Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

MURI E MURATORI

Furio & Gianni, ecco il lato comico del castrismo

Furio Colombo e Gianni Minà, li conoscete? Entrambi giornalisti e scrittori, entrambi post comunisti faziosi e à-la-page. Ieri, per strana coincidenza, Gianni & Furio si sono incontrati: il primo intervistato dal Fatto Quotidiano, l’altro nella sua rubrica. A parlare, nel giorno della caduta dell’ultimo Muro, di Fidel e del Che.

Politica 19_12_2014
Furio Colombo

Gianni Minà e Furio Colombo, li conoscete? Entrambi giornalisti e scrittori, entrambi post comunisti faziosi e à-la-page, di quelli che andavano forte negli anni Settanta. Quando la migliore gioventù, tutta “yankee go home” e “giù le mani dal Vietnam” sognava romantiche rivoluzioni caraibiche Gianni era tra questi: in Rai, dove nel tempo libero si occupava di pugilato, l’avevano assunto in quota Fidel Castro. Furio, invece, very kennediano e grande esperto di America, faceva il bravo presentatore pacifista alle prime tournèe in Italia di Bob Dylan e Joan Baez. Poi si dedicò agli affari di casa Agnelli: una sorta di Lapo Elkann nella Fiat di mezzo secolo fa. Oggi i due sono ancora sulla breccia mediatica e non hanno cambiato idee. Sempre un po’ cialtroncello e ruspante il cubano Minà, toujour raffinato e sciccoso l’americano Colombo. Ieri, per strana coincidenza, Gianni & Furio si sono incontrati: il primo intervistato a pagina 13 del Fatto Quotidiano, l’altro nella sua rubrica a pagina 19. A parlare, nel giorno della caduta dell’ultimo Muro (guarda caso), di Fidel e di Che Guevara.

A leggere quel che dichiara l’imbiancata coppia di ex ribelli viene in mente una battuta di Mick Jagger, il nonno dei Rolling Stones: «Nei primi anni Settanta eravamo giovani, belli e molto stupidi. Ora siamo solo stupidi». Fulminante e geniale il baronetto Mick, ironica incona delle sciocchezze di un’intera generazione. Minà non la pensa così e alla richiesta di un parere sul disgelo Cuba-Usa, lui risponde come fosse in collegamento dall’Avana: «È un grande successo di Fidel Castro e di suo fratello Raul», esulta Gianni. «I fatti dimostrano che il comunismo e il capitalismo sono falliti, mentre Cuba è ancora lì. E i due fratelli hanno avuto la meglio. Fidel ha 89 anni e scrive 2 articoli a settimana mentre Raul ha cominciato la modernizzazione del paese e gli è parzialmente riuscita. Tutti stimavano Raul meno importante del fratello, invece ha fatto la storia». Anche Minà di anni ben 76, ma ragiona come ne avesse ancora venti. Suonato come dei suoi pugili, per lui Cuba rimane il solo paradiso rimasto in terra e grazie ai fratelli Castro el pueblo cubano guarda con fiducia al radioso avvenire. Dice il comandante Gianni: «Oggi a Cuba c’è la più bassa mortalità infantile, la più alta media di vita e la migliore organizzazione di protezione civile. Quando arriva un uragano a Cuba muoiono due persone, in Louisiana settecento».

Da non credere. Nell’eden tropicale magari si fa la fame e con i pochi pesos in saccoccia la gente non arriva nemmeno alla seconda settimana del mese. Le galere dei fratelli Castro sono affollate da rompiscatole e arruffapopoli di ogni risma. Vabbè, c’era l’embargo e poi la revolucion mica è cosa da signorine. Però quando si alza il vento e fischia la bufera, dice il metereologo Minà, non c’è posto al mondo più felice di Cuba. Volete andarvene a trovare la libertà a Miami o a New Orleans? Okkei, fate pure ma poi non piangete se un tifone yankee vi affogherà tutti. Voi e gli altri gringos imperialisti. Cuba batte Lousiana settecento a zero. Con Minà il comunismo, finita la frutta, è arrivato a Che tempo che fa

Il riso fa buon sangue e al Fatto Quotidiano, la gazzetta truzza della gauche manettara, andrebbe assegnata la medaglia d’oro dell’Avis. Dopo il colonnello Minà, ecco il servente Colombo. Un sollievo per i lettori che dopo paginate di verbali questurini, intercettazioni, interrogatori, commenti travagliati e pensose padellate, possono tirare il fiato e farsi due risate. Il suo curriculum è  alto trenta piani: ex direttore dell’Unità, senatore dell’Ulivo, ex fan di Mani Pulite, pluripensionato con medaglia al merito della famiglia Agnelli.  A quei tempi stava in un elegantissimo ufficio a Park Avenue, stanza d' angolo con vista su New York.  Anni felici, quelli americani di mister Fiat. «Su e giù dall'Europa col Concorde», ha scritto qualche tempo fa Maria Latella sul Corriere della Sera, «e quando l' Avvocato arrivava a trovarlo, si passava un momento dal Guggenheim, incontravano Andy Warhol e Bianca Jagger, Henry Kissinger e l' ambasciatore Richard Gardner». Molti l’hanno poi conosciuto in tv, ospite degli anchorman della sinistra di piazza e di salotto: boccuccia serrata, dizione perfetta, ciocche dai riflessi azzurrini e aria aristocratica di chi paga regolarmente le quote al club dei migliori. Ecco, a uno così, il Fatto ha affidato da tempo la sua posta del cuore, la rubrica 2° domanda rispondo” con la lettera migliore della giornata. 

Come quella della signora Angela: chiede spiegazioni dopo aver visto le foto dei ragazzi della grande protesta di Hong Kong indossare le t-shirt con l’immagine di Che Guevara. Il Che in Cina, e quando mai? Vero, risponde Colombo, quelle foto le ha viste sfogliando il New York Times (già, uno come lui mica sfoglia la prima cosa che gli capita) e il ragionamento gli è venuto spontaneo: «la Repubblica Popolare Cinese che si definisce tuttora se stessa un Paese comunista. Che Guevara è un eroe comunista» e se tanto mi dà tanto, pensa Furio, qui c’è qualcosa che non torna.

Al pensoso intellò non gli sfiora il sospetto che le canotte guevariste made in China vengano prodotte in qualche fabbrichetta dell'interno, magari con le felpe di Salvini, per essere smerciate sui mercatini occidentali. E allora, come sciogliere l'emigma? Trovato: «Che Guevara rappresenta uguaglianza» e la lotta allo sfruttamento, «ma è anche simbolo di libertà. Mostrando quella immagine, io dichiaro che non mi sottometto, che non ripeto il tuo slogan, che non eseguo il tuo ordine, che non partecipo al tuo gioco. Chiamo Guevara a testimoniare il mio diritto di essere libero e di non dover rispondere a decisioni che io non ho preso e di cui non sono parte». 

Chiaro, no? È l’Uovo di Colombo, cotto alla coque e mangiato. «Vale la pena», consiglia alla signora Angela, «di seguire questa pista: Che Guevara è il segno della progressiva occidentalizzazione e del distacco dal vetero-comunismo ancora sventolato dalla dirigenza… Comincia un racconto che si intitola “Che Guevara contro il comunismo burocratico”. Sarà interessante scoprire come finisce». Chi vivrà vedrà. Interessante sì, ma soprattutto divertente: Guevara come eroe delle democrazie occidentali, alla pari di Churchill e Kennedy (quello che mandò le portaerei contro Cuba rischiando la guerra nucleare), nemico del comunismo burocratico in versione Unione Sovietica (quella che a Cuba piazzò le sue basi missilistiche e finanziò per decenni il regime di Castro). Davvero un Che inedito quello che ci inventa su due piedi e una scrivania Furio l’opinionista. Visto che Mick Jagger ha davvero ragione?