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IL CASO

Gay Uno si merita il nostro canone?

A Domenica In del 27 gennaio scorso la conduttrice Lorella Cuccarini ha mandato in onda uno spettacolo non all'altezza del servizio pubblico. “Così è la vita” è stato infatti un collage di luoghi comuni all'insegna dell'ideologia omosessuale e la famiglia eterosessuale è stato il bersaglio diretto di tutta la puntata. A questo punto conviene pagare ancora? 

Cronaca 30_01_2013
La sede della Rai

È domenica pomeriggio. E la domenica è giorno dedicato alla famiglia. Cosa ti inventa la Rai? Sul primo canale – quello appunto per le famiglie – durante la trasmissione Domenica In del 27 gennaio scorso la conduttrice Lorella Cuccarini ci introduce in un alternativo focolare domestico. Quello omosessuale.

La sezione della trasmissione in cui la Cuccarini fa da padrona di casa si chiama “Così è la vita”. E allora andiamo a vedere come è questa vita secondo gli autori di Domenica in. Sfilano in rassegna sui divanetti dello studio le seguenti storie: Francesca Vecchioni, figlia del più noto Roberto Vecchioni, è lesbica e insieme alla propria compagna hanno avuto due gemelline tramite Fivet fatta in Olanda.
Una signora, di nome Anna, è stata sposata due volte, ha avuto sei figli, ma a un certo punto si è innamorata di una donna, la quale ha poi deciso di cambiare sesso e da Cristina ora si chiama Roberto, ed è andata a vivere con lei.
Inciso: la signora Anna tiene a precisare con un certo disappunto che lei non è gay ma etero. In ultimo la storia di un giovane omosessuale il quale appare un po’ reazionario e retrivo nel suo convincimento che i gay possono sì vivere insieme, ma per l’adozione è troppo presto ora in Italia. Però se gli altri suoi gai compagni lo volessero fare, liberi di comportarsi come vogliono.

Segue dibattito con Paolo Crepet, psicologo nato televisivamente a Porta a Porta, Piero Sansonetti, ex direttore di Liberazione, la giornalista Suor Myriam Castelli, la psicologa Paola Biondi, che gestisce l’unico sito italiano di LGBTIQQ. A beneficio di coloro che sono ancora fermi alla bipartizione da pleistocene maschio-femmina (“gender-binary” la chiamano i gay) illustriamo l’acronimo: Lesbian Gay Bisexual Transgender Intersexual Queer and Questioning (sugli oscuri significati di queste espressioni magari ci torneremo un’altra volta).

La trans-missione (non è un refuso) è stata paradigmatica in tutti i sensi perchè non mancava nessun ingrediente dello stereotipo dominante in tema di omosessualità. In primis sono stati snocciolati,  tutti ma proprio tutti gli argomenti che di solito i gay usano per sostenere le loro tesi: siamo persone come tutte le altre, che male c’è ad amare una persona dello stesso sesso, l’importante non è essere etero o omosessuali, ma essere buoni genitori, una volta venivano visti in malo modo i matrimoni tra bianchi e neri ora tocca agli omosessuali, fondamentale è l’affetto che ricevono i bambini non le scelte sessuali dei genitori, il problema è cambiare la mentalità comune non far cambiare gli stili di vita degli omosessuali, e via con discorsi di questo “gender”. Il catalogo del luogocomunismo era completo. 

In secondo luogo le relazioni omosessuali nella trasmissione sembravano tutte uscite dalla macchina dello zucchero filato, quelle eterosessuali venivano invece dipinte come fragili, ipocrite, violente: “le coppie eterosessuali hanno fatto carne di porco ovunque” Crepet docet; il padre di famiglia fino a ieri era “padrone non solo dei figli, ma anche della donna”, rincara Sansonetti. Ciò risponde al clichè che in ogni campagna ideologica devi trovare un nemico: va da sé che l’eterosessuale è pieno di pregiudizi ed è retrogrado, invece l’omosessuale è il nuovo che avanza, amico di tutti e rispettoso di ogni idea, quindi intoccabile.

Se poi l’eterosessuale è puro cattolico come lasciarsi sfuggire l’occasione di invitarlo in trasmissione per massacrarlo? Ed ecco quindi in mezzo all’arena di Domenica In spuntare suor Myriam, graffiante come Cappuccetto Rosso con il lupo cattivo.
Badate bene: encomiabile il martirio mediatico di Suor Myriam, ma nulla avrebbe potuto dato che a favore del pensiero gaio in quella puntata si sono espressi ben 9 persone. Oltre alla par condicio elettorale occorrerebbe studiarne una anche televisiva.

Dunque “Così è la vita” secondo Domenica in (chissà cosa direbbe oggi il compassato Corrado, primo conduttore nel ’76 del programma, a cui si deve il titolo dello stesso?) e gli spettatori – circa 3,2 milioni, il 16% dello share – si arrendano all’evidenza. Certo è una resa che costa, ben 113,50 euro. Ma i servizi forniti dalla televisione di Stato hanno il loro prezzo, non solo culturale, bensì anche pecuniario.

Poco importa che in pieno pomeriggio Gay Uno (anche questo non è un refuso) abbia fatto uno spottone senza reale contraddittorio a favore della sodomia. La Rai è una mensa pubblica dove che tu ti sieda a mangiare oppure no – l’importante ci dice la pubblicità di questi giorni è il possesso del televisore – il conto lo paghi e non puoi di certo scegliere che piatto mangiare. Peggio: lo paghi anche se il cibo non ti è piaciuto e ha intossicato te e la tua famiglia.
Si risponderà: basta cambiare canale o spegnere la televisione. Errato: noi tutti abbiamo diritto che dai rubinetti di casa nostra esca acqua potabile, non avvelenata, e non dovremmo essere costretti a controllare ogni goccia d’acqua, né messi nella condizione di comprare acqua in bottiglia. Fuor di metafora: nulla di ciò che esce dal tubo catodico dovrebbe svilire la dignità dell’uomo e il valore della famiglia.

Si obietterà: ma è proprio del servizio pubblico dare voce a tutti. Ma siamo così certi che ogni opinione, ogni fenomeno, ogni condizione di vita, ogni scelta meriti di essere sotto i riflettori e dunque promossa? Non tutte le opinioni sono degne di rispetto sebbene tutte le persone siano da rispettare nella loro dignità. Perché razzismo, pedofilia, degrado ambientale, guerre sono giustamente da censurare e non così invece – per ipotesi, per mera ipotesi – l’omosessualità? Chi lo decide? Il vento dello share che spira sempre nella stessa direzione?