Gli arabi temono di insabbiarsi nello Yemen
La nuova guerra fra islam sciita e sunnita, scoppiata nello Yemen, rischia di diventare più lunga e sanguinosa del previsto. I bombardamenti della coalizione sunnita, guidata dall'Arabia Saudita, non sono serviti a fermare l'avanzata delle milizie Houthi (sciiti) e quindi si rende necessaria un'invasione vera e propria.
Una settimana di raid aerei delle aeronautiche della Lega Araba non hanno fermato l’avanzata delle milizie sciite Houthi. Il dilemma è sempre quello di tutte le guerre contemporanee: il potere aereo da solo non è in grado di vincere i conflitti o di sconfiggere il nemico come riuscì a fare negli anni ’90 nelle guerre di Bosnia e Kosovo dove il nemico serbo era una società sviluppata e un popolo europeo.
Contro miliziani e gruppi irregolari, anche se organizzati come un vero Stato, gli aerei da soli non possono condurre alla vittoria e l’Operazione “Tempesta decisiva” scatenata da sauditi, egiziani e un’altra decina di Paesi non sembra sfuggire a questa regola.
I raid hanno preso di mira prima le difese aeree, specie le batterie missilistiche terra-aria dei reparti yemeniti passati dalla parte degli insorti sciiti, poi i jet Mig e Sukhoi dell’aeronautica yemenita presenti sulle basi catturate dai miliziani e negli ultimi giorni le rampe mobili dei missili balistici tipo Scud e i depositi di armi e munizioni fino ad approfittare della totale superiorità aerea conseguita per attaccare convogli e colonne corazzate nemiche.
Ciò nonostante l’avanzata delle milizie Houthi continua su almeno due fronti. A sud i miliziani sciiti premono su Aden dove avrebbero occupato alcuni sobborghi e dove in soccorso alle milizie tribali fedeli al governo del presidente Abd Rabbo Mansour Hadi (fuggito a Riad) sono intervenuti i cannoni di alcune navi della coalizione; non è chiaro se fregate saudite o egiziane che da giorni attuano una sorta di blocco intorno alle coste yemenite sul Mar Rosso e Mar Arabico per impedire l’afflusso di rifornimenti agli Houthi dall’Iran.
L’altro settore dove i miliziani sciiti sono ben presenti è il confine saudita dove si segnalano diverse penetrazioni dei miliziani finora respinte dalla dagli elicotteri da combattimento Apache e dalle unità della Guardia Nazionale saudita.
Difficile ipotizzare che le milizie Houthi possano invadere lembi di territorio saudita mentre è più probabile che si limitino a incursioni e azioni di disturbo lungo la fascia di confine. Anche il tentativo di lanciare un missile balistico Scud contro il territorio saudita è fallito e il vettore, lanciato dalla periferia di Sana’a, è caduto appena ad 60 chilometri di distanza dalla capitale yemenita.
Proprio in questo settore stanno concentrandosi le forze terrestri in vista di un intervento di terra che potrebbe presto risultare inevitabile se davvero la coalizione araba intende costringere gli Houthi alla resa, come ha dichiarato nei giorni scorsi il presidente Hadi. Secondo il quotidiano egiziano al Watan, Riad avrebbe inviato nelle ultime ore carri armati e artiglieria lungo il confine con lo Yemen. Si tratterebbe di almeno un paio di brigate meccanizzate in appoggio alle forze della Guardia Nazionale che presidiano il confine. In conferenza stampa il generale Ahmed Asiri, portavoce delle forze della coalizione a guida saudita, ha fatto sapere che "le forze di terra sono pronte e addestrate e faranno il proprio dovere quando sarà il momento".
Molte fonti di stampa riferiscono che per l’offensiva terrestre sarebbero in arrivo in Arabia Saudita due brigate dell’esercito pakistano. Ufficialmente la loro presenza è legata alle esercitazioni congiunte denominate "Samsam 5", a cui Riad ha invitato anche gli eserciti degli altri Paesi coinvolti nell’operazione “Tempesta Decisiva”, ma è evidente che tali attività sono legate al conflitto yemenita. Islamabad, stretto partner militare di Riad, potrebbe inviare truppe per rimpiazzare lungo il confine yemenita le forze saudite destinate a entrare in Yemen ma potrebbero anche essere chiamate a combattere i miliziani Houthi. Le spese di trasferimento e sostegni logistico delle forze pakistane sono a carico a Riad che potrebbe avere bisogno di truppe esperte e soprattutto “spendibili” qualora il conflitto contro gli Houthi andasse per le lunghe.
Al di là dell’adesione politica, sul piano militare finora al Corpo di reazione rapida panarabo, approvato al vertice della Lega Araba di Sharm el-Sheikh, lo scorso fine settimana, hanno accettato di far parte solo le forze armate saudite, egiziane e giordane. Del resto quasi nessuno degli eserciti arabi (escluso quello siriano e il disastrato esercito iracheno) hanno una solida esperienza di combattimento, né in guerre convenzionali né in operazioni di contro insurrezione.
I morti in battaglia hanno un consistente peso sociale specie in società ricche e “pigre” come quelle delle monarchie del Golfo, abituate a delegare, pagandola con petrolio e petrodollari, la propria sicurezza fino a ieri garantita da Washington. Il rischio è quindi che si replichi per i ricchi stati petroliferi la contraddittoria condizioni che si verifica in Occidente dove a una potenza bellica senza precedenti (garantita da una sofisticata tecnologia) si affianca l’incapacità politica e sociale di sopportare perdite in battaglia. Un fenomeno particolarmente evidente nella fallimentare campagna contro lo Stato Islamico in cui nessuno intende mettere in campo truppe da combattimento.
Inutile del resto farsi illusioni: gli Houthi sono esperti combattenti forgiati da anni di guerriglia e il terreno montuoso favorisce azioni di guerriglia, imboscate e impiego di ordigni esplosivi improvvisati mentre la presenza di unità militari organiche dell’esercito yemenita al fianco delle milizie sciite potrebbe determinare anche vere e proprie battaglie campali di tipo convenzionale.
Lo Yemen rischia quindi di diventare l’Afghanistan dei sauditi ma a Riad sembrano esserne consapevoli puntando a coinvolgere nelle operazioni terrestri truppe provenienti fa Paesi più poveri e più avvezzi alla guerra e alle perdite quali Pakistan ed Egitto ai quali i sauditi sembrano pronti a rafforzare i già generosi finanziamenti che sostengono l’economia e gli apparati militari.