Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Colombano a cura di Ermes Dovico
LA POLEMICA A REGGIO

Gay pride Il vescovo e il comando

Zittisce i suoi preti che sui giornali hanno sdoganato l'omosessualità, bacchetta i fedeli che non gli hanno chiesto il permesso di usare la Cattedrale per la veglia di riparazione, si rifà alla "vituperata" nota dell'86 per dire che gli omosessuali devono cercare castità e preghiera e soprattutto definisce, ancora, l'omosessualità un disordine. Il vescovo di Reggio interviene sul caso gay pride. E ribadisce un concetto spesso dimenticato: il comando appartiene a lui, piaccia o no lo stile.

Editoriali 29_05_2017

Alla fine ha parlato lui. Il vescovo di Reggio Massimo Camisasca è intervenuto sulla vexata quaestio che da giorni sta infiammando Reggio Emilia e non solo. La vicenda è quella del gay pride previsto per sabato prossimo nella Città del Tricolore. Anche la Nuova BQ se n'è occupata, quindi per le puntate precedenti rimandiamo agli articoli dei giorni scorsi (quiqui e qui). 

Dunque Camisasca ha parlato e dal comunicato, che si può leggere qui, tutti ovviamente hanno cercato di tirare a pro domo propria alcune frasi. Dai titoli è sembrato che il vescovo desse il via libera al gay pride e alla veglia anti omofobia svoltasi il 17 maggio. Nulla di più falso. 

Nel comunicato viene ribadito più volte il Catechismo. E nel Catechismo non c'è nulla che sdogani le parate gaie e l'omoeresia. Camisasca ha poi sposato in toto la linea tracciata dalla nota della Congregazione per la Dottrina della fede sulle persone omosessuali del 1986 per dire che «sono contento che persone con orientamento omosessuale si trovino a pregare sotto la guida di un sacerdote e con la partecipazione di altre persone. Questa proposta non deve avere nulla a che fare con l’adesione a quei gruppi Lgbt che rifiutano e irridono la dottrina della Chiesa».

Che è proprio quello che non è stato fatto a Reggio dato che durante la veglia organizzata da un suo parroco le sigle Lgbt erano ben piazzate e non si è fatto minimamente cenno all'esperienza di Courage.

Infatti i giornali si sono fermati prima e quel passaggio lo hanno ignorato. Così come hanno ignorato la dura reprimenda nei confronti dei sacerdoti chiacchieroni che in questi giorni si sono esposti mettendo in difficoltà il pastore reggiano con affermazioni decisamente da cartellino rosso.

Camisasca ha detto che tutte le volte che un prete parla in pubblico le sue parole hanno ricadute su di lui. Un modo elegante per dire: la prossima volta state zitti, perché l'avete fatta fuori dal vasino. E anche qui i giornali non hanno voluto cogliere.

Ma Camisasca si riferiva anche ai liaici e qui veniamo al comintato Beata Scopelli, che con l'aiuto di Radio Spada in questi giorni è attivissimo a cercare adesioni di cardinali come Burke o vescovi come Schneider o teologi come Livi che fino all'altro ieri considerava troppo tiepidi e pavidi contro il modernismo imperante. 

A Camisasca non è andato giù che si sia speso il nome della cattedrale per pubblicizzare quella veglia di riparazione che per forza di cose ha attirato l'attenzione della stampa mainstream fino a far scivolare il cerino in mano al vescovo, che pure loro hanno sfidato in aperta polemica. Il vescovo ha riconosciuto che i fedeli hanno tutto il diritto di trovarsi a pregare in pubblico, ma questo avviene anche per la processione del Corpus Domini. Un passaggio non di poco conto, perché Camisasca sa che nessuno di quel comitato sarà presente tra qualche giorno a portare la Santissima Eucarestia per le strade di Reggio dato che si tratta di un'iniziativa della Diocesi, quindi troppo modernista per i loro gusti.

Ma Camisasca ha voluto anche lanciare un altro messaggio, che pochi hanno compreso: è in quella processione in cui il Salvatore si mostra nel suo volto splendente da Risorto che verrà fatto l'atto di riparazione della diocesi all'affronto del gay pride. Una processione eucaristica che arriverà a lavare le strade imbrattate dal gay pride. Lo specificherà? Lo comunicherà? Non è dato a sapere, però un fatto è certo: è in quel riferimento al «carisma del pastore» e al sentire «cum ecclesia» che in questa vicenda è mancato a tutti, che Camisasca vuole esercitare il ruolo di vescovo che gli è toccato in sorte da Benedetto XVI.

E nelle intenzioni del vescovo rientrano anche questi pubblici peccati gravi. Anche Giovanni Paolo II non fece una consacrazione esplicita della Russia. I frutti si vedono oggi. Può piacere o non piacere come stile, a noi ad esempio piace di più lo stile garibaldino dell'armiamoci e partite, più muscolare nel chiamare il male col suo nome, ma non siamo così ottusi da non pensare che se la linea scelta dal vescovo in scienza e coscienza sia questa, non ci siano delle buone ragioni che al momento sfuggono a noi. Alla fine i fedeli, dopo aver fatto sapere al loro pastore le loro opinioni, e questo è stato fatto, devono poi gettare la spugna e accettare con fiducia la decisione presa. A che cosa serve continuare a lagnarsi? Il carisma del pastore appartiene a lui. 

Da ultimo un accenno alla Consacrazione al Cuore Immacolato di Maria che la diocesi ha fatto il 13 maggio a Reggio. Un evento, come abbiamo detto nei giorni scorsi tra i pochissimi in Italia e che il diavolo ha cercato di offuscare per bene con questo, appunto, pandemonio di lustrini e paillettes. Camisasca si lamenta con i giornali di aver snobbato quella preghiera solenne di affidamento. E lo fa sapendo che tutto quello che gli è capitato di vedere in questi giorni ha una sua origine ben precisa. 

Sì, ma, dirà qualcuno, Camisasca non ha detto nulla contro il Gay Pride. E che doveva dire? Soprattutto dopo aver proclamato questo: «Ribadisco con convinzione l’affermazione del Catechismo che sostiene che "gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati"». Vi sembra poco? In tempi come questi dove molti vescovi e preti sono diventati omoeretici quando non omosessuali, è già un'enormità. Accusarlo di essere pavido può dare un'ebbrezza iniziale, ma visto quello che combinano altri suoi colleghi di episcopato sul tema gay e affini, capiamo anche chi alla fine la risolve così: «Nui chiniam la testa al Massimo pastor».