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ECONOMIA

Generali, quel che resta dell'impresa italiana

Assicurazioni Generali è quanto resta della grande impresa privata italiana. Nata nell'Impero Austriaco quasi due secoli fa, non ha mai goduto della protezione statale italiana. E per questo è cresciuta nel mercato. Oggi è la terza assicurazione al mondo. Ma potrebbe essere acquistata dalla francese Axa. Per l'Italia sarebbe un duro colpo. Una storia emblematica.

Editoriali 13_01_2017
Assicurazioni Generali austro-ungariche

“Le Generali devono restare italiane. Basta con le paranoie sui francesi”: parola del francese Jean Pierre Mustier, amministratore delegato di Unicredit. Ossequiosamente intervistato da La Stampa, il manager si è affrettato ieri a smentire che la banca da lui diretta stia sostenendo il colosso assicurativo francese Axa, la cui monumentale sede milanese sorge a due passi dai suoi uffici, in un suo tentativo di “scalata” delle Generali.

Le Assicurazioni Generali, di cui il suo connazionale Philippe Donnet è l’amministratore delegato, sono in pratica tutto ciò che resta della grande impresa privata italiana. Per fatturato Generali è il terzo più grande gruppo italiano in assoluto. Chi la precede sono però l’Eni, che è statale, e la finanziaria della famiglia Agnelli, Exor Naamloze Vennootschap,N.V. che, come dice il nome, è di diritto olandese (ha sede ad Amsterdam), e i cui maggiori interessi e investimenti non sono più in Italia. 

Generali è la più grande compagnia italiana di assicurazioni e la terza nel mondo dopo la tedesca Allianz e appunto la francese Axa. Se poi si considera che la Fiat è ormai solo un marchio dell’americana Chrysler, che dell’industria degli elettrodomestici restano in Italia solo alcuni stabilimenti, che la maggioranza delle azioni della Pirelli è in mano cinese e russa, che i grandi marchi alimentari e dell’abbigliamento del nostro Paese sono stati da tempo acquisiti da multinazionali con sede in Francia e in Svizzera, e che la grande distribuzione è per lo più francese, ci si accorge che se anche le leve di comando delle Generali, 74 miliardi di fatturato e 2 di utile netto nel 2015, si spostassero fuori del Paese l’Italia tornerebbe alla periferia dello sviluppo

La positiva anomalia delle Generali si spiega molto col fatto che ebbe la buona sorte di non nascere in Italia. Con il nome di Imperial Regia Privilegiata Compagnia di Assicurazioni Generali Austro-Italiche, venne fondata nel 1831 a Trieste, dove tuttora ha sede, quando la città era il porto della parte austriaca dell’Impero asburgico (e Fiume invece il porto della parte ungherese), per poi sopravvivere alla fine di tale Impero, al passaggio di Trieste all’Italia e a tutte le vicissitudini successive. Diversamente insomma da tutto il resto della grande industria italiana Generali né nacque, né mai visse della protezione governativa, e perciò mantenne anche sempre una distanza dalla politica che è insolita nel nostro Paese. Oltre alla nascita al di fuori dello Stato italiano e alla proiezione internazionale tipica della sua origine asburgica, a tale distacco contribuì pure la natura dei suoi prodotti assicurativi e finanziari, di cui lo Stato non è un cliente primario. Oggi presente in 65 diversi Paesi del mondo - al primo posto in Italia, Austria e Israele, fra i primi in Germania, Francia, Spagna, e fra i primi anche in Cina - Generali è insomma l’unica vera multinazionale di cui il nostro Paese dispone. Sarebbe dunque un durissimo colpo se anch’essa passasse in mani non italiane.

Quello con il mercato francese è sempre stato per Generali un rapporto non facile. D’altra parte si tratta di una difficoltà che non riguarda soltanto la compagnia triestina. In particolare a livello di grandi imprese in Francia si fatica molto ad accettare un rapporto su un piano di parità con soci italiani. Si tratta di una difficoltà che, essendo più culturale e psicologica che di cultura d’impresa, proprio per questo risulta difficile da smontare. Nei primi anni ’60 del secolo scorso fallì sostanzialmente per questo un promettente accordo tra Alfa Romeo e Renault per la produzione in Italia della Renault Dauphine e in Francia della Giulietta. Generali era entrata sul mercato francese nel 1988 acquistando parte della Compagnie du Midi, attraverso la quale era poi divenuta azionista di Axa. Dopo aver dapprima ampliato la propria partecipazione, nel 1996 aveva invece lasciato Axa vendendo la sua partecipazione per investirne il ricavato nel nostro Paese nell’acquisto di Ina Assitalia. Perciò le voci di un’eventuale marcia del gruppo francese alla conquista di Generali risvegliano antichi fantasmi.

Tanto più a fronte della fragilità del sistema bancario del nostro Paese, che invece patisce più che mai le conseguenze della protezione e delle ingerenze dello Stato, quando perciò si dessero le condizioni per una rinascita dell’Italia come grande economia moderna, da una realtà come Generali  potrebbe venire una spinta decisiva. Beninteso, questo non significa che si tratti un mondo di mammolette, né di un mondo che avverta molto il senso della responsabilità sociale. Ha però una morale che con i tempi che corrono è già una rara e importante risorsa: la morale della produttività. Generali è il pilastro principale di quella parte dell’economia italiana che punta alla produttività e al profitto con le sue forze, e non in grazia dell’appoggio politico. Per il futuro del nostro Paese questo vuol dire molto. Perciò ci auguriamo che tutti coloro che ne sono in grado facciano sì che le voci di una “scalata” delle Generali da parte di Axa vengano smentite dai fatti.