Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

IRAQ

Gli Usa combattono pro e contro gli jihadisti

Alla coalizione guidata dagli Usa per combattere gli jihadisti in Iraq partecipano tutti quelli che li hanno armati. E sono esclusi quelli che li stanno combattendo sul terreno. L’impressione è che Washington giochi su due tavoli, in Iraq per contenere i miliziani sunniti e in Siria per contrastare anche il regime di Assad.

Esteri 14_09_2014
Aereo siriano in azione contro l'IS

«Si combatte per o contro il governo?» «La CIA non vuole correre rischi questa volta. Metà di noi sono per, e l'altra metà sono contro».

Il dialogo tra due militari nel film di Woody Allen Il dittatore dello stato libero di Bananas sembra ben attagliarsi alla nuova coalizione costituita dagli Stati Uniti contro il Califfato in Iraq e Siria, costituita da Paesi occidentali e arabi difficili da amalgamare con coerenza e con “assenti” di rilievo, che in realtà sono quelli che, sul campo di battaglia, combattono i jihadisti.

La notizia che dieci Paesi arabi hanno aderito alla coalizione a guida statunitense è emersa dopo il vertice di giovedì a Gedda. Si tratta di Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar, Oman, Egitto, Iraq, Giordania e Libano che, insieme a Washington, hanno dichiarato il loro impegno a contrastare reclutamento e finanziamenti ai jihadisti.

Difficile non notare che tra questi Paesi vi sono le monarchie sunnite del Golfo che hanno, di fatto, creato le milizie dello Stato Islamico (IS) finanziandole, armandole e addestrandole con il beneplacito della Cia e della Turchia per abbattere il regime siriano di Bashar Assad. L’adesione di questi Paesi compromette la credibilità dell’intera operazione varata da Barack Obama senza il via libera del Congresso statunitense e senza un avvallo delle Nazioni Unite. Solo un mese or sono il governo iracheno accusò Arabia Saudita e Qatar di essere i veri sponsor dell’invasione del nord del Paese da parte delle milizie dell’IS. Un’accusa più che lecita considerato che i jihadisti hanno preso Mosul e Tikrit imbracciando le armi croate acquistate dalla Cia ma pagate dai sauditi destinate ufficialmente ai ribelli “moderati” siriani. Con quale spirito l’Iraq dovrebbe oggi militare nella stessa alleanza con Doha e Riad?

Gli emirati si sono impegnati a fermare i volontari che sempre più numerosi raggiungono le milizie di Abu Bakr al-Baghdadi per il jihad contro gli odiati sciiti e a fermare il flusso di denaro che dai ricchi circoli finanziari del Golfo giungono ai jihadisti per lo più attraverso le banche kuwaitiane.

Difficile credere che lo faranno davvero anche se tra le leadership monarchiche cresce il timore che il Califfato possa giungere a minacciare la legittimità delle case regnanti sui ricchi giacimenti di gas e petrolio della Penisola Arabica. Sul piano militare infatti nessun Paese arabo sembra disposto a mettere in campo aerei o soldati per combattere gli uomini del Califfato. A conferma dell’ambiguità di Washington gli unici due Paesi che insieme a curdi e governo sciita iracheno combattono per davvero il Califfato, Iran e Siria, sono esclusi dalla Coalizione. Eppure senza le armi e i pasdaran inviati da Teheran oggi le milizie dell’IS sarebbero accampati nei sobborghi di Baghdad mentre in Siria solo i jet e le brigate di Assad hanno sconfitto in battaglia gli uomini del Califfo. Ciò nonostante Washington sta rilanciando con i Riad i programmi di addestramento dei ribelli siriani, ovviamente “moderati” e sicuramente pronti a combattere il Califfato.

L’impressione è quindi che Washington giochi su due tavoli, in Iraq per contenere i miliziani sunniti e in Siria per contrastare anche il regime di Bashar Assad con un’operazione che rischia di aggravare e allargare il conflitto religioso in atto destabilizzando ulteriormente l’intera regione. Damasco, consapevole di essere ancora nel mirino degli americani, ha già fatto sapere che considererà aggressori i velivoli stranieri che entreranno nel suo spazio aereo senza autorizzazione.

La Coalizione guidata dagli Usa non sembra infatti convincere nessuno. I cristiani iracheni, costretti a lasciare le loro case per fuggire dall'IS, contestano la decisione di Barack Obama di non schierare truppe sul terreno. Secondo un reportage della Nbc i cristiani ritengono che solo gli Usa possano vincere questa guerra mandando i propri soldati in Iraq e Siria, non solo combattendo dai cieli. «Sono stato con l'esercito iracheno a Mosul per quattro anni e posso dirvi che non facevamo nulla, se non prendere lo stipendio» ha raccontato un ex militare della cittadina cristiana di Qaraqosh convinto che le forze irachene non siano in grado di sconfiggere gli estremisti. «Quando gli americani erano a Mosul, non avevamo problemi - ha detto un altro profugo intervistato nel capoluogo curdo di Erbil - Una volta che sono andati via, sono cominciati i problemi».

Gli europei che per primi hanno aderito alla Coalizione al vertice Nato di Newport si stanno tutti sfilando. Persino la Gran Bretagna ha fatto sapere che non parteciperà ai bombardamenti mentre in Francia si levano voci molto critiche verso Washington e Berlino ha negato un suo ruolo nei raid aerei e l’Italia è pronta a offrire aerei cisterna e istruttori, ma solo “se ce lo chiederanno” ha detto il ministro della difesa, Roberta Pinotti. Anche un Paese chiave come la Turchia si è tirato indietro: non parteciperà alla guerra contro il Califfato e non consentirà agli USA di utilizzare la base aerea di Incirlick, obbligando il Pentagono a utilizzare per i raid l’aeroporto curdo di Erbil.

Kerry è volato ad Ankara per cercare di convincere il premier Recep Tayyip Erdogan a cambiare idea ma la posizione turca è comprensibile. Per anni le milizie jihadiste hanno avuto in territorio turco aiuti, armi, alloggi e persino ospedali per curare i loro feriti: se oggi Ankara aderisse alla coalizione contro di loro rischierebbe un’ondata di attentati e la decapitazione di 50 ostaggi turchi nelle mani del Califfato.

A mettere in imbarazzo la Turchia contribuiscono anche le rivelazioni dei combattenti stranieri dell’IS catturati che hanno ammesso di essere entrati in Siria attraversando senza difficoltà il confine turco. Pressata dai Paesi europei, Ankara ha fatto sapere di aver bloccato e rimpatriato circa 870 stranieri giunti nel sud del Pese per arruolarsi con l’IS. Sorprendente poi la rivelazione del quotidiano Taraf che cita esperti americani in Kurdistan che avrebbero catturato miliziani dell’IS equipaggiati con armi turche. Taraf aggiunge che la scoperta sarebbe stata motivo di "forte imbarazzo" per Ankara durante il vertice della Nato in Galles. Dopo aver appreso la notizia il presidente Usa, Barack Obama, avrebbe chiesto espressamente a Erdogan di "allineare la sua politica in Medio Oriente a quella della Nato e degli Stati Uniti".

Strana affermazione, considerato che i servizi segreti statunitensi e dei principali Paesi della Nato hanno cooperato per oltre due anni con turchi, sauditi e qatarini per armare e addestrare i miliziani confluiti nello Stato Islamico.