Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
MEDIO ORIENTE

Gaza, uccisi sei ostaggi. In Israele rivolta contro Netanyahu

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In un tunnel di Rafah trovati uccisi sei degli ostaggi che i miliziani di Hamas rapirono nel blitz dello scorso 7 ottobre. E la rabbia delle famiglie degli ostaggi contro il premier israeliano cresce e si allarga con la richiesta di uno sciopero generale.

Esteri 02_09_2024

Erano guardati a vista dai miliziani di Hamas, in un tunnel di Rafah, i sei ostaggi uccisi, poco prima di una loro possibile liberazione. Cinque erano stati rapiti mentre partecipavano al festival di musica di quel tragico 7 ottobre dello scorso anno, una delle due donne, invece, risiedeva in un kibbutz della zona. Hersh Goldberg-Polin, uno dei sei prigionieri, era nato negli Stati Uniti in una famiglia di origine ebraica, trasferitasi successivamente in Israele. La sua morte è stata annunciata dallo stesso Joe Biden che ha dichiarato di «essere devastato e indignato» per quanto accaduto. Gli altri cinque ostaggi ritrovati morti si chiamavano: Carmel Gat, Eden Yerushalmi, Alexander Lobanov, Almog Sarusi e Ori Danino.

Si ipotizza che siano stati uccisi poche ore prima dell’arrivo dei soldati israeliani, dai miliziani di Hamas che si sentivano braccati. Vicino a loro c'erano i cadaveri di alcuni combattenti di Hamas. Erano persone indifese, impaurite, debilitate da undici mesi di prigionia, ma con una sola colpa: essere israeliani e trovarsi nel bel mezzo di una prova di forza in questa sempre più assurda e disumana guerra. Ma Izzat Al-Rishq, un alto funzionario di Hamas, ha dichiarato che gli ostaggi sono stati, invece, uccisi, contemporaneamente a dei miliziani, da attacchi aerei israeliani.

«Prego perché l’amore vinca l’odio e la vendetta sia disarmata dal perdono». Con queste parole, papa Francesco concluse l’udienza generale dello scorso 7 agosto davanti ai fedeli nell’aula Paolo VI. Il tema dei conflitti in atto è una costante degli interventi del Santo Padre. «Seguo con attenzione il conflitto in Medio Oriente - proseguì il pontefice in quell’occasione - e rinnovo il mio appello a tutte le parti coinvolte affinché la guerra non si estenda ulteriormente e si attui un immediato cessate il fuoco, soprattutto a Gaza, dove la situazione umanitaria è estremamente grave e insostenibile».

Il ministro delle Difesa israeliano, un critico Yoav Gallant, invita il primo ministro Netanyahu ad abbandonare l'idea di mantenere il controllo sul corridoio Filadelfia, che è un ostacolo per gli accordi, e concentrarsi maggiormente sulla liberazione degli altri prigionieri ancora in vita.

Ma la rabbia delle famiglie degli ostaggi non si arresta e sta coinvolgendo ogni città e villaggio d’Israele, annunciando clamorose proteste contro Netanyahu. Il Forum delle famiglie chiede al primo ministro di assumersi le proprie responsabilità: «Negli ultimi mesi, otto ostaggi sono stati salvati vivi nel corso di operazioni militari, rispetto ai centocinque rilasciati nell’accordo di novembre», si legge nella pagina social. E sempre su X si dichiara: «Non ci aspettiamo che il terrorista Sinwar restituisca gli ostaggi, attendiamo, invece, che il primo ministro di Israele faccia di tutto per riportarli a casa».

Da più parti, ormai, si chiede uno sciopero generale contro il governo e le dimissioni dei ministri. Il segretario generale di Histadrut, il principale sindacato nazionale dei lavoratori, ha annunciato per oggi la protesta contro il governo Netanyahu, chiedendo anche l’immediato rilascio dei prigionieri. Lo sciopero è un'iniziativa senza precedenti e le famiglie degli ostaggi sperano che la mobilitazione possa far cambiare la posizione del primo ministro sulla questione di Filadelfia. Anche i comuni di Kfar Saba e Givatayim hanno dichiarato che non forniranno servizi alla cittadinanza. Il sindaco di Givatayim, Ran Kunik, ha scritto in una nota che i dipendenti pubblici della città manifesteranno insieme alle famiglie degli ostaggi per sollecitare il governo a raggiungere un accordo per la liberazione dei prigionieri. «Dobbiamo fare tutto il possibile per riportare a casa immediatamente gli ostaggi: questa è la responsabilità di tutti», ha pubblicato Saar, primo cittadino di Kfar Saba in una nota.

Intanto prosegue la guerra non dichiarata di Israele alla Cisgiordania. Dopo cinque giorni dall'inizio dell'operazione militare su vasta scala, l'assedio a Jenin e al suo campo profughi sta diventando opprimente. L'esercito ha inviato nuovi reparti per setacciare, casa per casa, tutta la città. L'ospedale ha annunciato la sospensione del servizio di dialisi perché le incursioni israeliane impediscono ai pazienti di raggiungere la struttura ospedaliera. Il mercato ortofrutticolo è stato dato alle fiamme e tutti gli ingressi chiusi. Sui tetti di parecchi edifici ci sono i cecchini che sparano a chiunque si muova. L’obiettivo di Israele non è solamente quello di bloccare o falcidiare la resistenza palestinese, ma di rendere impossibile la vita nei campi profughi e mettere in fuga gli abitanti. Molte famiglie sono scappate da Jenin e le loro abitazioni sono state rase al suolo.

Anche Hebron è isolata. Chiusa la moschea della Tomba dei Patriarchi. Le strade sono deserte, i tiratori scelti dell’esercito ebraico sono posizionati sui tetti e le auto palestinesi non possono transitare lungo la superstrada 60 che collega Hebron a Gerusalemme. Sospeso anche il rifornimento di luce e acqua.

A tutto ciò si aggiungono le provocazioni del ministro della Sicurezza nazionale, Ben Gvir, che in un post farneticante invita il governo a mettere in atto delle restrizioni nei confronti della popolazione palestinese e ad uccidere i palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Il ministro, rappresentante del partito ultraortodosso dell'estrema destra ebraica, ha anche affermato che «il diritto alla vita degli israeliani ha la precedenza sulla libertà di movimento dei residenti della Giudea e della Samaria»

È chiaro che tutto ciò non fa che aumentare la tensione con la Cisgiordania. I gruppi della resistenza hanno portato a termine, nei mesi scorsi, degli attacchi, anche se poco organizzati ora, invece, resta l’incognita della possibile reazione palestinese.

«Mai più violenza! Mai più guerra! Mai più terrorismo! In nome di Dio ogni religione porti sulla terra giustizia e pace, perdono e vita, amore!» Con questo rinnovato impegno alla concordia tra i popoli Benedetto XVI chiuse, nel 2011 ad Assisi, la Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, a venticinque anni esatti dal primo incontro convocato dal suo predecessore, il futuro santo, Giovanni Paolo II.



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