Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Guido Maria Conforti a cura di Ermes Dovico
IL CASO

Giffoni assolto, ma i 7 anni di persecuzione restano

Il Tribunale penale di Roma ha assolto perché il fatto non sussiste l’ex ambasciatore d’Italia in Kosovo, Michael Giffoni, ingiustamente accusato di aver favorito l’immigrazione clandestina. Per l’interessato - prima sospeso dalla Bonino e poi destituito dalla Mogherini - si tratta della fine di un incubo durato più di sette anni. Ma i danni da lui subiti in questa assurda vicenda rimangono.

Editoriali 01_10_2021

Un calvario durato più di sette anni. Un onore restituito tardivamente e senza rimediare ai danni materiali e morali inflittigli. Il Tribunale penale di Roma ha assolto perché il fatto non sussiste l’ex ambasciatore d’Italia in Kosovo, Michael Giffoni. Era stato accusato di complicità con l’immigrazione clandestina, in una vicenda dai contorni incerti fin dall’inizio.

Data cruciale il 7 febbraio 2014, quando Emma Bonino, allora ministro degli Esteri, firma la sospensione cautelare nei confronti dell’ambasciatore Giffoni perché era emerso un suo presunto coinvolgimento personale e diretto nel traffico di visti irregolari per l’Italia durante il suo mandato in Kosovo.

Michael Giffoni è stato capo della task force per i Balcani dell’Alto rappresentante per la Politica estera dell’Unione Europea, Javier Solana. Nel 2008, diventa il primo ambasciatore d’Italia in Kosovo, dove rimane per oltre cinque anni. Nel 2013, nell’ambasciata di Pristina, era stato accertato un traffico di visti e permessi di soggiorno condotto da un impiegato del quale Giffoni si era fidato. In Kosovo, con un processo penale, la Procura escluse ogni responsabilità dell’ambasciatore, ma in Italia partì una vera e propria persecuzione ai suoi danni. Emma Bonino allontanò Giffoni come “atto dovuto”. La sede diplomatica di Pristina era stata ispezionata, le indagini erano in corso. Nel nostro Paese erano i giorni di “Enrico, stai sereno”, con la caduta del Governo Letta e l’insediamento del Governo Renzi.

Dopo pochi mesi, nel luglio 2014, con un decreto ministeriale il nuovo ministro Federica Mogherini vara la destituzione dell’ambasciatore. Giffoni non accetta la destituzione e ricorre al Tar. A fine ottobre 2014 Mogherini diventa Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza comune e Paolo Gentiloni diventa ministro degli Esteri. Nel giugno 2015 il Tar chiede di reintegrare Giffoni, perché nel provvedimento di destituzione c’era un vizio di forma. La Farnesina elimina quel problema formale e convalida l’atto senza restituire all’ambasciatore il suo posto di lavoro, anzi confermando la propria posizione. Giffoni ricorre nuovamente. Secondo il Tar l’ambasciatore ha torto nel chiedere la sospensione della destituzione, ma ragione nel chiedere l’annullamento dell’atto che la prevedeva. Al secondo ricorso, il Ministero risponde passando la palla al Consiglio di Stato, che dà ragione al Ministero. Non si revoca la destituzione, almeno fino a quando non si pronuncia il giudice penale.

La decisione del giudice penale è finalmente arrivata: Giffoni non ha fatto parte di un’associazione a delinquere e non ha favorito in prima persona l’immigrazione clandestina. Ora dovrà essere revocata la destituzione. Per l’interessato si tratta della fine di un incubo, ma i danni da lui subiti in questa assurda vicenda sono irreparabili. La sua carriera è stata distrutta. E l’Italia è stata a lungo privata delle competenze e della sensibilità di un valoroso diplomatico. “Quel che m’hanno inflitto in questi sette anni e mezzo, per un ambasciatore equivale alla pena capitale. Sì, non lo dico io, lo dice una legge del 1953: la radiazione d’un diplomatico è equiparata alla fucilazione per alto tradimento in tempo di guerra… E loro m’hanno fucilato, senza alcun diritto di farlo”, ha dichiarato Giffoni dopo l’assoluzione. “Senza che nemmeno fosse cominciato il processo, il ministero degli Esteri mi tolse tutto: rango, incarichi, stipendio. Feci due volte ricorso al Tar, che per due volte mi reintegrò. Ma per due volte la Farnesina ribadì la mia destituzione: una a firma dell’allora ministra Federica Mogherini; la seconda, del segretario generale Elisabetta Belloni. Ero accusato di dolo e colpa grave, senza uno straccio di sentenza penale contro di me”.

Sarebbe tuttavia riduttivo rubricare questa assurda vicenda come l’ennesimo esempio di malagiustizia all’italiana. Qui c’è molto di più. C’è imperizia e accanimento anche da parte dell’amministrazione pubblica, in questo caso la Farnesina, che ha avallato un unicum nella storia della diplomazia, vale a dire una radiazione a fronte di accuse apparse fin dall’inizio inverosimili. Ora Giffoni potrà rinascere come uomo, curando le sue cicatrici, ma non potrà mai più realizzare le sue legittime aspirazioni professionali e restituire a se stesso e ai suoi famigliari gli anni di vita persi in sofferenze e mortificazioni. Ancora una volta nessuno pagherà. Ed è per questo che la vicenda appare ancora più surreale. Tanto più perché di immigrazione clandestina l’Italia continua ad essere vittima, anche a causa dell’indulgenza e del ridondante buonismo di certi politici e di certa stampa. I veri complici dell’immigrazione clandestina sono altrove e Giffoni mai e poi mai si sarebbe macchiato di tali nefandezze. Ora c’è da sperare che, per lui e per il Paese, il tempo possa essere galantuomo.