Gli svizzeri rifiutano il reddito regalato
Contemporaneamente alle nostre elezioni amministrative, gli svizzeri hanno bocciato, con ampia maggioranza, la proposta di introdurre un reddito di cittadinanza incondizionato. Si volevano erogare 2300 euro per ogni cittadino, occupato o disoccupato, ricco o povero. La proposta è stata considerata insostenibile. E anche immorale.
Mentre in Italia si votava per le elezioni amministrative, i vicini svizzeri hanno respinto, con un referendum, la proposta di introdurre un reddito di cittadinanza. Promosso da un gruppo apolitico, appoggiato da Verdi e da alcune sezioni cantonali del Partito Socialista (fra cui quello del Canton Ticino, la Svizzera italofona), il referendum avrebbe voluto cambiare l’intero rapporto fra uomo e lavoro, realizzando un’utopia collettivista. In un dibattito pre-referendario, l’economista Sergio Rossi (uno degli ideatori del “reddito di base incondizionato”) lo definiva una “utopia possibile”. Gli svizzeri l’hanno respinta, per motivi morali più ancora che economici.
Il reddito di base incondizionato, o reddito di cittadinanza, avrebbe regalato ad ogni cittadino, per il solo fatto di essere un cittadino, 2500 franchi al mese, pari a circa 2300 euro al cambio attuale. Ai minorenni sarebbero spettati 625 franchi al mese, circa 520 euro. E’ anche difficile pensare alle ragioni di una misura simile. Da decenni, nei sistemi di welfare state occidentali, sono stati ideati e applicati altri tipi di sussidio: quello di disoccupazione, soprattutto, legato all’impiego, oppure aiuti ai meno abbienti. Mai è stato ideato un reddito di cittadinanza universale, completamente slegato sia dal lavoro che dal livello di benessere del beneficiario, ma solo al suo status di cittadino. I promotori del referendum lo hanno giustificato, principalmente, con tre argomenti. La nuova economia, basandosi sempre maggiormente sull’intelligenza artificiale (nella cittadina di Sion, nella Svizzera centrale, stanno sperimentando i primi bus senza conducente) è destinata ad emarginare fasce sempre più ampie di lavoratori divenuti “superflui”. Secondo: con un reddito di base, una persona è in grado di spendere maggiormente i suoi soldi, alimentando il consumo e di conseguenza anche la produzione. Terzo: svincolandosi dalla necessità di lavorare di più per guadagnare il necessario, una persona può spendere più tempo per occuparsi della cosa pubblica e della famiglia (che verrebbe sostenuta anche grazie ai sussidi destinati ai minorenni). Claudia Crivelli Barella, gran-consigliera dei Verdi, una delle promotrici dell’iniziativa, essendo psicologa, ha spiegato come un reddito svincolato dal lavoro, possa anche liberare l’uomo dall’ansia della produttività. Cita Utopia di Tommaso Moro, quale sua fonte di ispirazione.
Gli argomenti dei promotori possono risultare affascinanti, soprattutto in linea con il pensiero economico più alla moda: la de-crescita che non misura più la crescita in base alla produttività, bensì alla felicità dell’uomo. La sua applicazione nella pratica avrebbe però provocato effetti collaterali che, fra gli svizzeri, hanno fatto pendere la bilancia a favore del No. Prima di tutto, come finanziare un sussidio simile? Secondo la stima dei suoi stessi promotori, avrebbe avuto un costo di 208 miliardi di franchi all’anno (circa 190 miliardi di euro). Chi paga? Ovviamente: chi lavora. La copertura era solamente parziale: 25 miliardi sarebbero mancati all’appello e per reperirli si sarebbe ricorsi ad una tassazione maggiore. Secondo problema: i calcoli sulla copertura sono stati effettuati sulla base della forza lavoro attuale. Ma se una persona riceve 2500 franchi al mese (sebbene siano commisurati a un costo della vita molto superiore a quello italiano), che incentivo ha di andare a lavorare tutte le mattine? Il rischio è quello di ritrovarsi, nel giro di meno di una generazione, con una minoranza di lavoratori costretta a lavorare per pagare sempre più tasse a favore di una maggioranza di nullafacenti. Meno lavoratori, vuol dire anche: meno produzione, meno servizi, minor stimolo all’innovazione e alla creatività.
Nonostante la sconfitta, il reddito di cittadinanza è un progetto molto diffuso negli ambienti progressisti. In Italia una versione simile, anche se più ridotta nelle cifre e destinata ai soli meno abbienti, è un cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle. Le idee della decrescita e la volontà di "cambiare il paradigma" dell'economia fanno presa soprattutto sulle élite. Persa questa battaglia, la "guerra" continuerà anche al di fuori dei confini elvetici.
La logica, non dichiarata, che si legge fra le righe degli argomenti a favore del Sì è quella dell’utopia comunista. L’uomo viene liberato dalla necessità del lavoro, la società intera si ri-fonda sul paradigma collettivista: “a ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo le sue capacità”. Ma chi redistribuisce? Il reddito di cittadinanza avrebbe violato uno dei principi cardine su cui si regge la Svizzera: quello della sussidiarietà. Per poter garantire a ciascuno il suo reddito di cittadino, lo Stato centrale avrebbe inevitabilmente preso il sopravvento sulle comunità locali. Ma soprattutto: chi produce la ricchezza che dovrebbe poi essere redistribuita? E qui subentra anche la questione morale. E’ lecito che una persona si faccia mantenere? Che violi la fondamentale regola della reciprocità, in base alla quale percepisce un reddito in cambio del suo lavoro?
Benché un santo martire (Tommaso Moro) venga chiamato in causa e l’iniziativa possa piacere anche a non pochi cattolici, la Dottrina Sociale, in merito, parla chiaro. Da un punto di vista morale: “Nessun cristiano, per il fatto di appartenere ad una comunità solidale e fraterna, deve sentirsi in diritto di non lavorare e di vivere a spese degli altri (cfr. 2 Ts 3,6-12); tutti, piuttosto, sono esortati dall'Apostolo Paolo a farsi «un punto di onore» nel lavorare con le proprie mani così da «non aver bisogno di nessuno» (1 Ts 4,11-12) e a praticare una solidarietà anche materiale, condividendo i frutti del lavoro con «chi si trova in necessità» (Ef 4,28). San Giacomo difende i diritti conculcati dei lavoratori: «Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti» (Gc 5,4). I credenti devono vivere il lavoro con lo stile di Cristo e renderlo occasione di testimonianza cristiana «di fronte agli estranei» (1 Ts 4,12) (264 Dottrina Sociale della Chiesa). Svincolare il reddito dal lavoro è non solo insostenibile, ma anche immorale. Anche per questo, il 77% ha seccamente respinto al mittente il reddito di cittadinanza.