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NELLA CAPPELLA DEGLI SCROVEGNI

Giotto e il segreto delle nozze di Cana

In tempi in cui si torna a parlare di Dan Brown – tra una settimana esce un libro su Dante – è utile ricordare che l'arte cristiana è piena di leggende e simboli. Anche Giotto, rifacendosi a scritti risalenti ad età agostiniana, inserisce nel celebre riquadro delle nozze di Cana...

Cultura 12_05_2013
Nozze di Cana

In tempi in cui si torna a parlare di Dan Brown vale la pena di ricordare che – bufale dello scrittore americano a parte – la letteratura e l’arte cristiane sono piene di simboli, di segreti e di misteri. Talora spiegano in modo simbolico – secondo codici che noi oggi abbiamo perduto, ma che erano comprensibili ai contemporanei – verità della fede. E talora rivelano leggende, che non sono verità di fede e spesso non sono neppure storicamente vere, ma che rispetto a Dan Brown hanno almeno il pregio di una lunga tradizione.

Un esempio interessante è dato dal riquadro delle nozze di Cana nel ciclo di affreschi di Giotto (ca, 1267-1337) nella Cappella degli Scrovegni di Padova. Un ciclo che tutti pensiamo di conoscere, ma che si è rivelato una miniera continua di particolari nascosti, riportati alla luce a poco a poco dagli studiosi. Sono particolari che si devono con tutta probabilità al teologo di riferimento di Giotto, l’agostiniano Alberto da Padova (1269-ca. 1328) che lo studioso Giuliano Pisani ha identificato come l’ispiratore della Cappella degli Scrovegni: un teologo del tutto ortodosso, nominato predicatore apostolico da Papa Bonifacio VIII (1230-1303), che aveva un forte interesse per le antiche leggende. È vero che Giotto frequentava anche l’assai meno ortodosso Pietro d’Abano (1257-1316 o 1317): ma da quest’ultimo si faceva spiegare l’astrologia, e ne nacquero gli affreschi del Palazzo della Ragione di Padova, purtroppo distrutti nell’incendio del 1420 e rifatti tra il 1425 e il 1440 da pittori di minore talento. Invece, alla Cappella degli Scrovegni e alla sua teologia Pietro d’Abano rimase sostanzialmente estraneo.

Nel riquadro delle nozze di Cana colpisce anzitutto, a destra, il ruolo prominente delle sei giare, le «sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei» (Gv 2,6) che Gesù fa riempire d’acqua, poi trasformata in vino. Alberto da Padova è un agostiniano, e per sant’Agostino (354-430) in quelle giare c’è tutta la storia del mondo. Rappresentano le sei età in cui, sulla scia di Eusebio di Cesarea (265-340), sant’Agostino divide la storia: da Adamo a Noè, da Noè ad Abramo, da Abramo a Davide, da Davide alla deportazione degli Ebrei a Babilonia, da tale deportazione alla nascita di Gesù Cristo, dal Natale al Giudizio Universale. E, poiché il microcosmo umano riproduce il macrocosmo, le sei giare rappresentano anche le sei fasi della vita dell’uomo, dall’infanzia alla vecchiaia.

Sempre a destra nel riquadro, l’emozione del corpulento maestro di cerimonie dà conto del miracolo. Ma il vero segreto dell’affresco sta nei personaggi. A sinistra, lo sposo sta fra Gesù e sant’Andrea. Al centro la sposa sta tra la madre dello sposo e la Madonna. Chi sono gli sposi di Cana? Se osserviamo il volto di questo sposo nel banchetto nuziale, scopriamo che è lo stesso personaggio riprodotto altrove nel ciclo della Cappella degli Scrovegni: è san Giovanni Evangelista, ancora senza aureola perché non è ancora diventato un discepolo del Signore.

Che ci fa san Giovanni alle nozze di Cana? Rispondono due testi noti ad Alberto da Padova, e invero notissimi nel Medioevo: la «Legenda aurea» del domenicano, arcivescovo di Genova, beato Jacopo da Varagine (Varazze: 1228-1298), e le «Meditazioni sulla vita di Gesù Cristo», erroneamente attribuite a san Bonaventura (tra il 1217 e il 1221-1274). Sia lo pseudo-Bonaventura sia Jacopo da Varagine riferiscono che le nozze di Cana sono quelle di san Giovanni. La madre dello sposo ritratta da Giotto sarebbe quindi Maria Salomé, madre degli apostoli Giovanni e Giacomo. Secondo questi testi, impressionato dal miracolo, Giovanni lasciò la casa e la moglie appena sposata per seguire Gesù.

E chi è questa moglie che siede a tavola con un’aria assorta, quasi presagendo l’abbandono? La veste rossa e alcune fattezze del volto – paragonate ad altre opere di Giotto – permettono d’ipotizzare un’identificazione con Maria Maddalena. Alberto da Padova predicava volentieri dalla «Legenda aurea», e nel capitolo «De Maria Magdalena» del testo del beato Jacopo da Varagine leggiamo: «Alcuni dicono che Maria Maddalena fosse la sposa di Giovanni Evangelista, che l’aveva appena sposata quando Cristo lo chiamò alle sue nozze. Tanto indignata del fatto che il suo sposo l’avesse subito abbandonata, se ne andò e si diede a tutte le voluttà. Ma poiché non era conveniente che la vocazione di Giovanni fosse per lei occasione di dannazione, con misericordia il Signore la convertì alla penitenza».

Una storia da fare invidia a Dan Brown, su cui la stessa «Legenda aurea» non si sbilancia: «Alcuni dicono». Ma che Giotto ha ritratto, trasformando la scena consueta delle nozze di Cana in qualche cosa di diverso: un dramma nella vita di Giovanni e della Maddalena – una situazione eccezionale, certo da non prendere a modello di un normale matrimonio, che sarà risolta dal Signore – sullo sfondo del grande dramma della storia simboleggiato dalle sei giare.