Grillo, Silvio e la distruzione delle proprie creature
Forza Italia e Cinque Stelle hanno un punto in comune: dipendono dai loro fondatori. Oggi Berlusconi vorrebbe uccidere la sua creatura, annullandola in un partito unico di centrodestra. E così anche Beppe Grillo, il quale teme che Conte possa eclissarlo. Una sindrome masochistica che finirà per portare acqua agli avversari.
Una delle piaghe più evidenti della politica italiana è la mancanza di criteri meritocratici di selezione della classe dirigente. Il metodo della cooptazione verticistica sembra dominante e la valutazione dei candidati non avviene sulla base di parametri oggettivi o di requisiti come la laurea, le esperienze professionali, il curriculum vitae in senso lato, bensì considerando e premiando la fedeltà e il grado di vicinanza a chi comanda.
La democrazia interna ai partiti è dunque una finzione. L’art.49 della Costituzione risulta inattuato perché le liturgie della politica hanno fatto a pezzi negli anni procedure trasparenti e metodi democratici e meritocratici.
Questa degenerazione delle regole della rappresentanza partitica è ancora più visibile nei partiti cosiddetti personali, cioè che vivono del carisma di chi li ha fondati e gestiti fin dalla nascita. Forza Italia e Movimento Cinque Stelle, pur nelle radicali diversità ideologiche e programmatiche, hanno un punto in comune: dipendono in tutto e per tutto dai loro fondatori.
Silvio Berlusconi nel 1994 ha realizzato un piccolo miracolo vincendo le elezioni dopo aver costruito in pochi mesi un partito come Forza Italia, Beppe Grillo ha demolito la sua immagine di comico per costruirsene una di garante della creatura partitica che aveva fondato con Gianroberto Casaleggio: il Movimento 5 Stelle.
Una delle caratteristiche che accomuna Berlusconi e Grillo è quella di lasciar fare per un po’ i dirigenti dei rispettivi partiti per poi riprendere in mano lo scettro del potere e dettare legge. Una logica che, portata alle estreme conseguenze, induce figure come loro a uccidere le proprie creature partitiche quando si rendono conto che non possono più controllarle o che non possono più salvarle.
Forza Italia, dopo i gloriosi anni dei governi Berlusconi, ora è stabilmente terzo partito del centrodestra e annaspa nei sondaggi tra il 6 e l’8%; il Movimento Cinque Stelle, dopo il 33% raccolto alle elezioni politiche di tre anni fa, è abbondantemente sotto il 20% e alcune rilevazioni delle intenzioni di voto lo accreditano di uno striminzito 14%. Entrambi i partiti hanno subìto scissioni, che ne hanno ridotto sensibilmente la forza elettorale e parlamentare. Tuttavia, i loro rispettivi fondatori preferiscono farli andare a sbattere piuttosto che favorirne il rinnovamento.
Non è un mistero che il Cavaliere abbia sempre impedito un vero rinnovamento del suo partito, facendo bruciare uno dopo l’altro tutti i suoi potenziali delfini, da Angelino Alfano a Raffaele Fitto, i quali, per continuare a fare politica, sono stati costretti ad uscire da Forza Italia. A livello di coalizione, vent’anni fa si riteneva che potesse essere Gianfranco Fini a raccogliere l’eredità di Berlusconi per quanto riguardava la candidatura a premier per il centrodestra, ma l’ex leader di Alleanza Nazionale, anche e soprattutto per suoi errori, si è di fatto autoescluso e in ogni caso è stato sempre osteggiato da Berlusconi, che nel 1993, come candidato sindaco di Roma, lo aveva legittimato e gli aveva restituito una verginità politica, vista la sua fede fascista, ma poi lo temeva come rivale in grado di eclissarlo sulla scena politica.
Oggi Berlusconi vorrebbe di fatto uccidere Forza Italia, annullandola in un partito unico di centrodestra con forze politiche che hanno una storia completamente diversa dalla creatura azzurra. Visto che ormai Forza Italia non è più decisiva – è più o meno questo il suo ragionamento - meglio cancellarla e annacquarne la debolezza in un contenitore con forze in crescita come Fratelli d’Italia o comunque meglio strutturate come la Lega.
Discorso analogo potrebbe fare Beppe Grillo che, dopo la rottura tra M5s e piattaforma Rousseau, è tornato a occuparsi stabilmente del Movimento e ora teme che una figura come Giuseppe Conte possa eclissarlo e rubargli la scena. Piuttosto l’ex comico preferisce favorire la frantumazione del Movimento e la nascita di altre correnti o addirittura di un partito dell’ex premier piuttosto che rinunciare a fare il bello e il cattivo tempo nel mondo pentastellato.
«Muoia Sansone con tutti i filistei», sembrerebbe il motto di Berlusconi, Grillo e di tutti quei soggetti certamente carismatici ma che pretendono che i destini delle proprie creature partitiche coincidano con i propri. Una sindrome che alla lunga si rivela masochistica e finisce per portare acqua al mulino degli avversari.