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RIFORMA DELLA CURIA

Francesco svolta: prima l'annuncio, poi la dottrina

Nella nuova Costituzione apostolica “Praedicate Evangelium” Francesco cambia l’organizzazione della Curia romana ridimensionando Segreteria di Stato e Dottrina della Fede (che si chiamerà dicastero) e avoca a sé il controllo del nuovo Dicastero per l'evangelizzazione, che verrà prima di tutti gli altri per importanza. Considerare l’evangelizzazione come precedente la dottrina e non collegata ad essa in modo essenziale rappresenta un serio problema. 

Ecclesia 21_03_2022 English Español

Sabato scorso 19 marzo, festività di San Giuseppe, è stata promulgata la Costituzione apostolica  “Praedicate Evangelium” con cui Francesco cambia l’organizzazione della Curia romana, in sostituzione della attuale struttura stabilita nel 1988 da Giovanni Paolo II. La riforma, che entrerà in vigore il prossimo 5 giugno solennità di Pentecoste, è importante e su di essa si dovrà tornare, ma forse già adesso è possibile fare qualche considerazione sia sul metodo (come ci si è arrivati) sia sui contenuti (quale idea di Chiesa vi traspare).

I commenti hanno parlato di una riforma condivisa e partecipata. Andrea Tornielli su Vatican news ha scritto che è “frutto di un lungo lavoro collegiale”. Risulta però difficile credere che veramente sia andata così. Francesco, infatti, non ha mai convocato il Collegio cardinalizio per approfondire insieme ai suoi primi collaboratori – i cardinali – le maggiori questioni della vita della Chiesa. Nemmeno in occasione dei diversi Concistori per l’elezione dei nuovi cardinali questo è stato mai fatto. La riforma è stata pensata all’interno di un Consiglio ristretto di nove cardinali, poi scesi a sette (uno dei quali sostituito perché chiacchierato), i cui membri rappresentano un’unica linea teologica e pastorale e due di essi – i cardinali Maradiaga e Marx – destano punti interrogativi da più punti di vista. Nel complesso, quindi, è difficile parlare di “lavoro collegiale”.

Durante il suo pontificato Francesco ha strapazzato la Curia romana e in molti casi l’ha baypassata. Ha licenziato di punto in bianco e altrettanto di punto in bianco ha fatto licenziare, ha smentito cardinali di curia che avevano detto niente di più di quello che egli aveva detto loro di dire, ha cambiato gli officiali di interi dicasteri senza dirlo al rispettivo cardinale Prefetto. Spesso non ha consultato il Dicastero per i testi legislativi prima di pubblicare alcuni suoi documenti, non ne ha sottoposti altri alla Congregazione per la dottrina della fede come si è sempre fatto, ha nominato molti vescovi senza tenere conto dalle indicazioni della congregazione relativa. È risaputo che in questi ultimi anni il clima nella Curia romana era diventato molto difficile e richiedeva grande circospezione. Credo sia opportuno tenere conto anche di questi precedenti per capire lo spirito della nuova riforma.

Può essere utile anche ricordare qualche aspetto concreto. Alcune riforme ora stabilite dalla “Praedicate Envangelium” sono già state attuate, come ad esempio l’accorpamento di vari Pontifici consigli in un unico Dicastero. Il motivo era di risparmiare e guadagnare in efficienza, obiettivi che ora sono anche alla base della nuova Costituzione.

Ma è proprio vero che si è guadagnato in risparmio e snellezza? Il nuovo Dicastero per lo sviluppo umano integrale ha avuto un solo presidente (il cardinale Turkson poi dimessosi per motivi non chiariti) al posto di tre, ma tutto il personale dei tre ex Pontifici consigli Justitia et Pax, per la pastorale sanitaria e per i migranti è rimasto lo stesso, e in più con le inefficienze che ogni accorpamento necessariamente comporta. Ora la nuova Costituzione stabilisce l’accorpamento dei Pontifici consigli per la cultura e per i laici: si risparmierà su un Presidente ma è perlomeno dubbio che si possa andare molto più in là.

La riforma che maggiormente balza agli occhi e interroga il commentatore è la creazione del nuovo Dicastero per l’evangelizzazione, in cui vengono incorporati la storica Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli (Propaganda fide) fondata nel 1622 da Gregorio XV e il Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione istituito nel 2010 da Benedetto XVI. Il Prefetto di questo nuovo Dicastero (le Congregazioni si chiameranno, d’ora in avanti, così) sarà Francesco stesso: “Il Dicastero per l’Evangelizzazione è presieduto direttamente dal Romano Pontefice”. Questo aspetto della riforma sembra essere l’innovazione principale e su di esso vale la pena fare qualche osservazione.

Il nuovo Dicastero per l’evangelizzazione viene collocato in una posizione eminente, e infatti la Costituzione lo presenta per primo. La Segreteria di Stato – che la riforma non tocca quanto ad organizzazione interna ma chiama “segreteria papale” – risulta ridimensionata nella sua importanza, dato che a capo del nuovo Dicastero c’è lo stesso pontefice. La cosa può non stupire se si torna con la mente a quanto si rilevava sopra su come Francesco ha considerato la Curia negli scorsi anni.

Il punto veramente centrale però è un altro. Il Dicastero per l’evangelizzazione è posto in posizione eminente anche rispetto alla Congregazione, ora Dicastero, per la dottrina della fede. Ciò vuole significare, come anche afferma Domenico Agasso su Vatican Insider che l’annuncio del Vangelo precede la dottrina. Francesco ha spesso criticato la rigidità dottrinale e consigliato di non preoccuparsi di fare la proposta cristiana rispettando l’intera dottrina. Considerare ora l’evangelizzazione come precedente la dottrina e non collegata ad essa in modo essenziale rappresenta un serio problema.

L’annuncio deve sempre essere anche pienamente dottrinale perché la Dottrina è lo stesso Cristo che viene annunciato, il Logos Eterno del Padre. È vero che la Chiesa ha definito formalmente la dottrina dopo l’annuncio, nei concili ecumenici dell’antichità, ma l’originario annuncio nella fede apostolica conteneva già tutta la dottrina che in seguito venne definita.

La questione è delicata e merita una impegnata attenzione. Il problema è di chiarire se in questo modo si applica anche alla struttura della Curia la tesi teologica oggi prevalente del primato della pastorale sulla dottrina. Sarebbe un guaio.