Giovani e vecchi, categorie non solo anagrafiche
Il doppio movimento dell’ascolto dei giovani e della proposta di una tradizione bimillenaria devono integrarsi con la preminenza del secondo fattore: i giovani devono entrare nella tradizione rinnovandola con le loro istanze, che devono risultare omogenee alla chiesa de “gli anziani”, omogenee nella tradizione anche se non sempre nella consuetudine.
«C’è un tassello mancante che spiega tutto...: gli anziani»: così concludeva l’articolo precedente, per cui mettiamo in luce questo tassello.
ANZIANI (E GIOVANI) NELL’ANTICO TESTAMENTO
Fuori dubbio che l’AT parla dei giovani e della giovinezza e per questo rimando alle citazioni dell’Instrumentum laboris riportate nell’articolo precedente. Aggiungo inoltre che in genere i condottieri delle battaglie furono giovani e questo per ragioni di efficienza. Tutte le citazioni evocate riguardano sì i giovani, ma non fondano la categoria de “i giovani” nel senso nostro.
Questa categoria invece esiste nel senso de “gli anziani”, non considerati come persone da casa di riposo o in fase di disarmo, ma come persone di esperienza accumulata, agenzie di senso della vita, attori di decisioni importanti.
Ecco qualche esempio. Nell’AT all’inizio dell’esodo Dio ordinò a Mosè di comunicare il suo nome agli anziani di Israele (Es 3,16), nonché la decisione di stipulare con loro un’alleanza, di fatto stipulata con 70 anziani (Es 19,7; 24,1.9) e fu poi su 70 anziani che venne effuso parte dello spirito effuso su Mosè (Nm 11,16-30).
Furono gli anziani di Israele ad allearsi con Davide e sceglierlo come re (2Sam 3,17; 5,3). La scissione in due del regno fu invece provocata da Roboamo, figlio di Salomone, il quale seguì i consigli dei giovani (1Re 12,8; 1-33), invece di ascoltare gli anziani che gli proponevano una sorta di “concertazione” nei contrasti tra sud e nord.
Vi furono anche le eccezioni, come nel caso della casta Susanna, quando furono due anziani ad essere lussuriosi ed ingiusti, mentre il Signore «suscitò il santo spirito di un giovanetto, chiamato Daniele» (Dn 13,45), al quale però gli anziani dissero significativamente: «siedi in mezzo a noi e facci da maestro, poiché Dio ti ha concesso le prerogative dell’anzianità» (Dn 13,50). Dunque Daniele, in quanto buon giudice, fu un giovane “anziano”.
Va da sé che gli insegnamenti degli anziani furono un ingrediente importantissimo del “saper vivere” e mi limito a una sola tra una miriade di citazioni: «Non trascurare i discorsi dei vecchi, perché anch’essi hanno imparato dai loro padri; da loro imparerai il discernimento e come rispondere nel momento del bisogno» (Sir 8,9).
ANZIANI (E GIOVANI) NEL NUOVO TESTAMENTO
Fuori dubbio che il NT parla dei giovani e della giovinezza. I giovani avranno visioni (ma anche gli anziani: At 2,17); i giovani hanno vinto il Maligno e sono forti (1Gv 2,13-14); sono amati da Gesù come il giovane ricco (Mt 19,20-22; Mc 10,20; Lc 18,21); sono oggetto di esortazioni “episcopali” (1Tm 5,1-2; Tt 2,6); chi vuole essere grande è invitato ad essere «come il più giovane» (Lc 22,26); un buon vescovo deve però stare «lontano dalle passioni della gioventù» (2Tm 2,22). C’è poi tutta la problematica figli/genitori, riducibile alla sintesi: «Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto (...) E voi, padri, non esasperate i vostri figli, ma fateli crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore» (Ef 6,1.4; cf Col 3,20-21). Tutte le citazioni evocate riguardano sì i giovani, ma non fondano la categoria de “i giovani” nel senso nostro.
Questa categoria invece esiste nel senso de “gli anziani” dell’AT adattata al NT, dove anche la Chiesa è strutturata su “gli anziani”. Così era strutturato l’ebraismo ai tempi di Gesù, tanto che Gesù fu rifiutato e messo a morte non solo dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, ma prima ancora «dagli anziani» (Mc 8,31). Anche la vita ecclesiale, pur nella novità di Gesù Cristo, era fondata su questa categoria, su di una fede grazie alla quale «i nostri antenati sono stati approvati da Dio» (Eb 11,2).
Quanto alla conduzione della Chiesa, Paolo e Barnaba «designarono (...) per loro in ogni Chiesa alcuni anziani» (At 14,23), in seguito presbiteri (Tt 1,5) che esercitavano la presidenza dopo l’imposizione delle mani su di loro (1Tm 4,14; 5,17; 5,19) e questo era tanto normale che, nel caso di un presbitero giovane, Paolo ammoniva: «Nessuno disprezzi la tua giovane età» (1Tm 4,12). Anche nella tradizione giovannea l’autore si presenta come l’anziano: «Io, il presbitero (...)» (2Gv 1; 3Gv 1).
Gli anziani furono il tramite per la grande colletta (At 11,30) ed ebbero un ruolo determinante nel concilio di Gerusalemme sul rapporto tra la legge di Mosè e la nuova vita cristiana (At 15,2.4.6.22.23; 16,4). Paolo «mandò a chiamare a Efeso gli anziani della Chiesa» (At 20,17) e gli anziani/presbiteri venivano chiamati a pregare sui malati e a ungerli (Gc 5,14).
Dunque gli anziani erano uomini di governo; non solo amministratori, ma pastori e ispiratori della vita cristiana per via del loro collegamento con la tradizione. Il testo più noto è: «Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro (...): pascete il gregge di Dio che vi è affidato» (1Pt 5,1-2). E tre versetti dopo logicamente e si raccomanda: «Anche voi, giovani, state sottomessi agli anziani» (1Pt 5,5), per cui ribadisco: è solo a causa di una distrazione che 1Pt 5,5 non sia mai citato nell’Instrumentum laboris, mentre ci si è dati da fare per ammassare testi sui rischi di una appartenenza elitaria e giudicante?
Infine anche nella Gerusalemme del cielo ci saranno - ci sono - 24 anziani o vegliardi intorno al trono con candide vesti e corone d’oro, definiti presbiteri (seniores) e citati più volte (Ap 4,4.10; 5,5-6.8.11.14; 7,11.13; 11,16; 14,3; 19,4).
PER NON PARLARE DEL MONDO MONASTICO E DELL’AGIOGRAFIA...
Nel mondo monastico antico prevale la figura del “l’anziano” quale trasmettitore di saggezza cristiana in quella forma di vita e per aiutare a riconoscere le trappole del nemico. Ma con qualche eccezione nella vita cenobitica, dove l’anzianità non può essere sempre un criterio di preminenza soprattutto nella scelta dell’abate (Regola di Benedetto 3,3; 31,4; 63,5-6; 64,2).
Molta agiografia cattolica ha descritto i santi come giovani “anziani” nel senso sopracitato di Dn 13,50. Ad esempio il primo agiografo di san Domenico scrive che «lo avresti visto giovane e vecchio insieme, poiché se i pochi anni lo dichiaravano infante, la maturità e la costanza del modo di comportarsi lo indicavano anziano» (Giordano di Sassonia, Libellus 8) e la Bolla di canonizzazione a firma di Gregorio IX (3.7.1234) nota che «dall’infanzia coltivò un cuore senile (gerens a pueritia cor senile)». Quanto siamo distanti dalle parole di oggi ai giovani!
A QUESTO PUNTO PROVIAMOCI A “DISCERNERE”
Il fatto che nell’AT e nel NT vi sia la categoria de “gli anziani” e non vi sia allo stesso livello quella de “i giovani” non comporta che la Chiesa debba riproporre una socialità cristiana simile a 2000 o più anni or sono: “i giovani” sono diventati un soggetto interlocutorio e originale che va riconosciuto.
Va però notato che, stando alle risposte riportate dall’Instrumentum laboris, coesistono oggi due estremi: da una parte in certe zone del mondo «il ruolo degli anziani e la riverenza verso gli antenati sono fattori che contribuiscono alla formazione della loro (giovani) identità» (n. 11), dall’altra nelle società evolute avviene una sorta di rovesciamento generazionale: «spesso sono gli adulti a prendere i giovani come riferimento per il proprio stile di vita» (n. 14).
Ma il punto centrale del discernimento è: che ne facciamo delle citazioni della Scrittura, in particolare della Chiesa fondata su “gli anziani”? Si tratta di categorie legate a un contesto storico superato e che possiamo tranquillamente abbandonare come il cammino degli evangelizzatori senza cambio di vestiti e senza sandali (Mt 10,9-10), oppure di categorie da mantenere anche se risultano ostiche alla cultura di oggi come l’affermazione paolina che l’uomo è capo della donna come Cristo è capo della Chiesa (1Cor 11,3.8-9.12; Ef 5,22-24)?
Evidentemente la Chiesa de “gli anziani” non può essere relegata a un condizionamento storico di 2000 anni fa e dunque da accantonare con allegria.
A partire da questo presupposto, il doppio movimento dell’ascolto dei giovani e della proposta di una tradizione bimillenaria devono integrarsi con la preminenza del secondo fattore: i giovani devono entrare nella tradizione rinnovandola con le loro istanze, che alla fine dei conti devono risultare omogenee alla chiesa de “gli anziani”, omogenee nella tradizione anche se non sempre nella consuetudine.
A partire da questo criterio si possono valutare risposte, analisi e proposte dell’Instrumentum laboris. Ad esempio non è accettabile o è alquanto problematico il fatto che «i giovani chiedono alla Chiesa un monumentale cambiamento di atteggiamento, orientamento e pratica» (n. 138); non è accettabile che la richiesta di affrontare in maniera concreta argomenti come l’omosessualità e il gender, richiesta partita da chi non condivide la posizione classica ecclesiale (n. 53), non sia poi valutata con il senno de “gli anziani” nelle ultime parti sul discernimento interpretativo. Sono invece accettabili le richieste di trasparenza, di accompagnamento spirituale, di una buona liturgia, di un pastorale che tenga conto che la giovinezza e il passaggio all’età adulta sono molto più lunghi e indefiniti che non ai tempi biblici ecc.
Per finire: seminaristi e giovani religiosi hanno sottolineato e richiesto più fraternità, radicalità, spiritualità «di una Chiesa nel cui centro ci sia la preghiera e l’intimità con Dio», la mistica e addirittura «alcuni vedono la liturgia come occasione di profezia» per il mondo secolarizzato (n. 72). Sono piccole luci: speriamo che il Sinodo non le smorzi, ma le ravvivi.
FINE - 2