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CIRCO MEDIATICO-GIUDIZIARIO

Garavaglia e Mantovani assolti, vittime della gogna

Massimo Garavaglia (ministro del Turismo) e Mario Mantovani (ex vicepresidente della Lombardia), entrambi del centrodestra, sono stati assolti. Ma stanno subendo da anni una gogna mediatica senza sosta. E Mantovani ha subito anche il carcere, da innocente. Il giustizialismo mediatico mina le basi dello Stato di diritto. 

Politica 15_03_2022
Mario Mantovani

I fatti sono ormai chiari. La Corte d’Appello di Milano ha confermato l’assoluzione per il Ministro del Turismo ed esponente della Lega, Massimo Garavaglia, che «non ha commesso il fatto», come già sentenziato nel luglio 2019 in primo grado dal Tribunale meneghino, cioè non è colpevole di turbativa d’asta su una gara per il servizio di trasporto di persone dializzate nel 2014, quando era assessore all’Economia della giunta regionale lombarda. Non solo. Anche l’ex vicepresidente della Regione Lombardia, ex senatore ed ex sindaco di Arconate, Mario Mantovani, che in primo grado era stato condannato per gli stessi fatti a cinque anni e sei mesi di carcere ed era stato arrestato nel 2015 per corruzione, concussione e turbativa d’asta, viene assolto dalla Corte d’Appello di Milano. L’accusa aveva sostenuto che Mantovani fosse “a capo” di un “sistema di favori” e che gestiva un “groviglio di interessi pubblici e privati che si concentrava nella sua figura, un sistema gestito anche dal suo entourage e dalle sue persone di fiducia”.

Gli ulteriori approfondimenti fatti hanno portato al ribaltamento del verdetto di primo grado. Nel frattempo, però, Mantovani, che nell’ottobre 2015 ha anche provato il carcere, ha dovuto attendere sette anni per avere giustizia. «Buona giustizia di oggi contrapposta alla cattiva giustizia di ieri», ha commentato a caldo, visibilmente emozionato e al termine di un calvario che gli sarà sembrato infinito. Assolti anche il contabile Antonio Pisano e tutti gli altri imputati. Castelli di accuse infamanti che si sono sgretolati nel tempo e che hanno portato ad un verdetto che deve far riflettere. Ormai assistiamo sempre più spesso a verdetti assolutori, che alimentano innegabilmente il sospetto di un uso politico della giustizia da parte di alcuni pm.

Sia ben chiara una cosa: i tre gradi di giudizio, nello spirito del nostro ordinamento giuridico, servono a ponderare le decisioni e a evitare errori a favore o contro gli imputati. Nessuno discute questo. Ciò che però rimane agghiacciante è anzitutto la lunghezza infinita di alcuni processi, che finiscono per tenere sulla graticola per tantissimi anni persone private dell’onorabilità pubblica e impossibilitate a svolgere attività politica ma anche, in molti casi, il proprio lavoro. In secondo luogo risalta il clamore mediatico che molte vicende giudiziarie ricevono e che finisce per stroncare carriere politiche e distruggere vite personali e famigliari.

Potrebbe esserci un modo diverso di amministrare la giustizia e di raccontarla ai cittadini, un modo più rispettoso della dignità delle persone coinvolte nelle inchieste e nei processi. Questo modo dovrebbe fondarsi sulla presunzione di innocenza e sulla sobrietà nella narrazione mediatica delle vicende giudiziarie. Sono due principi che la magistratura e il giornalismo tendono troppo spesso a ignorare, quando non a calpestare. Ne hanno fatto le spese in tanti. Quando, infatti, arriva la riabilitazione, il fango mediatico ha già prodotto i suoi effetti stroncatori e la frittata, per così dire, è già stata fatta. In Lombardia queste assoluzioni sono sempre più frequenti. Basti pensare alle accuse rivolte per mesi al governatore Attilio Fontana e che, una dopo l’altra, si stanno sciogliendo come neve al sole.

Il giustizialismo anche mediatico ha minato profondamente le basi dello Stato di diritto e sta erodendo le fondamenta della credibilità della cronaca giudiziaria. Parafrasando la celebre frase di Piercamillo Davigo, che vedeva colpevoli ovunque e che sosteneva che tutti fossero colpevoli perché “una persona assolta in realtà è solo un colpevole che l’ha fatta franca”, possiamo concludere che, nel caso di Garavaglia, Mantovani e di tanti altri imputati sottoposti alla gogna mediatica e alla spettacolarizzazione della cronaca e poi assolti, a farla franca sono stati i pm che li hanno accusati e i giornalisti che hanno alimentato la narrazione colpevolista, aggravando e amplificando il calvario personale dei diretti interessati. Infatti, nessuno di loro pagherà per questi errori. A pagare sono stati e saranno sempre e solo i malcapitati che finiscono nel tritacarne mediatico-giudiziario senza potersi difendere.