Gli spietati
Quanto è qui descritto mi vede testimone diretto. Per capire a che livello di barbarie ci siamo ridotti dopo due anni di regime pandemico. Sul treno del pomeriggio per Salerno gli occupanti due file più in là da me iniziano a discutere. C’è un signore che parla al telefono, ha la bocca alterata, grossolanamente direi che è stato colpito da un ictus, ma non saprei dirlo con certezza, comunque è una persona che soffre: lento nelle parole e nei movimenti, un po’ confuso. Sta parlando con la moglie senza mascherina e la ragguaglia sulla partenza, gli orari di arrivo a Napoli e queste cose qui.
Il suo vicino nota che è senza mascherina. Un alieno, praticamente. Lo rimbrotta con fare da kapò: «Scusi, si metta la mascherina». La risposta dell’incauto non si fa attendere: «Ho un’esenzione». Ora, in un mondo normale, un mondo cresciuto a pane e Anna Frank dove c’è ancora chi crede nell’intima bontà dell’uomo si sarebbe lasciato correre, d’altra parte l’umanità sono 4000 anni che va avanti senza mascherina alla bocca. Ma non nel mondo post pandemico dove tutto si gioca sul sospetto che l’altro sia un untore o un approfittatore.
Così il vicino si alza prontamente e, come faceva il secchione del primo banco ma con l’aggravante del Franti perché poco prima di alzarsi «l’infame, sorrise», si dirige verso il capotreno e la invita a controllare il poveretto che era ancora al telefono. La capotreno senza tanti permesso urla all’uomo di mettersi la mascherina, lui risponde di nuovo che ha con sé un’esenzione. Ma la capotreno è inflessibile e certe donne inflessibili sono capaci di farci capire che in quanto a durezza la parità dei sessi è davvero raggiunta. «Si alzi», gli intima la mandarina. Lui accenna qualche tentativo di resistenza: «Si alzi». Così deve terminare la telefonata con la moglie. Nel frattempo, in carrozza c’è brusio e fastidio. Qualcuno scuote la testa, qualcun altro parla a mezza voce e lo invita a fare presto perché sta disturbando il quieto vivere.
La capotreno verifica la regolarità dell’esenzione. Tutto a posto.
Ma non è finita.
«Mi mostri il green pass». Quanto segue è un misto di burocrazia, disguidi, pastrocchi amministrativi e cose che non è dato sapere, fatto sta che si scopre che l’uomo proveniva dalla Svizzera, forse è residente colà e aveva con sé un green pass che non si sa per quale ragione non andasse bene qua, ma appena prima andava bene. Ora, non ho ben capito se il green pass non andava bene per l’Italia o non andava bene in generale, quel che è certo è che l’uomo continuava a ripetere che alla frontiera la Guardia di Finanza italiana gliel’aveva controllato e andava bene. Solo che a Milano, chissà perché, non andava più bene.
Per farla breve: l’uomo ha indispettito con i suoi reclami insistenti tutta la carrozza, la gente lo ha invitato a scendere e a vergognarsi, non si capisce di che cosa. Lui, sempre più in difficoltà, sofferente e braccato, ha sfidato la carrozza e quando la capotreno gli ha annunciato che sarebbe dovuto scendere alla prossima fermata, Reggio Emilia, lui ha preso le sue quattr’ossa e la sua casciulella, avrebbe detto Totò, e con gesto di sfida che però faceva solo pietà, ha finto di tossire vicino a un astante inviperito per la sua piazzata.
Qualche urla, “se ne vada”; “si vergogni”; “se tutti facessero come lei”; “Lei ci infetta tutti”. Tutto ciò è apparso molto miserabile, da tutti i lati, anche tenuto conto di un possibile punto di ragione solamente normativo. Ma spesso - e in questa pandemia molto spesso - le norme non coincidono né col buon senso né con la comprensione. Nell’economia di un treno di migliaia di persone che differenza fa se una persona, per motivi che possono essere i più svariati e i più strambi, non ha con sé la mascherina o il green pass giusto? Qualcuno è disposto a credere che la trasmissione di un virus ormai ridicolmente innocuo possa dipendere da un unico frontaliero dello spread virale?
La verità è che la rabbia mostrata da questa gente, cieca e insensata, non è dettata da motivi medici. Su quel treno nessuno ormai credeva più che la mascherina servisse a qualcosa e il green pass ci garantisse un'immunità. A scatenare la rabbia è stato piuttosto il vedere che c'è qualcuno che fa diverso dagli altri e che, per necessità o per ignoranza, non si adegua, facendo così ricordare a tutti gli altri di essere delle pecore belanti.
La ciliegina sulla torta è stata quando si sono aperte le porte della carrozza numero cinque arrivati a Reggio Emilia. Due agenti della Polizia, opportunamente allertati dal capotreno, erano pronti con millimetrica precisione appena dietro la linea gialla. L’uomo è stato consegnato come un lestofante agli agenti. La capotreno, soddisfatta, ammirava il suo fischietto, a bordo, la torma vociante, soddisfatta dopo la corrida, guardava con cinismo il poveretto alle prese con la forza pubblica.
La Polizia, intenta a capire di quale diavolo di green pass fosse in possesso l’uomo, sapeva di sentirsi al posto sbagliato, lontano dalle mille scene del crimine che in quel momento avrebbero avuto maggiore bisogno di lei. Il treno è ripartito, non so che fine abbia fatto l’uomo. Un uomo in difficoltà e evidente sofferenza, indipendentemente dalla validità della sua carta di circolazione. Avrei voluto esprimergli la mia solidarietà, ma gli agenti me l’hanno impedito.
Dovevamo uscirne migliori, ne siamo usciti spietati.
“Vivere così senza pietà
Senza chiedersi perché
Come il falco e la rugiada
E non dubitare mai
Gli spietati salgono sul treno e non ritornano
Mai più, non sono come noi
Perduti antichi eroi
Noi due che al binario ci diciamo addio”