Gender a scuola, il grande pasticcio nel Lazio
Le linee guida, pensate per le scule e ora ritirate, per l'adeguamento tra identità fisica e psichica sono illegittime e sono create per assecondare in ogni modo la transessualità di bambini e adolescenti nelle scuole
La Regione Lazio ha pubblicato e subito ritirato alcune linee guida dal titolo «Servizio per l’adeguamento tra identità fisica e identità psichica», linee guida elaborate con il contributo dell’associazione arcobaleno Genderlens e Agedo («Genitori di bambini e adolescenti con varianza di genere»). Ovviamente non è stata prevista la partecipazione di nessun soggetto non simpatizzante del mondo LGBT, né i genitori sono stati ascoltati. In breve si tratta di un vademecum per assecondare in ogni modo e a priori la transessualità di bambini e adolescenti nelle scuole del Lazio.
Le linee guida dovevano essere lanciate in un webinar per il personale degli istituti scolastici di ogni ordine e grado del Lazio in calendario per il 9 settembre. Ma dopo le proteste delle associazioni pro family, ieri in tarda serata, la Regione ha fatto un passo indietro pertanto il webinar per ora è sospeso. Sembra si sia utilizzato l'escamotage dell'utilizzo del logo dell'ospedale senza autorizzazione.
In ogni caso il documento non viene contestato nel suo insieme e pertanto rimane agli atti. Anticipiamo subito un giudizio di carattere giuridico-amministrativo su queste linee guida che sono illegittime. Dichiara Rossano Sasso, sottosegretario del ministero dell'Istruzione: «L'Ufficio Scolastico Regionale del Lazio si è prodotto in una inaccettabile apertura sulla questione relativa all'identità di genere. Quello che si configurava come un semplice webinar, tra l'altro promosso da associazioni che hanno una smaccata connotazione politica, è stato trasformato in un evento-faro per tutti gli istituti del territorio, una sorta di base di riferimento da cui partire per poi magari declinare il tema con sfumature ancora più oltranziste. Un modo di agire che ha giustamente sollevato le proteste di dirigenti scolastici, insegnanti e famiglie e che, come Lega, non possiamo che stigmatizzare».
E poi Sasso ha appuntato che si è «agito in esplicita violazione di una circolare del 2015 dello stesso Ministero: in quel documento si ribadisce come le ideologie gender non rientrino tra le conoscenze sui diritti e i doveri dei cittadini da trasmettere agli studenti e siano da considerare pratiche estranee al mondo educativo. Il Ministero, quindi, ha già stabilito che le teorie sull'identità di genere non devono essere confuse con insegnamenti sacrosanti come il rispetto di tutte le persone, il rifiuto di qualsiasi forma di discriminazione e il contrasto a ogni tipo di violenza e bullismo».
Veniamo ora al contenuto di queste linee guida le quali trattano innanzitutto della Gender Revolution, che consiste nel «superamento del concetto di “binarismo sessuale” che prevede l’esistenza di solo due generi (maschile e femminile), che è stato sostituito da quello di “spettro di genere” secondo il quale il genere si presenta in un’infinita varietà di forme, dimensioni e tonalità. […] Tutti i bambini e gli adolescenti costruiscono la loro identità di genere intessendo tre fili principali (natura, educazione, cultura) per arrivare a trovare quel genere che corrisponde alla loro specifica identità»
Il documento così prosegue: «Varianza di genere è l’espressione maggiormente utilizzata per indicare l’esperienza di quei minori che non si sentono a loro agio nel genere assegnato alla nascita sulla base del loro sesso biologico, oppure che non si conformano con le regole sociali che tale assegnazione suppone. […] Nella maggior parte dei casi, i comportamenti di questi bambini sono da considerarsi semplicemente come la naturale espressione della variabilità umana, che andrebbe pertanto accolta come una risorsa e non come un problema. In alcuni casi la varianza di genere può comportare un disagio significativo che non permette alla persona di vivere una vita pienamente soddisfacente: si parla allora di “Disforia di Genere”. Per alcune persone, il superamento di questa incongruenza e del disagio che ne deriva passano attraverso interventi medici che possono includere terapie ormonali e/o chirurgiche».
Le linee guida riportano poi molti studi che comprovano che le persone transessuali sono affette da numerosi disturbi psicologici. Per gli estensori delle Linee questi disturbi trovano la loro radice nello stigma sociale e possono essere superati accettando il nuovo «genere», quando invece è tale scelta a peggiorare la situazione. Il disagio provato dalla sensazione di abitare in un corpo sbagliato – la cui genesi può essere plurima – non può essere superato assecondando una percezione errata, bensì educando la mente ad accettare ciò che sicuramente non può essere un errore. Infatti non è il corpo che deve adeguarsi alla mente, ma la mente al corpo.
L’essere biologicamente maschi o femmine non può mai essere un errore, un problema o addirittura una patologia. Qui sta il primo e più importante inciampo della teoria gender sulla transessualità. Se un bambino o un adulto non accettasse di avere due occhi e ne volesse uno potremmo dire che per quel bambino o adulto avere due occhi è sbagliato, che lui ha un occhio di troppo? Dovremmo assecondare la sua percezione e cavargli un occhio? E chi si dovesse opporre verrebbe tacciato di orbofobia? È vero, si tratta di una iperbole, ma assolutamente coerente con le premesse contenute nelle Linee guida, che rivela come la scelta di diventare transessuale sia una scelta non moralmente lecita, come avevamo spiegato a suo tempo da queste stesse colonne.
Il documento poi passa alle modalità di indottrinamento al credo gender di scolari e docenti. Si parte dalle «buone pratiche scolastiche» che consistono nel soddisfare i seguenti obiettivi: «formazione al personale scolastico e agli studenti; politica e modulistica che riflettano un linguaggio di genere inclusivo; attivazione della “Carrera Alias” [si tratta della assegnazione allo studente di una identità sessuale provvisoria di natura amministrativa diversa da quella presente nei documenti di riconoscimento ufficiali]; uso del nome e dei pronomi scelti; uso dei bagni e degli spogliatoi [viene consigliato di andare nei bagni dei professori]». In merito invece alle classi dove è presente il bambino o ragazzo trans si suggerisce di fare lavori di gruppo in classe, la «realizzazione di attività non segregate [sic] per sesso, […] mettere in atto protocolli per la prevenzione, l'individuazione e l'intervento di fronte al bullismo scolastico delle persone transgender».
Vi sono alcuni aspetti peculiari di questa ennesima strategia gender in ambito scolastico. La prima: il soggetto proponente non è un singolo istituto scolastico, un’associazione arcobaleno, bensì una regione, la Regione Lazio. In secondo luogo l’ampiezza della offensiva lanciata: tutti gli istituti della regione sono potenziali destinatari di questa iniziativa. In terzo luogo – ed è forse l’aspetto più saliente – non si cerca più di benedire il fenomeno dei baby trans tramite iniziative particolari come letture, seminari, visione di film, testimonianze, assemblee scolastiche. Le linee guida regionali sono un piano di attacco perfetto perché esaustivo, ad ampio spettro: interessano a 360° tutto l’ambiente scolastico. Una strategia olistica, poi, dichiaratamente favorevole alla transessualità per i minori, senza infingimenti e senza tentennamenti, quando invece da più parti nel mondo (clicca qui, qui e qui) si fanno decisi cambi di rotta in merito al tema della transessualità nei bambini e negli adolescenti.
Ultima nota: qualcuno sui media e sui social sta protestando. Ma divenuta legge il Ddl Zan come sarà possibile opporsi a progetti come questi senza rischiare il carcere?