Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Natale del Signore a cura di Ermes Dovico

ECCLESIA

Gesuiti, 200 anni dopo la seconda "rifondazione"

Il 7 agosto del 1814 il Papa Pio VII, con la bolla “Sollicitudo omnium ecclesiarum” (La preoccupazione per tutte le Chiese) decretava la restaurazione universale della Compagnia di Gesù. Un altro Papa, Clemente XIV, quarant’anni prima, cioè nel 1773, l’aveva soppressa, dietro pressione dei giansenisti e degli illuministi.

Ecclesia 07_08_2014
Ignazio di Loyola

Il 7 agosto del 1814 il Papa Pio VII, dopo aver celebrato la santa Messa nella chiesa del Gesù, la principale chiesa dei gesuiti a Roma, presso l’altare di sant’Ignazio di Loyola, loro fondatore, con la bolla Sollicitudo omnium ecclesiarum (La preoccupazione per tutte le Chiese) decretava la restaurazione universale della Compagnia di Gesù (questo è il nome ufficiale dei gesuiti). Un altro Papa, Clemente XIV, quarant’anni prima, cioè nel 1773, l’aveva soppressa, dietro pressione dei giansenisti e degli illuministi. Nel 2014 ricorre dunque il secondo centenario della “restaurazione” della Compagnia di Gesù. 

È sempre difficile parlare dei gesuiti, anche per uno che, come il sottoscritto, vi è dentro da più di cinquant’anni. In effetti, la Compagnia di Gesù è una realtà molto complessa. Fin dal suo sorgere suscitò opposizioni e approvazioni. Tuttavia sant’Ignazio era preoccupato solo del giudizio del Papa. E in effetti, il 27 settembre del 1540, ottenne da Paolo III l’approvazione ufficiale, confermata poi da Giulio III nel 1550. Questo era l’essenziale per uno che, come Ignazio, aveva fatto del legame con la “Santa Chiesa gerarchica” uno dei pilastri della sua spiritualità, stabilendo che i gesuiti professi emettessero uno speciale “voto di obbedienza” al Romano Pontefice “circa le missioni” (il cosiddetto “quarto voto”). Si creò così un vincolo speciale tra la Compagnia e il papato. (Alcuni nel post-Concilio hanno cercato di minimizzare questo “quarto voto”, dicendo che non si trattava di un voto di “fedeltà al Papa”. È vero, perché secondo sant’Ignazio la fedeltà al Papa è un dovere di ogni cattolico e quindi tanto più di un gesuita. Non c’era quindi bisogno di fare un “voto speciale” per questo). 

I gesuiti, pur emettendo i voti di povertà, castità e obbedienza, e pur vivendo in comunità sotto la direzione di un superiore, non sono dei monaci: non hanno il “coro” (cioè l’obbligo di recitare in comune l’ufficio divino), non vivono in monasteri (come i benedettini), né in conventi (come i domenicani e i francescani), ma in “case”. Essi nacquero come un gruppo di preti, con l’intento di svolgere un ministero tipicamente sacerdotale: predicare la Parola di Dio, confessare, visitare gli ammalati e i carcerati. Per questo non ebbero un abito particolare, ma vestivano come “i buoni sacerdoti”. Non erano però legati a un territorio, come lo sono le parrocchie, perché la loro vocazione era andare in qualsiasi parte del mondo, dove ci fosse bisogno. Erano essenzialmente dei “missionari”, sia nei Paesi di antica tradizione cristiana, sia nei Paesi recentemente scoperti (e anche sfruttati) dagli europei. Chi non conosce san Francesco Saverio, uno dei primi compagni di Ignazio? Egli evangelizzò alcune regioni dell’India (Goa), e da lì si spinse ancora più verso oriente, portando per primo il Vangelo in Giappone. Morì poi ancora giovane nel 1552 alle porte della Cina, dove contava di entrare. 

Ancora vivente sant’Ignazio, tuttavia la Compagnia operò una scelta che la trasformò profondamente: quella di aprire e di gestire delle scuole, prima secondarie e poi anche superiori, comprese le università, aperte gratuitamente a tutti. Questa decisione richiedeva un forte impegno in persone, mezzi economici, edifici scolastici, ma si rivelò una decisione azzeccata. I gesuiti preparati per l’insegnamento non mancavano, dato che provenivano quasi tutti da una formazione universitaria; i mezzi economici furono offerti dalle autorità civili e religiose o da benefattori, che vedevano di buon occhio l’accrescersi dell’istruzione per tutti. I programmi scolastici prevedevano, oltre allo studio della grammatica, la lettura dei classici latini e greci, nonché lo studio delle nuove discipline, come la matematica, l’astronomia, le scienze. Nei collegi poi si faceva anche del teatro e si insegnavano la musica e la danza. In pochi anni queste scuole aumentarono di numero in modo impressionante, al punto che nel Sei e Settecento la formazione scolastica della gioventù cattolica era quasi tutta in mano ai gesuiti, con la loro famosa “Ratio studiorum”. 

Questo nuovo campo di azione non alterò però la fisionomia originaria della Compagnia di Gesù, che rimase sempre un ordine sacerdotale e missionario. Infatti anche nelle missioni (India, Brasile, Paraguay, Nord America), i gesuiti dove arrivavano erigevano scuole, affiancate sempre da chiese, dove essi potevano svolgere i loro ministeri sacerdotali. Questo binomio scuola-missione, attuato anche nel centro Europa lacerato dalla riforma protestante, fece sì che il cattolicesimo non fosse completamente spazzato via dal luteranesimo. Fu così che la Polonia rimase cattolica. Se dunque il lavoro era tanto, però nella Compagnia i soggetti non mancavano, le vocazioni erano numerose. Accanto ai gesuiti “professi”, cioè quelli che formavano “lo zoccolo duro” dell’Ordine, c’erano quelli che si impegnavano come “coadiutori”, cioè aiutanti, sia come sacerdoti (coadiutori spirituali), sia come laici (coadiutori temporali). Questi ultimi coprivano praticamente tutte le esigenze materiali di una comunità: cucina, lavanderia, portineria, manutenzione, amministrazione. Erano i cosiddetti “fratelli coadiutori”, alcuni dei quali svilupparono i loro talenti, come il pittore Andrea Pozzo, che ha affrescato il soffitto della Chiesa di sant’Ignazio a Roma (1685). Questi “coadiutori” si sentivano pienamente appartenenti al corpo della Compagnia, anche se non potevano accedere alle cariche di responsabilità più alta. 

Come si arrivò alla soppressione del 1773? Le cause sono molte e difficili da sintetizzare. All’interno del mondo cattolico nel Seicento si fece avanti la corrente giansenista (da Giansenio, vescovo di Ypres in Belgio), che proponeva una riforma della Chiesa in senso più rigorista ed elitario, e vedeva nei gesuiti i fautori di un cattolicesimo popolare, devozionistico, troppo legato alla cultura classica e troppo lassista nella morale. In effetti, in Europa avanzava l’Illuminismo, con la sua visione razionalistica della religione, con la sua ostilità al papato e con la sua volontà di riforma della società, nell’intento di conferire più poteri allo Stato, attribuendogli controlli anche sulla vita interna della Chiesa. Benché giansenisti ed illuministi fossero “come il diavolo e l’acqua santa”, essi si trovarono alleati nel considerare i gesuiti il principale ostacolo alla riforma della Chiesa e della società. Sebbene i prìncipi regnanti fossero in generale favorevoli ai gesuiti (molti dei quali erano loro confessori), i loro primi ministri erano quasi tutti imbevuti di idee illuministiche e anticattoliche. 

Le loro pressioni sul Papa, occasionate anche da alcuni particolari eventi, furono tali che alla fine, sia pure a malincuore, il Clemente XIV promulgò il decreto di soppressione. Per un'ironia della sorte, la zarina delle Russie, Caterina, che era ortodossa e quindi non si sentiva legata ai decreti papali, continuò a mantenere i gesuiti che stavano nelle sue terre, anche se di fatto si trattava di terre polacche, allora sotto il dominio zarista. In tutto il resto dell’Europa, nelle Americhe e nelle Indie, i 22 mila gesuiti furono dispersi, talora anche brutalmente, le loro 900 scuole e le quasi 2000 tra case e chiese furono incamerate dagli Stati. Il loro superiore generale, Lorenzo Ricci, fu imprigionato a Castel Sant’Angelo, con un tipo di detenzione molto duro, senza possibilità di scrivere, di avere contatti, senza riscaldamento e con scarso cibo. Vi morì dopo due anni. Molti gesuiti spagnoli e portoghesi furono caricati su navi e buttati sulle coste dello Stato Vaticano. Alcuni ne morirono, altri entrarono a far parte del clero diocesano, e non pochi rimasero sbandati. 

Nel frattempo scoppiò la Rivoluzione Francese e ci fu l’era napoleonica; le idee illuministiche di libertà, tolleranza, democrazia si diffondevano sempre di più, ma marcate da un forte accento anticattolico; l’incipiente industrializzazione provocava il fenomeno dell’urbanizzazione delle masse operaie, sfruttate e sottosviluppate, che sfuggirono quasi completamente all’influsso della Chiesa. I Papi e molti ambienti cattolici si resero conto che la soppressione dei gesuiti era stato un grande sbaglio, e raccogliendo i frammenti sparsi dei sopravvissuti, si adoperarono per il ripristino della Compagnia, che, come abbiamo detto, avvenne con Pio VII il 7 agosto del 1814. I gesuiti fecero un po’ fatica a riorganizzarsi, e invece di prendersela con il papato che li aveva soppressi, diventarono i suoi più fedeli sostenitori. Pio IX, che ebbe il più lungo pontificato dell’800, vedeva tutti i pericoli insiti in quella che venne chiamata “la modernità”, e con il Sillabo ne condannò tutte le possibili deviazioni. I gesuiti furono dalla sua parte. Per questo durante tutto l’Ottocento e fino all’inizio del Novecento essi furono ripetutamente espulsi da molti Stati europei e americani (Francia, Regno delle due Sicilie, Spagna, Ducato di Parma, Messico, ecc.). Come il Papa, essi erano ritenuti conservatori, allergici alle idee di libertà di pensiero, di stampa, di stato democratico, ecc. Alcuni però non stettero a guardare passivamente, ed entrarono nel dibattito con riviste combattive, come, in Italia, La Civiltà Cattolica, fondata a Napoli nel 1850. 

Naturalmente, gli storici sono in generale molto critici sulle posizioni di Pio IX e quindi dei gesuiti, giudicate troppo intransigenti e chiuse alla modernità. Da parte loro, nell’Ottocento i gesuiti stettero generalmente fuori dall’agone politico, dandosi ai loro ministeri preferiti: gli Esercizi spirituali, le missioni popolari, i ritiri di perseveranza, facendo leva sulla devozione al Sacro Cuore di Gesù, caldamente sostenuta dai Papi, sulla devozione mariana e su quella eucaristica. Anche in teologia i gesuiti rimasero sul terreno solido della tradizione tomista, rifiutando il modernismo e le sue derive. Il papato però non era così chiuso come alcuni lo dipingevano. Già Leone XIII si adoperò per il rinnovo della teologia, non solo additando un ritorno al vero san Tommaso, ma anche incrementando gli studi biblici e storici, dai quali non si poteva più prescindere. Lo stesso fecero i Papi seguenti, e cioè S. Pio X, che nel 1909 fondò il Pontifico Istituto Biblico, e Benedetto XV, che nel 1917 fondò il Pontificio Istituto Orientale, affidandoli entrambi ai gesuiti. A Roma l’Università Gregoriana attirava sempre numerosi studenti da tutto il mondo cattolico. 

Arriviamo così al Concilio Vaticano II (1962-65), che per quanto si cerchi di interpretarlo nella linea della “continuità”, com’è giusto che sia, rappresenta comunque una svolta nella vita della Chiesa. Il periodo post-conciliare è quello più difficile da decifrare, non solo per ciò che è successo nella Compagnia, ma nella Chiesa tutta. Non vi è dubbio che per i gesuiti quello sia stato un periodo entusiasmante e difficile nello stesso tempo. Atteniamoci ai fatti. Nel 1965 fu eletto come superiore generale il basco Pedro Arrupe, che era stato missionario in Giappone. Sotto il suo governo la Compagnia cercò di attuare le direttive del Vaticano II, interpretate però in linea con l’orientamento generale del momento, che fu caratterizzato da una grande voglia di cambiamento e forse da una eccessiva fretta, senza quel necessario discernimento che pure ci si sarebbe dovuti aspettare soprattutto dai gesuiti. Ci fu poi il terribile ’68, con la sua ventata di secolarizzazione, che lasciò un forte strascico sui gesuiti, specialmente su quelli più inseriti nel campo intellettuale e sociale. 

Tutto questo “rinnovamento”, circa il quale non mancavano delle perplessità anche all’interno stesso dell’Ordine, avrebbe dovuto essere confermato da una nuova Congregazione generale, convocata da Arrupe nel 1974. Ma durante il suo svolgimento sorsero forti dissapori con Paolo VI, mai completamente risolti. Nel 1978 divenne Papa Giovanni Paolo II, che manifestò una certa diffidenza verso il generalato di Arrupe. Questi il 7 agosto del 1981 fu colpito da un grave ictus, che lo costrinse alle dimissioni. Secondo la prassi, si sarebbe dovuta riunire una nuova Congregazione generale, ma il Papa bloccò tutto, nominando un commissario. Fortunatamente, la scelta cadde su un anziano gesuita, Paolo Dezza, che con la sua esperienza riuscì a tranquillizzare il Papa. Così la nuova Congregazione generale poté riunirsi nel 1983, eleggendo come superiore generale il P. Peter-Hans Kolvenbach, di origine italo-olandese, ma missionario nel vicino oriente (Libano). Durante il suo generalato, la Compagnia approfondì il suo impegno per gli Esercizi spirituali e insieme la sua presenza nelle zone marginali e conflittuali (si veda il “Jesuits Refugee Service”). Nel frattempo però i gesuiti, come molti altri ordini religiosi, stavano sperimentando una grave emorragia di soggetti, accompagnata da una forte crisi di vocazioni. 

Nel 1962 la Compagnia di Gesù contava nel mondo circa 36 mila membri, ed era di gran lunga il più grande ordine religioso. Cinquant’anni dopo, cioè nel 2012, essi erano ridotti a circa 17 mila. In Italia, nel 1962 vi erano 5 Provincie con 2500 soggetti; nel 2012 troviamo una sola provincia con neppure 500 soggetti, la cui età media è però altissima. A livello mondiale, nonostante qualche zona nella quale c’è un buon numero di vocazioni, la tendenza resta sempre negativa e cioè ogni anno ci sono nel mondo circa 300 gesuiti in meno. Nel 2008, dopo un generalato di 25 anni, il P. Kolvenbach rassegnò le dimissioni. Fu eletto a succedergli lo spagnolo Adolfo Nicolás, che era stato missionario in Giappone e nell’Asia orientale. Incontrando i delegati della Congregazione Generale, Benedetto XVI rinnovò la sua stima e fiducia per la Compagnia e per il suo impegno nelle zone “di frontiera”, augurandosi di vedere rafforzato il suo impegno a servizio della Chiesa e della persona umana, a maggior gloria di Dio. Ora nel maggio 2014 anche P. Nicolàs ha presentato le dimissioni per motivi di età, avendo egli 78 anni, che diventeranno 80 prima che si metterà in moto la macchina organizzativa per riunire la nuova Congregazione generale ed eleggere il nuovo superiore.

Nel frattempo, e cioè il 13 marzo del 2013 è stato eletto al soglio pontificio proprio un gesuita, il card. Jorge Mario Bergoglio, vescovo di Buenos Aires, di 76 anni. Il suo stile rivela chiaramente la sua formazione gesuitica, basata sugli Esercizi Spirituali, sull’impegno missionario e sulla rinuncia agli atteggiamenti “mondani e vani” (Esercizi spirituali). Prima di essere nominato vescovo di Buenos Aires, padre Bergoglio aveva svolto un’attività di insegnamento della letteratura in una scuola liceale e fu poi Provinciale mentre la Compagnia argentina stava attraversando una grave crisi. È ancora presto dire quale sia stato e quale sarà l’impatto di Papa Francesco sulla Compagnia di Gesù, ma possiamo dire che già qualcosa si è mosso, nel senso che, sia pure indirettamente, egli ha dato una spinta a una maggiore missionarietà, spronandoci ad annunciare il Vangelo con più coraggio, nel dialogo con tutti, senza però assumere la mentalità del mondo, ma solo quella di Gesù Cristo. 

 

Bibliografia minima

James Brodrick, Il progresso dei Gesuiti, Ancora, Milano 1966 

Guido Sommavilla, La Compagnia di Gesù, Rizzoli, Milano 1985

Sabina Pavone, I gesuiti dalle origini alla soppressione, Laterza, Bari 2013

John W. O’Malley, Gesuiti. Una storia da Ignazio a Bergoglio, Vita e Pensiero, Milano 2014