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IMMIGRAZIONE

Governare un'emergenza è già una resa

Il Ministro Marco Minniti, intervenendo l’8 ottobre ad Aosta espone le linee guida della politica di immigrazione: le stesse di sempre, solo un po' potenziate. Minniti invita a non confondere immigrazione ed emergenza. Ma quello di cui parla non è immigrazione, ma è emergenza: un flusso di immigrati clandestini che rimarranno disoccupati.

Politica 11_10_2017
Marco Minniti

Il Ministro Marco Minniti, intervenendo l’8 ottobre alla 9a edizione della Scuola per la Democrazia di Aosta, ha spiegato come intende far fronte ai flussi migratori illegali. “L’obiettivo che mi sono dato – ha detto – è arrivare all’accoglienza diffusa e chiudere i grandi centri di accoglienza (che), per quanto ci si possa sforzare di gestirli nel migliore dei modi, non possono essere la via maestra per l’integrazione”.

È vero. La “via maestra” per l’integrazione è trovare lavoro, ovviamente a condizione che si tratti di occupazioni regolari, meglio se nel settore privato e in risposta a una reale domanda di manodopera. Tuttavia il Ministro dell’Interno invece ha in mente altro per integrazione. Le sue priorità, lo ha aveva detto già nei giorni precedenti illustrando il Piano nazionale per l’integrazione, sono infatti rendere obbligatoria la partecipazione ai corsi di lingua svolti nei centri accoglienza, promuovere tirocini di formazione e orientamento all’apprendistato, incentivare la partecipazione al servizio civile nazionale, promuovere percorsi per l’accesso all’alloggio creando le condizioni per includere i titolari di protezione internazionale nei piani di emergenza abitativa regionali e locali, potenziare i percorsi di socializzazione riservati ai minori, sostenere il dialogo religioso attuando il Patto per l’islam a livello locale...

In sostanza, il suo Piano consiste nel potenziare e affinare l’apparato assistenziale già esistente e le attuali condizioni dell’accoglienza. Per il momento l’iniziativa è destinata a 74.853 stranieri, detentori di una qualche forma di protezione internazionale: asilo, protezione sussidiaria, permesso di soggiorno per motivi umanitari. Di che cosa vivranno, come si manterranno nei mesi e negli anni necessari a imparare la lingua italiana ed eventualmente una professione, un lavoro, il Piano non lo dice. Nè spiega come sarà possibile “garantire una ordinata convivenza civile” – auspicato esito dell’integrazione – quando, imparato l’italiano, formati e orientati, gran parte di essi non troveranno lavoro, nè dipendente nè in proprio, come è facile prevedere data la situazione economica italiana, e continueranno a bighellonare per piazze e vie come fanno adesso, se non peggio.

Perchè ha ragione il Ministro quando dice che “i temi dell’emergenza e dell’immigrazione devono essere separati”, ma questo se per “immigrazione” si intende il consueto, famigliare fenomeno di persone che si trasferiscono in un paese motivate da concrete, provate prospettive di occupazione: difatti nessuno allora parla di “emergenza”.  

Il fenomeno che il ministro vuole governare invece è altra cosa ed è in effetti un’emergenza. Per loro stessa dichiarazione, non sono arrivati in Italia in cerca di lavoro e per migliorare la loro condizione economica i 74.853 stranieri destinatari nel Piano e neanche tutti gli altri che come loro hanno chiesto asilo dichiarandosi profughi, già respinti o ancora in attesa di sentenza definitiva. Nel 2015 hanno chiesto lo status di rifugiato 83.970 immigrati. Nel 2016 le richieste sono state 123.482 e nel 2017, da gennaio a settembre, 106.250. Ma il totale degli sbarchi è di molto superiore, sommando le persone che non hanno chiesto asilo negli ultimi tre anni: 153.842 nel 2015, 181.045 nel 2016 e 107.340 da gennaio al 10 ottobre 2017, per un totale di 442.227 persone.

Centinaia di migliaia di persone, dunque, attratte dall’illusione di un Eldorado inesistente: è questa l’emergenza di portata drammatica, da non confondere con l’emigrazione “economica”; drammatica per la perdita di risorse umane nei paesi di origine degli immigrati, per gli italiani, chiamati ad affrontare oneri economici e sociali enormi, per gli immigrati illegali, quasi tutti giovani, senza futuro in un paese spensieratamente convinto che per integrarli basta metterli a loro agio creando per loro un apparato assistenziale efficiente e farsi promettere che non attenteranno alla laicità dello stato e rispetteranno le donne riconoscendone la parità rispetto all’uomo, i due “valori intangibili sui quali non ci possono essere mediazioni” enunciati dal ministro Minniti.

È sull’integrazione – sostiene il ministro – che “si gioca il futuro delle comunità nei prossimi 15 anni, non solo in Italia ma nel mondo, chi integra meglio costruirà paesi più sicuri. È un elemento cruciale per le politiche di sicurezza”. Mancando la condizione necessaria, l’integrazione economica, si prospettano anni difficili per il nostro paese che già deve fare i conti con gli effetti demoralizzanti e disgreganti della disoccupazione tra i propri cittadini, della povertà assoluta che affligge il 6,3% delle famiglie e della dipendenza dagli aiuti privati e pubblici di un numero crescente di italiani, molti dei quali sono giovani tra i 18 e i 34 anni, la stessa fascia d’età degli immigrati illegali, che sopportano il tasso di disoccupazione più elevato, il 35 e il 41%.

I flussi migratori non si risolvono dicendo “stop ai flussi” dice il Ministro Minniti, “se qualcuno avesse dubbi su questa mia osservazione basta sollevare gli occhi dal nostro paese e guardare quello che succede nel mondo. Il punto non è aprire o chiudere, ma governare”. In nessuna parte del mondo succede qualcosa di simile a quel che capita nel Mediterraneo e sulle coste italiane.

“Governare” un’emergenza umanitaria senza progettarne la conclusione è già una resa.