Germania: più controlli ai confini. Ma il pericolo islamico è già dentro
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Un cambio di passo sull’immigrazione e la sicurezza in Germania, dopo ben tre attentati islamici. Protestano i paesi vicini per il ripristino dei controlli di confine. Protesta l'opposizione di destra, perché le misure sono inefficaci.
Un cambio di passo sull’immigrazione e la sicurezza in Germania, dopo ben tre attentati islamici in tre settimane, di cui uno riuscito (Solingen: tre le vittime) e due sventati all’ultimo minuto (Monaco e Linz am Rhein). Il governo tedesco, a guida socialdemocratica, deve riformare il sistema dell’accoglienza e ripristinare i controlli alle frontiere. Ma queste misure sanno di mossa elettorale, per non perdere altri Laender e stanno scontentando tutti, sia l’opposizione interna, sia i governi dei paesi vicini.
Comunque resta negli annali il cambiamento repentino del linguaggio dei politici della sinistra tedesca. Abbandonato di colpo il politicamente corretto, Nancy Faeser, ministro dell’Interno, spiega come le nuove misure servano a «proteggere la sicurezza interna dalle attuali minacce poste dal terrorismo islamico e dalla criminalità transfrontaliera». Avete capito bene: ha detto “terrorismo islamico”, le due parole che erano state bandite dai documenti dell’amministrazione Obama nel 2009 e di conseguenza anche dal linguaggio ufficiale di tutte le democrazie europee. La stessa Nancy Faeser, ha anche sostenuto «il pugno duro contro le migrazioni illegali». E tutto ciò in un governo in cui convivono socialdemocratici, verdi e liberali.
Secondo le nuove regole, la polizia dovrà controllare se un richiedente asilo abbia cercato protezione anche in un altro Stato membro dell’Ue. In caso lo abbia fatto, verrebbe rispedito a quel primo paese che lo ha accolto. La Germania è membro del trattato di Schengen e le sue frontiere sono aperte con tutti i vicini europei. La Faeser ha annunciato che il ripristino dei controlli è consentito, così come sono consentiti, dal trattato, una sospensione temporanea della libera circolazione, per motivi di sicurezza o di emergenza, come era stato nel corso della pandemia di Covid-19.
I controlli sono stati già reintrodotti al confine con l’Austria, paese da cui è arrivato l’attentatore di Monaco (era anche cittadino austriaco). Altri controlli temporanei sono stati introdotti alla frontiera orientale, con la Polonia. Il vicino orientale è letteralmente assalito da emigranti illegali spinti deliberatamente dalla Bielorussia, sin dal 2021, come ritorsione dell’appoggio dato dal governo polacco all’opposizione contro il dittatore Lukashenka. Dal 16 settembre, comunque, anche le frontiere occidentali (Francia, Lussemburgo, Belgio e Olanda) e settentrionali (Danimarca), verranno di nuovo controllate.
Il governo Scholz assicura che i nuovi controlli saranno conformi al diritto europeo, seguiranno consultazioni con gli altri governi dell’Ue interessati e non costituiranno alcuno strappo unilaterale. Rimarranno in vigore finché, a livello europeo, non verrà stabilita una «forte protezione delle frontiere esterne dell'Ue».
Ma i vicini della Germania non paiono gradire molto questo cambio di passo. La prima a lamentarsi è stata proprio la Polonia. Il governo Tusk, infatti, ha definito “inaccettabile” la nuova politica di Scholz sull’immigrazione irregolare. Non va meglio in Austria, dove la destra è in crescita proprio a causa del problema dell’immigrazione (si voterà il 29 settembre). Il ministro dell’Interno, Gerhard Karner, ha promesso che non prenderà nessuno degli emigranti illegali respinti dal vicino tedesco. Solo Geert Wilders, leader del primo partito olandese, parrebbe apprezzare e prendere esempio da Berlino: «Se la Germania lo fa, perché noi no? Per quanto mi riguarda, prima lo facciamo anche noi, meglio è». Però le comunità di frontiera, anche in Olanda, protestano, sia sindaci che organizzazioni e aziende temono l’inasprimento dei controlli doganali, l’allungarsi delle code stradali e il rallentamento del commercio.
All’interno della Germania, l’opposizione al progetto arriva dalla Cdu/Csu, il partito guidato attualmente da Friedrich Merz che ha rotto definitivamente con l’eredità immigrazionista lasciata da Angela Merkel. Merz avrebbe dovuto partecipare ieri, martedì 10 settembre, a un tavolo con il governo per concordare la nuova politica sulle frontiere. La trattativa è saltata perché il leader democristiano ha ritenuto che le proposte di Scholz non fossero credibili. «Il governo federale è chiaramente diviso internamente e non può concordare misure efficaci», dichiara Merz riferendosi a disaccordi fra Verdi, Spd e Liberali, poco visibili per un osservatore esterno, ma a quanto pare ancora abbastanza forti da rallentare e indebolire l’azione di Scholz.
Così fallisce anche il proposito politico del governo a guida socialdemocratica che, evidentemente, mirava a isolare la protesta dell’AfD, con una politica bipartisan sull’immigrazione.
Comunque, per chiunque segua il fenomeno del terrorismo islamico, queste misure risulterebbero inefficaci per un altro motivo. L’attentatore di Solingen era un clandestino che avrebbe dovuto essere espulso già nel 2023. Con le nuove regole, un suo eventuale imitatore verrebbe respinto più facilmente alle frontiere. Ma già l’attentatore di Monaco avrebbe potuto passare indenne i controlli, dato che era un cittadino austriaco. C’è già l’eccezione, dunque, che eccezione non è. Il terrorismo islamico non usa solo immigrati illegali per realizzare i suoi piani, ma fa proseliti anche fra regolari cittadini musulmani dei paesi da colpire.
Il governo avrà anche rotto il tabù lessicale per pronunciare la fonte del pericolo col suo nome: “terrorismo islamico”. Ma i provvedimenti che prende, prima contro i coltelli, poi contro l’immigrazione illegale, dimostrano che sta continuando a girare attorno al vero problema. Perché il vero problema è l’islam politico, a prescindere dalla sua cittadinanza o provenienza.