Germania, Derrick non abita più qui
Terrorismo a Berlino. In due giorni, prima parlano di incidente, poi arrestano un giovane pakistano, poi lo scarcerano e danno la caccia a un giovane tunisino. I cui documenti avrebbero potuto essere trovati sin dal primo minuto dopo l'attentato. L'anti-terrorismo tedesco ha un grave problema che riguarda anche la comunicazione pubblica. Lo si vede chiaramente almeno da questa estate, con la strage di Monaco.
La polizia tedesca ci sta regalando altre giornate di grande sofferenza e infliggendo un’ennesima sconfitta all’informazione istituzionale. Sta facendo diventare complottisti anche i giornalisti più attenti e razionali. Un tir con rimorchio è stato dirottato da un aggressore, il suo autista, il polacco Lukasz Urban, è stato ucciso dopo una lunga ed estenuante lotta, infine è stato lanciato a tutta velocità su un mercatino natalizio nel centro di Berlino, provocando 12 morti e 48 feriti. Da allora ad oggi, in 48 ore, la polizia tedesca ha cambiato versione almeno tre volte: prima ha messo in dubbio fino all’ultimo che si trattasse di terrorismo (non ha mai escluso l’ipotesi dell’incidente), poi ha dichiarato di avere arrestato un giovane pakistano, un sospetto che quasi certamente era l’autore dell’attentato; infine ha scarcerato il sospetto pakistano dichiarando che non c’entrava nulla e ha iniziato la caccia all’uomo di un altro presunto attentatore di cui sarebbero stati trovati i documenti sul tir usato per compiere la strage. Che quindi erano sul tir fino al momento dell’attentato.
E’ quest’ultima informazione che scompagina tutte le ricostruzioni. Come mai la polizia ha rintracciato i documenti del sospetto con due giorni di ritardo? Perché il tir non è stato immediatamente ispezionato, pur essendo l’“arma del delitto”? Perché, nel frattempo, è stato arrestato un pakistano che non c’entrava nulla ed è stata compiuta un’ispezione in un campo rifugiati nell’aeroporto di Tempelhof? Infine, ma non da ultimo: perché tutti gli attentatori islamici, almeno a partire dalla strage al Charlie Hebdo di Parigi, lasciano i loro documenti di identità sulle auto che usano per attaccare l’obiettivo o fuggire? Queste non sono domande da complottista. Nessuno di noi ha la risposta pronta su chi possa essere “dietro” l’attentato di Berlino. Nessuno di noi pensa ad una deliberata strategia della tensione del governo tedesco, almeno fino a prova contraria. Ma di sicuro, non resta che constatare il fallimento dell’informazione pubblica per un evento che interessa tutta l’Europa.
Stando ai documenti che la polizia ha rintracciato, l’attentatore attualmente sospettato sarebbe il tunisino Anis Amri, 24 anni, immigrato in Germania nel 2015, dopo un soggiorno in Italia di tre anni. Dal 2012, dunque, era nel nostro paese. Avrebbe più volte falsificato la sua identità e i suoi documenti, facendosi passare, di volta in volta, per un cittadino libanese ed egiziano. La Germania non gli aveva riconosciuto il diritto di asilo, un decreto di espulsione era arrivato in giugno e Anis Amri avrebbe dovuto essere espulso il prossimo aprile. Secondo Ralf Jaeger, ministro dell’Interno del Land Nord Reno Westphalia, le carte per la sua espulsione non erano ancora pronte. Per motivi puramente burocratici, dunque, Anis Amri era a piede libero in territorio tedesco. La polizia sospettava qualcosa sulle sue intenzioni? Secondo il quotidiano tedesco Der Spiegel, il giovane immigrato era classificato come un “pericolo potenziale”, dunque una persona radicalizzata in grado di condurre un attentato, regolarmente “attenzionata” dagli agenti. I documenti dell’attentatore, dunque, sono stati trovati sul tir o erano già nelle mani degli agenti? Dell’indagine e di come si stia svolgendo, sappiamo solo questi dettagli, dunque non è possibile, al momento, dare altre risposte.
Di certo, questa è la seconda caccia all’uomo in tre mesi. In ottobre, a Chemnitz, era fuggito il 22enne Jabar Albakr, presunto terrorista siriano, intento a preparare un attentato dinamitardo ad un aeroporto tedesco. La città era stata bloccata dalle autorità, proprio come la metropolitana di Berlino due giorni fa. Ma dell’uomo nessuna traccia. Nei giorni a cavallo dell’ultimo attentato di Berlino, gli agenti erano anche sulle tracce di un imam radicale, Mohamed Mahmoud, volato in Siria nei mesi scorsi per combattere nelle file del Califfato. Alla fine di novembre, come La Nuova Bussola Quotidiana aveva riportato (https://lanuovabq.it/it/articoli-il-terrorismo-jihadista-non-si-sconfigge-ignorandolo-18209.htm ), persino un agente del servizio segreto tedesco, il BfV, era stato arrestato perché era una talpa degli jihadisti. Per un anno e mezzo, stando a quanto risulta ora, avrebbe passato informazioni preziose a chi di dovere.
Fra attentati falliti e quelli portati a termine, in Germania sono ormai un evento che si ripete ogni mese. Compreso quello che, almeno ufficialmente, non è riconosciuto come un “attentato”, ma semplicemente come la strage compiuta da Ali David Sonboly, tedesco-iraniano di 18 anni, che, a Monaco, il 22 luglio scorso, ha provocato 9 morti e 35 feriti, da solo e senza aver mai avuto alcuna esperienza militare, con una pistola automatica acquistata sul Web. I testimoni parlavano inizialmente di 3 attentatori con “armi lunghe”. Per otto ore Monaco è rimasta blindata per una caccia all’uomo che è finita in niente. L’attentatore era uno solo ed era già morto (per suicidio) all’inizio della caccia. Delle due l’una: o la polizia ha dato la caccia a due fantasmi, o i due attentatori c’erano e si è preferito in seguito negare la loro esistenza per evitare di ammettere un flop. Sì, lo ammettiamo: la polizia tedesca ci sta facendo diventare complottisti.