Giochi di bimbo e tante altre ipocrisie
Vietata e multata una pubblicità per il gioco d'azzardo proiettata prima di un film per bambini. Eppure i vizi, compresa la dipendenza da gioco, sono promossi dalla cultura dominante. Soprattutto il sesso, ma non solo.
Il fatto: un cinema milanese, il 18 febbraio 2014, proietta A spasso con i dinosauri, film d’animazione. La sala, naturalmente, è piena di bambini. Come in ogni cinema del pianeta, in attesa dell’orario di proiezione passano i trailer e la pubblicità. Nel nostro caso, una di queste ultime riguardava un casinò posto nella stessa via. Si vedevano hostess carine, slot e roulette. Risultato: la polizia ha denunciato sia il gestore del cinema che quello del casinò. Le sanzioni previste sono pesanti, vanno da 100mila a 500mila euro.
La materia è disciplinata da D.L. c.d. Balduzzi del 2012 che vieta la pubblicità di simili cose ai minori. Cioè: niente messaggi pubblicitari concernenti giochi con vincite in denaro, in trasmissioni televisive o radiofoniche o rappresentazioni teatrali e cinematografiche rivolte ai minori, nei trenta minuti precedenti e successivi. Vietati altresì detti messaggi su giornali, riviste, pubblicazioni, tv, radio, cinema, teatri, internet quando si verifichi anche una sola delle seguenti condizioni: a) si incita al gioco o lo si esalta, b) sono presenti minori, c) mancano formule di avvertimento sul rischio di dipendenza dal gioco d’azzardo. Perfetto.
Si cerca di ottenere tramite la galera un mondo virtuoso quale neanche Robespierre avrebbe sognato, e noi sottoscriviamo: siamo cattolici credenti e praticanti, amiamo la virtù e teniamo ai bambini. Poi, però, la mente corre agli spot su gratta&vinci di ogni genere e colore e combinazione, che rispettano il punto c) del D.L. facendo girare il nastro alla massima velocità, così che non si capisce niente. Nel pieno rispetto della legge lo stesso avviene per le controindicazioni dei medicinali senza obbligo di ricetta: lo speaker si produce in uno show verbale che neanche Petrolini avrebbe saputo performare: «attenzioneilmedicinalepuòprodurreeffettiindesideratianchegravileggereattentamenteleistruzioni».
Almeno, le allarmanti avvertenze sui pacchetti di sigarette sono scritte, così che uno possa avere il tempo di meditarci sopra. Per quanto riguarda il cinema, non di rado uno ci va col pupo per vedere Bambi in 3D e si ritrova con il trailer dell’ultimo film di Scorsese, quello in cui Di Caprio folleggia tra orge e cocaina. Vabbé, nella testa di certi legislatori il modello svedese anni Sessanta è prioritario. In Svezia, infatti, la socialdemocrazia di Olof Palme arrivò a vietare Tom&Jerry perché troppo «violenti», mentre la pornografia era venduta liberamente dal droghiere (non stiamo scherzando). Si arrivò perfino a dibattere seriamente sull’opportunità di estendere il divieto a Pinocchio, perché due handicappati, il Gatto e la Volpe (uno orbo e l’altro zoppo), erano presentati in modo negativo e ciò costituiva una palese «discriminazione».
Insomma, sebbene con ritardo, le élites al potere nel mondo occidentale hanno deciso che tutto quel che riguarda il sesso, comprese le sue infinite varianti, fa bene alla salute e dunque va imposto e pure insegnato nelle scuole. Tutto il resto, o quasi, fa male: sigarette, zuccheri, gazzose, mcdonalds, caccia, religione, figli. Queste cose vanno prima scoraggiate, poi demonizzate e infine severamente vietate. Quando si parla di «ideologia sessantottina» di quelli che, avendo raggiunto l'età giusta, sono adesso al potere in tutto l’Occidente, si usa una locuzione impropria. Infatti, tutta l’«ideologia» si riduce a quel che piaceva loro quando erano giovani, appunto nel Sessantotto: sesso, canne & rock’n’roll, più il marxismo. Morto il marxismo, è rimasto il vizio: imporre a tutti i loro gusti. In effetti, è vero: il vizio produce dipendenza. E anche il gioco d’azzardo può diventare vizio. Ma come mai prima i «dipendenti» li trovavi solo tra quelle élites che frequentavano San Remo, Cannes, Venezia o Las Vegas, tanto che Ian Fleming amava farci passeggiare James Bond? E come mai adesso li si trova tra i pensionati, gli operai e le colf filippine? C’entra qualcosa la crisi economica? Eh, domande, domande.
Eccone un’altra: ogni sera, in prima serata, l’«ammiraglia» Rai1 manda in onda lo show condotto dall’attore Flavio Insinna dove un concorrente vince del denaro aprendo a caso dei «pacchi». L’unica differenza con un gioco d’azzardo vero e proprio sta nel fatto che il concorrente in questione non perde soldi suoi. Così, la virtù è salva e tutti, anche i bambini (è in prima serata; anzi, in primissima, giacché viene subito dopo il tg e fa da «traino» per la «prima serata» propriamente detta), possono gioire o patire seguendo le sorti di un poveraccio (non di rado ci sono dietro storie lacrimevoli di disoccupazione, di mutui impossibili, di nozze sospirate) che cerca di trovare in qualche «pacco» un sollievo alla sua situazione esistenziale. Ai tempi di Mike Bongiorno un concorrente almeno doveva saper rispondere a domande colte, non affidarsi alla pura fortuna (o azzardo, dal francese hasard, caso). Ma, dice la legge, che quello di Rai1 azzardo non è, perché i soldi ce li mette solo il contribuente. Bene, la patria è salva. Certo, a voler trovare il pelo nell’uovo, non pare che le condizioni a) e b) del D.L. siano rispettate. Ma che volete farci, tanto è un gioco. E la Rai non è forse «mamma»? Forse stiamo esagerando in severità col gioco dei «pacchi»; in fondo, è suppergiù come la pentolaccia.
Tuttavia, saremmo curiosi di sapere quanti saranno i bambini che, cresciuti, dipenderanno patologicamente dai casinò per aver visto quella pubblicità milanese mentre aspettavano i dinosauri.