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IL DISCORSO AL SENATO

Governo Draghi, le premesse sono inquietanti

Il discorso di Mario Draghi per la presentazione del governo in Senato si riferisce a princìpi opposti a quelli della Dottrina sociale della Chiesa: ha totalmente ignorato la famiglia e la crisi demografica, ha contraddetto la sussidiarietà, ha mostrato una concezione statalista della scuola e dirigista nell'economia. Con Draghi nasce un nuovo partito d'azione.
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Politica 18_02_2021
Il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghia

Il 10 luglio 2020 il prof. Mario Draghi è stato nominato da papa Francesco membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. Subito dopo l’incarico a Draghi, Matteo Matzuzzi sul Foglio andò immediatamente a recuperare un vecchio articolo in cui Draghi commentava, abbastanza genericamente a dire il vero, l’enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI.
A leggere però il discorso pronunciato ieri in parlamento dal presidente incaricato non si trova nessuna traccia dei principi della Dottrina sociale della Chiesa, anzi si trova il loro contrario. Se dopo l’incarico a Draghi avevamo scritto della possibilità di un governo pericoloso, ora, dopo aver letto il suo discorso programmatico, possiamo parlare di un governo inquietante.

Cominciamo dai due vuoti più macroscopici. In tutto il discorso non c’è la parola famiglia. Eppure, pur non esperto di Dottrina sociale della Chiesa, Draghi sa bene che le difficoltà di questo momento sono sopportate soprattutto dalle famiglie e lo saranno ancor di più quando cesserà il blocco dei licenziamenti. Eppure nella strategia del nuovo governo non c’è una parola sulle politiche familiari.
L’altro vuoto macroscopico è quello della lotta alla denatalità. Molta parte del discorso riguardava il “Next generation EU”, ossia il grande piano europeo di finanziamenti per la ripresa, ma la “nuova generazione” in Italia sarà sempre più striminzita in assenza di politiche demografiche adeguate e quella sarà la principale nostra povertà.

Un altro principio della Dottrina sociale della Chiesa assente o deformato è la scuola: il principale dovere di una comunità politica è di educare nel bene i propri figli, rispettando l’originaria titolarità dei genitori in questo campo. Così come nel discorso di Draghi non ci sono né la famiglia né la procreazione, della scuola si parla solo in senso statalistico e in funzione operativa, ossia in adeguamento alle nuove esigenze della tecnologia, del digitale e dell’ambientalismo.
Non solo si ribadisce che la scuola è unicamente quella statale, ma si afferma anche il dovere del governo di introdurre nuove discipline didattiche, con buona pace di chi crede ancora al principio di sussidiarietà specialmente nel delicato campo dell’educazione. Il governo non solo rivedrà le date dell’anno scolastico ma anche i contenuti dell’insegnamento in vista di una necessaria “transizione culturale”. E non c’è da preoccuparsi?

Un altro principio della Dottrina sociale della Chiesa completamente disatteso è l’importanza dell’autonomia dei corpi intermedi rispetto allo Stato. Qui intendo sia le comunità locali sia le comunità sociali, ambedue forme di corpi intermedi cui garantire prerogative e diritti. Nel suo discorso però Draghi le assorbe nello Stato e nell’Unione europea: non c’è nessuna realtà locale di cui valorizzare l’autonomia, né c’è alcuna comunità sociale di cui valorizzare il protagonismo.

Questa mancanza è particolarmente evidente nel campo della politica economica. Le imprese vorrebbero essere lasciate (finalmente) libere, dopo mesi di restrizioni, di inventarsi il proprio futuro e quello dell’economia italiana, invece Draghi dice che “il governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche”. Secondo lui la politica economica del governo dovrà scegliere “quali attività proteggere e quali accompagnare al cambiamento”. La reinvenzione dell’attività economica non sarà quindi frutto dell’autonomia e della creatività dei corpi intermedi, ma nascerà da direttive governative. 

Lo Stato stabilisce quali imprese devono andare avanti e quali no, e sempre lo Stato stabilisce quali materie devono essere insegnate a scuola e quali no. Le situazioni di crisi, siano esse sanitarie o ambientali o economiche, sono adoperate dal potere per rafforzare se stesso. Tutto ciò trova conferma nel discorso di Draghi. L’ideologia manifestata è ancora espressione del connubio PD-5Stelle, ossia un social-capitalismo statalista e istituzionale di adeguamento (transizione) guidato dall’alto del nostro Paese verso gli standard già decisi dai poteri sovranazionali.

Con Draghi nasce un nuovo partito d’azione, Gramsci e Gobetti infinitamente depotenziati ma tuttora concordi su una strada da percorrere insieme nella centralità delle istituzioni repubblicane. Inquieta ma non stupisce, in questo quadro, la frase di Draghi: “Prima di ogni nostra appartenenza viene il dovere della cittadinanza”. Così non è: ci sono molte appartenenze tra gli uomini che vengono prima della cittadinanza conferita dallo Stato: appartenenze familiari, locali, nazionali, di affinità sociali, morali, religiose… veri e propri presupposti della cittadinanza non sue manifestazioni collaterali.

Draghi sostiene che l’euro è irreversibile, che l’Unione europea non si discute, loda la nuova amministrazione americana, lamenta le sorti dei diritti umani in Russia ma non in Cina, assume in pieno l’ideologia ambientalista, compresa l’assurda pretesa di eliminare i gas a effetto serra entro il 2050, adeguandosi a tutti i luoghi comuni della “crescita verde e sostenibile”. Vuole una Nuova Ricostruzione, una Ricostruzione già decisa. E questo ci inquieta.