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CONTINENTE NERO

Fuga dalla malasanità dell'Africa

Li chiamano "turisti della salute": sono gli africani più ricchi che si fanno curare in costose cliniche private, molto spesso all'estero, fuori dal Continente Nero. Dove invece la sanità è ancora priva delle strutture fondamentali. Ma almeno un successo si registra: le campagne di vaccinazione stanno debellando le peggiori malattie infettive.

Esteri 29_01_2018
Ospedale in Africa

La campagna di vaccinazione contro la meningite A è stato uno dei più straordinari successi nella lotta alle malattie trasmissibili in Africa. È stata realizzata dopo che nel 1996, nei 26 stati della cosiddetta “fascia della meningite”, la malattia aveva colpito 250.000 persone e ne aveva uccise più di 25.000. Nei cinque anni successivi l’Organizzazione mondiale della sanità ha vaccinato 220 milioni di persone in 16 stati. Il risultato è che nel 2013 i casi registrati sono stati solo quattro.

Campagne di vaccinazione e altri interventi sanitari sono resi possibili in Africa grazie all’Oms, coadiuvata da organizzazioni non governative, fondazioni e stati donatori: fanno parte delle iniziative della cooperazione internazionale che, in questo come in altri settori, cerca di rimediare alla “distrazione” dei governi africani che ai servizi di base dedicano percentuali esigue dei loro bilanci, del tutto insufficienti. Sono interventi che assorbono enormi risorse, finanziarie e umane.

Non bisogna abbassare la guardia, ammonisce l’Oms, è sufficiente che sopravviva il focolaio di una malattia infettiva, che si trascurino i programmi di vaccinazione e altre epidemie possono dilagare di nuovo. In effetti quasi non passa giorno senza che in Africa venga lanciato un allarme, un appello ad agire con urgenza per arginare una epidemia o impedirne l’insorgere. Il 26 gennaio è giunta notizia che, malgrado gli sforzi compiuti, l’epidemia di colera che dal 2017 ha colpito la Repubblica democratica del Congo ha raggiunto la capitale Kinshasa, una città con 12 milioni di abitanti. Nel 2017 nel paese si sono registrati 55.000 casi e 1.190 decessi. Epidemie di colera sono in corso da mesi anche in Somalia, Ciad e Zambia. In quest’ultimo stato da ottobre sono morte almeno 60 persone e i casi individuati sono stati quasi 3.000. In Madagascar dal 2017 si lotta contro la peggiore epidemia di peste degli ultimi 50 anni. A novembre l’Oms ha inviato al governo oltre un milione di dosi di antibiotici.

In Nigeria un’epidemia di febbre di Lassa ha colpito dieci dei 36 stati della federazione. Si aggiunge ad altre emergenze: quelle più gravi sono il vaiolo delle scimmie, diffuso in 23 stati, il colera e la febbre gialla. Il colera, dapprima circoscritto ai campi profughi del nord est, ora minaccia altri stati. A settembre l’Oms ha previsto una spesa di dieci milioni di dollari per evitare una epidemia di grandi proporzioni. Il 25 gennaio, contro la febbre gialla, è stata avviata la più grande campagna di vaccinazioni mai realizzata nel paese, frutto della collaborazione di Oms e Unicef. L’obiettivo è vaccinare 25 milioni di persone.

La Nigeria inoltre è inclusa in un programma per mettere fine alle ricorrenti epidemie di meningite C che dovrebbe coinvolgere tutti i 26 stati della “fascia della meningite”. Ma occorre reperire almeno dieci milioni di dosi di vaccino. L’Oms il 22 gennaio ha sollecitato l’aiuto di paesi donatori, case farmaceutiche e partner tecnici perchè le scorte di vaccino esistenti non sono sufficienti.

Il costante monitoraggio e i mezzi straordinari disponibili a qualcosa servono. Meglio sarebbe se governi e popolazione africani si dimostrassero più solerti e responsabili. Ma dover impiegare così tante risorse nella lotta alle malattie trasmissibili fa si che manchino fondi per prevenire e curare altre malattie: e la loro incidenza come causa di invalidità e morte cresce. I dati dell’Oms indicano che in Africa nel 2015 le malattie non trasmissibili hanno causato 3,1 milioni di morti, il 33,5% del totale (il 29,4% in più rispetto al 2010): 451.000 africani sono morti di ictus, 441.000 di cardiopatie ischemiche, 174.095 di cirrosi epatica. 15,5 milioni di africani di età compresa tra 20 e 79 anni soffrono di diabete e l’Africa inoltre ha il più alto tasso di diabete non diagnosticato: il 69,2 degli adulti ammalati non sa di esserlo.

Il cancro sta diventando una delle principali cause di morte. Nel 2017 ha ucciso quasi mezzo milione di africani, più di quanti ne abbia uccisi la malaria. Uno sguardo ad alcuni paesi spiega come mai. In Costa d’Avorio, ad esempio, meno di un quarto dei casi di cancro al seno sono diagnosticati, la maggior parte delle diagnosi viene fatta troppo tardi e più della metà delle pazienti non si sottopone ad alcuna terapia perchè non ne ha i mezzi. Non fa meraviglia quindi che il tasso di sopravvivenza sia solo del 30%. Anche per chi è in grado di pagare, la possibilità di farsi curare in Africa è limitata. In tutta l’Africa occidentale solo quattro paesi – Ghana, Mauritania, Nigeria e Mali – dispongono di macchine per radioterapia. Lo scorso giugno l’ultimo oncologo impiegato nella sanità pubblica a Durban, Sudafrica, si è dimesso, come prima di lui altri colleghi, a causa dell’inadeguatezza delle attrezzature sanitarie. Tre medici che lavorano in strutture private hanno detto che presteranno servizio negli ospedali pubblici nel tempo libero. In Uganda l’unica macchina per la radioterapia del paese, che conta quasi 40 milioni di abitanti, si è rotta nel 2016, lasciando privi di cure migliaia di ammalati. È stata sostituita solo il 19 gennaio 2018.

Uno studio condotto presso l’Università di Città del Capo, Sudafrica, ha rivelato che la mancanza di personale e di attrezzature fa sì che in Africa il 2,1% di coloro che si sottopongono a interventi chirurgici muoia per complicazioni postoperatorie (più del doppio della media mondiale). Inoltre il numero degli interventi di chirurgia elettiva è 20 volte inferiore alle richieste.

Capi di stato e di governo, ministri, parlamentari, tutti gli africani miliardari si rivolgono a costosi ospedali privati, che garantiscono cure d’eccellenza. Se non basta, vanno a farsi curare all’estero, nei migliori ospedali del mondo. In Africa li chiamano “turisti della salute”.