di cui si diceva.  

Le risorse, insomma, non mancano; quel che manca è invece il progetto, e prima ancora la volontà di impegnarsi in un lavoro sistematico e di lungo periodo. L’estemporaneità è,  infatti, un carattere tipico dell’attuale governo. Tra l’altro se, come oggi è possibile grazie a Internet, si ripercorre il calendario annotandosi tutti i giorni in cui Renzi e gli altri principali ministri sono sulla scena altrove in Europa e nel mondo, da Bruxelles a Tokyo, da Washington  a Rio de Janeiro, uno non può non domandarsi: ma questi quando si occupano di ciò di cui si dovrebbero occupare? Quando studiano e si documentano riguardo alle grandi questioni che devono (o dovrebbero) affrontare? Evidentemente molto di rado se non mai. E i risultati si vedono.