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LA VITA DI GESÙ NELL'ARTE / 4

Giorgione e la Natività bramata da Isabella d'Este

Il trevigiano Giorgione è senza dubbio l'autore di una Natività particolare, un'Adorazione dei pastori in cui per la prima volta sia i pastori adoranti sia la Sacra Famiglia sono decentrati, mentre metà del dipinto è occupata da un bellissimo paesaggio.
- LA RICETTA: RISOTTO AL RADICCHIO DI TREVISO

Cultura 03_01_2022 English Español
Natività Allendale - Giorgione

Esiste un pittore che non ha mai firmato le proprie opere, ciò che rende estremamente difficile la loro autenticazione. È Giorgione, al secolo Giorgio Zorzi (o Zorzo), 1478 circa - 1510. È detto anche Giorgio da Castelfranco (piccola città oggi in provincia di Treviso).

E  c’è una Natività, a lui attribuita, che è stata oggetto di molte brame lungo i secoli, a cominciare da subito dopo la sua morte.
Già Il 25 ottobre 1510 Isabella d'Este, marchesa di Mantova (nel ritratto), scrisse una lettera al suo agente a Venezia chiedendo informazioni su un certo oggetto di grande valore collezionistico. “Crediamo che negli effetti e nella tenuta di Zorzo da Castelfranco, il pittore, esista un dipinto di una scena notturna, molto bello e insolito”.

Si tratta di un bellissimo quadro, ora alla National Gallery of Art di Washington, e dell'artista che presumibilmente lo ha dipinto: Giorgione di Castelfranco - appunto Giorgio, 'Zorzo', per Isabella - che era morto un mese prima di peste. Il quadro è comunemente chiamato la Natività Allendale perché un tempo era di proprietà della famiglia Allendale di Bretton Hall, nello Yorkshire.

Nel 1937 il mercante d'arte Joseph Duveen lo acquistò da loro, progettando di venderlo al milionario americano Paul Mellon, di cui abbiamo parlato nell’articolo della settimana scorsa. Duveen incaricò il celebre storico dell'arte Bernard Berenson di attribuirlo a Giorgione. Ma, nonostante il fatto che Berenson doveva il proprio stile di vita alle sontuose commissioni di Duveen, rifiutò, sentendosi manipolato: si considerava un’autorità indiscussa in materia, non un lacchè. E aveva un sacco di dubbi sulla paternità del quadro.

Una cosa era certa: il dipinto raffigurava l'Adorazione dei pastori, evento descritto nel Vangelo di Luca 2:8-15. E come in tutti i dipinti con questo tema, anche qui i pastori sono raffigurati inginocchiati in adorazione.  Ma questo quadro aveva qualcosa di molto diverso, che Berenson non arrivava a definire sulle prime, qualcosa che gli faceva dubitare che l’autore ne fosse Giorgione. Ma poi capì cosa era diverso: sia i pastori adoranti che la Sacra Famiglia sono decentrati. Sono ancora prominenti, ma sono stati tutti spostati a destra. L'altra metà del dipinto è occupata da un bellissimo ed ampio paesaggio in prospettiva con montagne azzurre lontane, un fiume serpeggiante e vari edifici. Una visione totalmente nuova della scena della Natività.

Ma, malgrado i dubbi di Berenson, questo dipinto, in base alla sua storia è fatto da Giorgione, in base alla sua storia (l’inventario dei beni dell’artista, la lettera di Isabella, ulteriori autentiche) è di Giorgione.
Il dipinto è stato pensato per essere assaporato da vicino: lo spettatore può apprezzare non solo una magnifica prospettiva che ricorda le pendici delle Dolomiti, ma anche sottigliezze come la meravigliosa morbidezza della barba di Giuseppe, le ombre delicate sul suo viso e il modo in cui il giallo del suo manto contrasta con l'oscurità della grotta dietro. È un pezzo da intenditori, da appendere a una parete privata. È difficile dire se il suo primo proprietario lo apprezzò di più come opera d'arte o come immagine di un mistero sacro, probabilmente una complicata miscela delle due cose.

Era senz’altro questo il quadro "molto bello e insolito" che Isabella, un'avida acquisitrice d'arte, bramava nell'autunno del 1510. Fu sicuramente apprezzato dagli appassionati di quella che allora era l'arte contemporanea. Aggiungiamo che l’agente di Isabella sul posto rispose alla sua lettera, dicendo di aver scoperto due di questi dipinti, entrambi di Giorgione, ma nessuno dei due proprietari era "disposto a vendere a qualsiasi prezzo, perché desiderano tenerli per il proprio divertimento". Quella seconda versione si trova al Kunsthistorisches Museum di Vienna, che potrebbe essere anche di Giorgione. In risposta alla domanda di Isabella, il suo agente riferì che delle due immagini che aveva tracciato, una non era "perfetta" come l'altra. Il dipinto di Vienna è molto simile ma sembra incompiuto.

Nella successione dei grandi pittori veneziani, Giorgione (nel ritratto a destra) fu il successore di Bellini e l'immediato predecessore di Tiziano. Ma tutto il resto in lui è confuso. Non ha firmato un solo dipinto (anche se qualcun altro ha scritto il suo nome sul retro di un paio di essi). Non viene registrata una sua parola. Eppure, Giorgione e le sue opere sono spesso sembrate l'essenza sfuggente del Rinascimento.

«Ogni critico», scriveva Bernard Berenson, «ha il suo Giorgione privato». Lo stesso Berenson aveva certamente opinioni forti sull'argomento, in particolare su questo quadro. Nel 1871 fu attribuito a Giorgione dal grande studioso Giovanni Cavalcaselle. Naturalmente, molti altri non erano d'accordo, Berenson con particolare veemenza. Alla fine, ha ammesso che potrebbe essere in parte opera di Giorgione. Come per molte delle sue opere l'attribuzione è ormai consolidata, ma talvolta messa in dubbio, proponendo i nomi di Giovanni Bellini o del giovane Tiziano.

L'opera era nelle collezioni del cardinale Fesch a Roma, che vennero messe all'asta nel 1845. La tavola di Giorgione finì a Parigi e poi in Inghilterra, dove entrò nelle collezioni dei baroni di Allendale a Bretton Hall, nello Yorkshire. Nel 1937 fu di nuovo messa in vendita e, acquistata dai Duveen Brothers, fu comprata da Samuel H. Kress, che nel 1939 ne fece dono alla nascente galleria nazionale americana.
Lo scenario venne ripreso dalla Pala di Asolo di Lorenzo Lotto nel 1506, per cui si è soliti datare l'opera al 1500-1505, vicino alla Sacra Famiglia Benson della quale riprende alcuni elementi compositivi. È un capolavoro in cui si può vedere la soggezione religiosa unita al piacere sensuale nella bellezza del mondo. In altre parole, è davvero, profondamente natalizio.

Oggi questo grande artista, sebbene ancora in ombra, è diventato un po' più chiaro nei contorni. Fu anche fatto un inventario dei beni che possedeva quando morì, pietosamente e dolorosamente nell'isola del Lazzaretto Nuovo, luogo dove venivano inviati coloro che erano stati a contatto con casi di peste. Un'iscrizione in una copia della Divina Commedia di Dante trovata in una biblioteca australiana indica la sua data di morte, 17 settembre 1510, e l'età: 36.