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IL SENATORE INDAGATO DALL'ANTIMAFIA

«Giovanardi vìola segreti». Anche l'Espresso

ll solito canovaccio mediatico giudiziario. L'Espresso scrive che Giovanardi è indagato dall'Antimafia per essersi interessato a riammettere nella white list, tra le tante, anche una azienda poi coinvolta in un'inchiesta di mafia. L'accusa? Aver violato il segreto d'ufficio. Praticamente la stessa cosa che ha fatto l'Espresso nel dare la notizia per la quale sicuramente non verrà mai indagato.

Politica 12_04_2017

Il canovaccio delle inchieste politico-mediatico-giudiziarie è sempre lo stesso. Questa volta ha visto protagonista il Senatore di Idea e membro della Commissione antimafia del Senato Carlo Giovanardi. 

Giovanardi indagato - Una vicenda locale che mostra molto bene come si facciano certe inchieste e soprattutto come vengano veicolate dal meccanismo dei professionisti dell’indignazione. L’argomento è la Mafia, che da qualche tempo a questa parte tira parecchio. Il giornale è l’Espresso e il cattivo è Giovanardi. Titola l’Espresso: «Giovanardi indagato dall’Antimafia». Si scopre che il senatore di Idea avrebbe utilizzato informazioni riservate per ottenere il reinserimento nella White List della ditta Bianchini. 

Amici chiacchierati? Fuori dalla White list - Un piccolo preambolo: siamo a Modena, negli anni dopo il terremoto del 2012. Campo dell’edilizia. La White list è quella lista stilata dalle prefetture nelle quali le aziende in regola con tutti i certificati antimafia ottengono dal rappresentante del governo una ulteriore patente di illibatezza non avendo parenti o amicizie chiacchierate. Ebbene, a Modena, ma anche a Reggio e a Bologna in quegli anni è tutto un fiorire di aziende che entrano ed escono dalla White list: basta un parente accusato anche alla lontana o in passato di associazione mafiosa e zac: si esce dalla White list e non si può così accedere agli appalti pubblici. A volte però le motivazioni della Prefettura non arrivano e la cosa si complica perché uno magari scoprirà soltanto dopo molti mesi di aver assunto uno che solo successivamente si è scoperto essere chiacchierato.

Nessuna indagine, solo sospetti - Indagini della magistratura? Ma neanche per idea, il lavoro della Prefettura è puramente amministrativo, bastano le parentele o le amicizie, non i reati. Ne consegue che con alcuni ci azzecchi, ma con tanti altri finisce che metti una seria ipoteca sul loro futuro; sulla base di che cosa? Di un sospetto, su cui per altro il consiglio di Stato ha molto spesso idee diverse dalle prefetture.

Aiuta anche le coop rosse. Eppure… - Ebbene: Giovanardi si adopera come senatore per far rientrare nella White list alcune ditte di Modena che ne vengono escluse. Tra queste c’è anche la coop rossa Cpl Concordia, che passa seri guai, poi arriva un commissario anche grazie all’interessamento di Giovanardi e tutto fila liscio. Ma questo interessamento a Giovanardi, chissà perché, non viene contestato. 

Il ciclone Aemilia e le pressioni del senatore - Ad essergli contestato invece è l’interessamento per la ditta Bianchini, la quale nel 2015 viene investita dal ciclone dell’Inchiesta Aemilia che, partita da Reggio Emilia è stato il secondo terremoto, dopo quello vero, che ha sconvolto la Regione rossa: centinaia di imprenditori curtesi al gabbio con l’accusa di associazione mafiosa, appalti, mazzette, estorsioni, politici coinvolti e assolti (ma mai di sinistra). Insomma: tutto il catalogo delle mafioserie che conosciamo. Orbene: si scopre che Giovanardi essendosi interessato anche per la Bianchini avrebbe, diciamo così, utilizzato il suo ruolo di senatore in maniera non propria. Come? Facendo pressioni sulla prefettura di Modena e su altri enti e istituzioni e rivelando e utilizzando segreti d’ufficio oltre ad aver minacciato un corpo giudiziario dello Stato. 

Mazzette? No - A tirarlo in ballo è un funzionario della prefettura finito anch’egli nella lista degli indagati, Mario Ventura, che in quanto a pressioni negli uffici del governo ha definito Giovanardi «un martello pneumatico». Praticamente viene rimproverato a Giovanardi di aver sollecitato con insistenza il reinserimento in White list di aziende che diversamente avrebbero chiuso i battenti licenziando centinaia di modenesi e creando un problema ingente. Solo questo? Sembra di sì dato che subito dopo l’arresto del titolare della Bianchini nell’inchiesta Aemilia Giovanardi ha sospeso ogni rapporto. Non è accusato di aver preso polpette né mazzette, non è accusato di essersi arricchito né di aver piazzato amici o amici degli amici e non è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. 

Le accuse a Giovanardi - Tre gli elementi nelle mani degli inquirenti: primo: la dichiarazione di un pentito che sottolinea come Augusto Bianchini ‘oliasse’ gli ingranaggi della politica per proprio tornaconto, però manca la pistola fumante: non si menziona Giovanardi direttamente; secondo: le presunte pressioni dello stesso Giovanardi sui vertici locali di Finanza, Carabinieri e Polizia, attuata tramite chiamate e richieste ai loro superiori a Roma; terzo e ultimo lo stralcio di un’intercettazione telefonica in cui Giovanardi, parlando con alcuni imprenditori, utilizza parole molto forti: «A quelli ho detto che se fossi in Bianchini verrei qua con una rivoltella e ammazzo tutti». 

Un’attività alla luce del sole - Ovviamente Giovanardi respinge le accuse. Nel dettaglio ricorda di aver presentato la bellezza di 13 interpellanze sulla questione, fatto udienze conoscitive, portato il tema in commissione antimafia, riuscito a modificare la legge sulle interdittive: «Dei cinque casi di cui mi sono interessato il Consiglio di Stato ha rimesso in White list 4 di queste, l’unico è quello della Bianchini con la quale ho interrotto i rapporti dopo l’emersione della vicenda Aemilia e che adesso è fallita». 

E allora Delrio non fece pressioni? - Ma che Giovanardi contestasse il sistema delle interdittive è cosa risaputa a Modena tanto che in passato ha fatto numerose conferenze criticando la Prefettura per come gestiva la White list. Insomma: un’attività alla luce del sole, trasparente, pubblica, portata avanti in ragione del suo essere senatore ed eletto in Parlamento. Qual è il suo peccato, allora? Che cosa si dovrebbe dire allora dell’ex sindaco di Reggio Graziano Delrio (oggi ministro) che portò dal prefetto tutti i consiglieri cutresi che sedevano in consiglio per dire al rappresentante del governo che i calabresi erano brava gente e non meritavano le interdittive antimafia? Non potevano essere intese come pressioni, quelle?

Aziende fallite sulla base di un sospetto infondato - Evidentemente il peccato di Giovanardi è stato quello di aver contestato alcuni meccanismi poco garantisti del sistema delle interdittive antimafia, che spesso hanno portato intere aziende alla rovina. E’ il caso di un imprenditore di Modena che ha passato un calvario di tre anni per aver dato da lavorare al suocero, condannato per Mafia. Il tribunale aveva disposto al termine della pena l’affidamento in inserimento lavorativo e dato il via libera all’ingresso dell’uomo nell’azienda del genero. Ebbene: ciò che addirittura il tribunale aveva richiesto e approvato è stato rifiutato dalla prefettura che sulla base di quella parentela ha tolto dalla White list l’impresa che nel frattempo, ha dovuto licenziare il nonno, prima di fallire. 

L’Espresso può violare il segreto? - Al di là delle accuse, che dovranno essere ancora dimostrate, ciò che però è davvero curioso e non può non lasciare di sasso è come la notizia sia uscita: Giovanardì ha raccontato di aver ricevuto l’avviso di garanzia la scorsa settimana. Tempo un paio di giorni e l’Espresso ieri era già pronto a darne notizia. Sulla scrivania dei redattori c’era già tutto: l’inchiesta, le intercettazioni, i capi di imputazione, gli episodi. «Il mio avvocato li ha avuto soltanto stamattina, ma si tratta di mille pagine. Eppure sull’Espresso e sulla Gazzetta di Modena (stessa famiglia), c’era già tutto. Ritengo che questa sia una palese violazione del segreto istruttorio e pertanto ho deciso di querelare i due giornali».

Nessuno risponderà - Querele a parte, che, ci mettiamo la mano sul fuoco, non avranno mai esito, resta però un tema inquietante: l’Espresso accusa Giovanardi di violazione del segreto d’ufficio e per farlo compie il reato di violazione del segreto istruttorio. E’ deontologicamente corretto tutto questo? Sicuramente no. E’ garantista? No. E’ proprio di uno stato di diritto che l’indagato venga a conoscere gli atti di indagine coperti da segreto direttamente dai giornali? No. Ce lo diciamo da soli, perché sappiamo che nessun ordine regionale dei giornalisti né nessun Csm si scomoderà mai per risponderci.