«Giornalisti, basta speculare sul dolore»
Alcuni reportage sul caso di Yara Gambarasio e sulla strage di Motta Visconti spingono l'Ordine dei Giornalisti a intervenire e diffidare quanti cavalcano l'onda emotiva di fatti tragici con la pubblicazione e la messa in onda di particolari ininfluenti ai fini dell'informazione. Condannati gli "agguati" sotto casa e al lavoro, e le immagini rubate: «C'è bisogno di cristiana pietà e di umana solidarietà»
Gli ultimi sviluppi sul caso di Yara Gambirasio e gli efferati delitti di Motta Visconti e della periferia nord di Milano, dove torna l’incubo Kabobo, fanno riesplodere le tensioni sul tema del segreto investigativo e del ruolo dei media.
Dopo che ieri Massimo Giuseppe Bossetti, accusato di essere l’assassino di Yara e inchiodato alle sue responsabilità dalla prova del Dna, si è dichiarato innocente e ha sostenuto che la sera dell’omicidio di Brembate era a casa, serpeggia delusione nell’opinione pubblica. Dopo 4 anni di attesa, il colpevole del brutale assassinio di Yara potrebbe non avere ancora un volto, anche se il test del Dna di solito non fallisce.
Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano è tornato nel mirino dei suoi detrattori, i grillini in particolare, che ne chiedono le dimissioni per via della spericolata leggerezza con la quale aveva divulgato la notizia della cattura dell’assassino della povera bimba di Brembate.
Se si può comprendere ma non giustificare la demagogia grillina, risultano davvero fuori luogo le critiche al titolare del Viminale da parte di alcuni ambienti giudiziari, che hanno lamentato la violazione del segreto investigativo.
Da decenni in Italia viviamo un vero e proprio cortocircuito tra giustizia e informazione, con procure assai inclini a dare notizie ai giornalisti, che le divulgano con troppa disinvoltura, rendendosi complici di violazioni del segreto istruttorio. Abbiamo assistito ad avvisi di garanzia comunicati con enfasi dai media al grande pubblico, senza che i destinatari li avessero ancora ricevuti. Per non parlare di particolari riservatissimi di inchieste o addirittura di testi integrali di intercettazioni, che hanno campeggiato per settimane sui principali quotidiani senza che ce ne fossero motivi plausibili, in mancanza di un requisito fondamentale dell’informazione che è quello della pertinenza o dell’interesse pubblico.
Alcune procure predicano bene e razzolano malissimo, perché le carte riservate non escono dai palazzi di giustizia con le loro gambe ma grazie a qualche pubblico ministero spesso in cerca di visibilità. Ma se la polemica su Alfano appare strumentale, va registrata con favore la presa di posizione dell’Ordine nazionale dei giornalisti rispetto ad alcuni abusi commessi da suoi iscritti.
Il comitato esecutivo dell’Ordine ha esaminato i reportage (su carta stampata, web e tv) riguardanti gli ultimi gravi fatti di cronaca, in particolare quelli di Motta Visconti e di Brembate, e ha ricordato che i giornalisti, nello svolgimento del loro lavoro, non devono cavalcare l’onda emotiva provocata da questi tragici avvenimenti con la pubblicazione o la messa in onda di particolari ininfluenti ai fini dell’informazione.
Chi si occupa di vicende così delicate, oltre che rispettare le norme di legge e deontologiche in materia di cronaca giudiziaria, deve attenersi con scrupolo alle prescrizioni contenute nel Codice deontologico dei giornalisti, emanato nel 1998 per tutelare l’equilibrio tra diritto all’informazione e tutela della privacy. In quel codice si scolpisce, anzitutto, il valore dell’essenzialità dell’informazione, cioè il dovere del giornalista di riportare solo notizie di evidente interesse pubblico, senza indulgere al sensazionalismo e alla spettacolarizzazione del dolore. «Il Comitato esecutivo – si legge nel comunicato ufficiale dell’Ordine - invita, quindi, i direttori e i colleghi a vigilare per evitare cronache dal buco della serratura, "agguati" sotto casa e al lavoro, immagini rubate. C'è bisogno di cristiana pietà e di umana solidarietà».
E non si tratta soltanto di un proclama come tanti o di una raccomandazione che monda la coscienza di chi la fa e poi non ha effetti pratici. Questa volta l’Ordine, attraverso la Consulta dei Presidenti e dei Vicepresidenti, fa sapere che «le violazioni che si sono verificate, e che eventualmente si dovessero verificare, saranno segnalate ai competenti Consigli territoriali di disciplina», affinché le valutino e decidano circa la comminazione delle sanzioni disciplinari, che possono spingersi fino alla sospensione o radiazione del giornalista colpevole di aver violato tali principi.
Le sanzioni saranno ancora più gravi e incisive ove nella descrizione di quei fatti di cronaca nera, con i relativi risvolti familiari e giudiziari, si registrasse un accanimento mediatico su soggetti minori, che hanno diritto a una riservatezza rafforzata in virtù della Carta di Treviso e di altri codici deontologici emanati negli ultimi vent’anni dall’Ordine.
Basterà questa perentoria presa di posizione per frenare gli eccessi di un diritto di cronaca che talvolta sembra speculare sulle sofferenze altrui perdendo di vista i canoni di obiettività, onestà intellettuale e rispetto della dignità umana?