Giornata dei diritti umani, la promessa disattesa
Il 10 dicembre, come tutti gli anni dal 1950, si celebra la Giornata mondiale dei diritti umani. Per la Dichiarazione universale dei diritti umani, ogni uomo gode di pari dignità e dei diritti di vita, libertà e sicurezza. Ma questa concezione del diritto, cristiana e occidentale, non è accettata al di fuori dell'Occidente. Perciò è una promessa disattesa.
Ogni anno, a partire dal 1950, il 10 dicembre si celebra la Giornata mondiale dei diritti umani. La data è stata scelta perché l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la Dichiarazione universale dei diritti umani il 10 dicembre del 1948. Per la ricorrenza l’Onu propone un tema di volta in volta diverso. Quello del 2022 è “Dignità, libertà e giustizia per tutti”: un monito, perché la piena realizzazione dei principi espressi nei 30 articoli della Dichiarazione è ancora un traguardo lontano, e un appello all’azione, a impegni e interventi concreti affinché un giorno quei principi siano da tutti e per tutti rispettati.
Milioni di persone, probabilmente centinaia di milioni, neanche conoscono il testo della Dichiarazione, ignorano la sua esistenza. È il caso di ricordare che il primo articolo della Dichiarazione universale dei diritti umani afferma: “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”; il secondo, che “a ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione; il terzo, che “ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona”. Nel preambolo che li introduce si legge che “il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”. Pertanto – prosegue il preambolo – l’Assemblea generale “proclama la Dichiarazione universale dei diritti umani come modello comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le nazioni”.
Ma da allora l’impegno a riconoscere che esistono diritti inerenti alla condizione umana, universali e inalienabili, è stato tradito. La loro affermazione nella carta costituente della maggior parte degli Stati non deve trarre in inganno. Tre quarti di secolo non sono basati a superare il divario immenso tra la civiltà, quella cristiana occidentale, che li ha concepiti e il resto del mondo dove per tradizione, radicata nei millenni, i diritti sono sempre dipesi dallo status sociale assegnato a ciascuno, definito a sua volta da fattori idealmente del tutto ascritti e in gran parte di fatto tali. È un divario incolmabile a meno di una radicale rinuncia a principi e istituzioni fondanti. Non si dà un punto di incontro intermedio, non sono possibili concessioni.
“La Dichiarazione universale dei diritti umani è un testo miracoloso – ha affermato Volker Turk, l’Alto Commissario Onu per i diritti umani, alla vigilia del 10 dicembre – perché riconosce pari valore a ogni persona. Da quando è stata adottata, in tutto il mondo si sono registrati passi avanti a difesa dei diritti umani, ma la promessa di pari dignità e giustizia ha incontrato grandi ostacoli. I 30 articoli della Dichiarazione hanno innescato trasformazioni in tutti gli ambiti dell’esistenza, tuttavia focolai di razzismo, misoginia, disuguaglianza e odio continuano a minacciare il nostro mondo”.
Turk ha ragione. Tuttavia elenca tra gli ostacoli alla piena affermazione della dignità della persona e della universale parità di diritti la crisi climatica, la pandemia di Covid-19, i conflitti che si moltiplicano, l’instabilità economica, la disinformazione. Non osa indicare, alle Nazioni Unite nessuno lo fa, l’ostacolo di fondo che consiste nel rifiuto, nella resistenza a riconoscere quel “modello comune” che l’Assemblea generale ha proclamato essere il traguardo di tutti i popoli e di tutte le nazioni.
Nel 1981 è stata proclamata la Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo, esito delle critiche alla Dichiarazione dell’Onu da parte del mondo musulmano per la sua mancata attenzione alle “esigenze religiose e culturali” delle comunità islamiche. È stata seguita nel 1990 dalla Dichiarazione del Cairo sui diritti umani nell’islam, redatta dagli stati membri del’Organizzazione della Conferenza Islamica, nella quale si afferma il ruolo civilizzatore della Ummah islamica “che Dio fece quale nazione ottima, che ha dato all'umanità una civiltà universale e equilibrata nella quale è stabilita l'armonia tra questa vita e ciò che viene dopo e la conoscenza è in armonia con la fede; e il ruolo che spetta all'Ummah nel guidare un'umanità confusa da orientamenti e ideologie contraddittorie e nel risolvere i cronici problemi dell'attuale civiltà materialistica”.
Tante volte i diritti umani sono violati, in infiniti modi, ma finché si tratta di trasgressioni sanzionate per legge e deplorate dal comune sentire c’è speranza, perché i principi formulati nella Dichiarazione universale dei diritti umani non sono messi in discussione. Lo sono invece, radicalmente, se e dove discriminazioni, ingiustizie, violenze, negazione delle libertà personali sono considerati comportamenti legittimi, approvati, dovuti, quindi istituzionalizzati. Per i musulmani riconoscere piena e pari dignità a donne e infedeli va contro quel che Dio ha prescritto e Maometto ha disposto. Se gli indù rinunciano al sistema delle caste che discrimina per nascita, decretano la fine, nella sua essenza, della loro società di cui le caste sono l’istituzione fondante.
Se l’Occidente smette di credere e affermare che ogni essere umano detiene diritti universali e inalienabili, scompare, muore come civiltà. Assecondando il relativismo culturale e morale che riconosce il diritto di ogni comunità a principi e istituzioni diverse, anche se violano i diritti umani, si condanna a morte.