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Grech, il pastoralismo che uccide la Chiesa

In un’intervista con La Civiltà Cattolica, il futuro cardinale Mario Grech riduce la Santa Messa a una «esperienza di Dio» come le altre e sostiene che durante la pandemia sia «emerso un certo clericalismo, anche via social». Il vescovo maltese fa confusione pure sulla Parola e sul rapporto famiglia-Chiesa. Ma così svilisce liturgia e sacerdozio.

Ecclesia 06_11_2020

Il pastoralismo sta corrodendo la Chiesa, la decentra, la proietta fuori di sé al punto da farle dimenticare cose per essa essenziali. La Chiesa di oggi è malata di pastoralismo, diventato ormai l’ideologia dei vertici ecclesiastici. In questo modo essi finiscono sempre per rovesciare le cose da come sono in realtà a come appaiono alla nuova ideologia. Si crede di liberare la Chiesa dal dottrinarismo e invece la si asservisce al mondo, perché le impediscono di guardarlo dal di sopra e dal di fuori.

Il vescovo maltese Mario Grech, futuro cardinale e segretario del Sinodo dei Vescovi in sostituzione di Lorenzo Baldisseri, ha dato un’altra prova della nuova scolastica pastoralista in un’intervista per La Civiltà Cattolica pubblicata nel numero ora in distribuzione. Il tema è la Chiesa dopo la pandemia.

Molti fedeli hanno sofferto per la sospensione delle Sante Messe e per la chiusura delle chiese per disposizioni governative. La Santa Messa e la liturgia eucaristica sono il cuore della vita cristiana. Nessun fedele ha mai pensato che la celebrazione della Messa da parte del sacerdote fosse una forma di clericalismo. Nemmeno le Messe in streaming, ove realizzate, sono state considerate dai fedeli una forma di esibizionismo pretesco, una pretesa di monopolio clericale del contatto con il mistero. Monsignor Grech, invece, pensa che durante la pandemia sia “emerso un certo clericalismo, anche via social”. “Abbiamo assistito ad un grado di esibizionismo e pietismo che sa di magia” e “tante iniziative pastorali in questo periodo sono state incentrate attorno alla figura del presbitero da solo”. Per lui questa fissazione sulla Santa Messa e sui Sacramenti è una forma di clericalismo che impedisce di cogliere “che c’erano altri modi attraverso i quali abbiamo potuto fare esperienza di Dio”: l’emergenza “ha trasformato i reparti ospedalieri in altre cattedrali”.

Ci si è chiesti, durante le restrizioni della liturgia, come mai la Chiesa si fosse subito inchinata alle disposizioni governative e solo qualche sparuto vescovo, come monsignor Giovanni D’Ercole, avesse protestato e rivendicato il “diritto alla Santa Messa”. Il motivo è che ormai la grande maggioranza dei pastori, e soprattutto coloro che sono stati chiamati ai vertici della gerarchia, oggi la pensano come il futuro cardinale Grech, per il quale la Santa Messa è solo una “esperienza di Dio”. Beh, se è così, allora è vero che, come dice lui, un’esperienza di Dio si possa fare anche altrove e che tutti gli ambiti del mondo, e non solo le corsie d’ospedale, possano essere considerati luoghi in cui si fa esperienza di Dio, una chiesa, un altare, una liturgia eucaristica. Questo dice il pastoralismo e per questo sta uccidendo la Chiesa.

Durante i divieti liturgici, l’essenza della Messa sembra essere diventata la fratellanza sperimentata tenendo le distanze e indossando la mascherina: si andava a Messa per indossare la mascherina, non si indossava la mascherina per andare a Messa. Il precetto domenicale consisteva nel mantenere il distanziamento sociale.

Sempre sulla Messa, il futuro cardinale dice anche un’altra cosa strabiliante: “Circa la Parola, poi, dobbiamo auspicare che questa crisi, i cui effetti ci accompagneranno a lungo, possa essere un momento opportuno per noi, come Chiesa, per riportare il Vangelo al centro della nostra vita e del nostro ministero”. La mancanza della Parola eucaristica sarebbe quindi occasione per riappropriarsi meglio della Scrittura. Nemmeno un protestante arriverebbe a tanto. A ciò porta il pastoralismo: leggere il Vangelo a casa sarebbe più importante di sentirlo proclamare e spiegare in Chiesa nella liturgia della Parola e, soprattutto, assumerlo nelle Specie eucaristiche come reale Parola Incarnata, Morta e Risorta.

Ed eccoci ora al tema della famiglia. Secondo il vescovo quasi cardinale Grech, durante la pandemia la famiglia è diventata Chiesa anche in senso liturgico. Essa è in sé Chiesa domestica, e ora lo è diventata anche nella liturgia, tanto che “chi, durante questo periodo nel quale la famiglia non ha avuto l’opportunità di partecipare all’Eucarestia, non ha colto l’occasione per aiutare le famiglie a sviluppare il loro potenziale proprio, ha perso un’occasione d’oro”. È stato certamente opportuno suggerire la preghiera in famiglia, data l’assenza della liturgia eucaristica, ma la famiglia non ha nessun “potenziale proprio” che la possa assimilare alla celebrazione della Santa Messa.

La famiglia è “Chiesa domestica” perché c’è la Chiesa che celebra la liturgia eucaristica, il vescovo Grech invece pensa che la Chiesa ci sia perché ci sono le famiglie e che “non è la famiglia ad essere sussidiaria alla Chiesa ma la Chiesa ad essere sussidiaria alla famiglia”, usando il principio di sussidiarietà in modo assolutamente inaccettabile. In ambito civile lo Stato è sussidiario alla famiglia perché le famiglie vengono prima dello Stato, ma in ambito ecclesiale niente viene prima della Chiesa, che non è l’assemblaggio di varie Chiese domestiche. Il motivo per cui il vescovo Grech insiste sulle potenzialità liturgiche della famiglia è di valorizzare il sacerdozio universale e quindi anche dei genitori, finendo per porlo sullo stesso piano di quello ordinato.

Secondo Grech, dopo la pandemia sarebbe un suicidio tornare alla vecchia pastorale incentrata su Messa e Sacramenti. Ma io non ci credo.