Francesco e i MovPop, una possibile interpretazione
Cercare di comprendere la simpatia del Papa per i movimenti popolari ospitati in Vaticano. Spesso caratterizzati da nostalgie marxiste-rivoluzionarie sono radicati nelle periferie urbane e rurali in ambienti di povertà. Un mondo lasciato ai margini che non interessa più a nessun potente della terra. Ma che secondo il Papa può essere il motore di una svolta dell'economia del globo.
Ospitando in Vaticano lo scorso sabato 5 novembre il III Incontro mondiale dei movimenti popolari, 165 delegati provenienti da 65 Paesi, e poi ricevendone i partecipanti nell’aula Paolo VI, Papa Francesco ha compiuto un gesto che merita di venire considerato attentamente.
Eredi indiretti e lontani della stagione dei moti insurrezionali o comunque di protesta degli anni ’60-’70 del secolo scorso, questi movimenti, che oggi non suscitano più l’interesse di alcuna grande potenza, non trovano più spazio alcuno sulla grande scena internazionale. Non a caso sia in Italia che altrove in Europa la stampa ha dato scarsa eco all’evento salvo qualche passaggio del discorso del Papa citato senza darne il contesto. Ancora spesso caratterizzati da nostalgie marxiste-rivoluzionarie, questi nuovi movimenti popolari, diffusi soprattutto in America Latina, sono radicati nelle periferie urbane, rurali e industriali dove trovano spazio in ambienti di vecchia e nuova povertà: non solo tra i piccoli agricoltori e allevatori delle campagne più remote ma anche tra i nuovi poveri delle periferie metropolitane, come ad esempio i raccoglitori e riciclatori di scarti e rifiuti.
A questo mondo lasciato ai margini, cui nessun potente della terra è oggi interessato a prestare attenzione, Papa Francesco ha scelto invece di dare voce. E’ stato in pratica lui a far convocare a Roma nel 2014 il primo dei tre incontri, e nel 2015 è intervenuto anche al secondo recandosi per questo a Santa Cruz de la Sierra (Bolivia) dove esso aveva luogo. Il discorso che pronunciò in quell’occasione è un vero e proprio manifesto per un’economia alternativa a quella oggi predominante. La compagnia che ha raccolto su questa strada è abbastanza variopinta. Tra i nomi più noti dei partecipanti al III Incontro si va da don Luigi Ciotti, fondatore in Italia del Gruppo Abele e poi dell’associazione Libera, all’ecologista indù Vandana Shiva, all’ex presidente dell’Uruguay Pepe Mújica e all’argentino Juan Grabois, cofondatore del Movimiento de los Trabajadores Excluidos. Quest’ultimo è stato tra l’altro nominato consultore di Justitia et Pax, divenendo in tale veste una specie di alto rappresentante dei movimenti popolari presso la Santa Sede.
Buona parte della dirigenza di queste organizzazioni è lontana mille miglia dall’esperienza cristiana e dalla visione del mondo che la caratterizza. Un’ancor più larga parte accetta la convocazione ben lieta dell’alto accreditamento papale, ma non dà alcun segno di voler avere sintonia con quanto Francesco crede e insegna. Perché allora il Papa si rivolge loro con tanta speranza? Per chi come noi ha innanzitutto rispetto e assoluta stima per il Papato, presidio dell’unità della Chiesa, il cercare di comprenderne le ragioni viene prima di ogni altra cosa. Considerati attentamente i fatti e la situazione, ci sembra allora di aver capito che - al di là di chi oggi li rappresenta e malgrado le culture politiche che prevalgono nei loro leader - Francesco vede nelle masse degli esclusi dai benefici dell’odierna globalizzazione il possibile motore fondamentale di una radicale svolta dell’economia e della società del globo. E’ questo il concetto che ha ribadito nel suo discorso del 5 novembre scorso ai partecipanti al III Incontro: “(…) voi, i movimenti popolari, siete seminatori di cambiamento, promotori di un processo in cui convergono milioni di piccole e grandi azioni concatenate in modo creativo (…)”. Da questi movimenti Francesco spera venga appunto una spinta fondamentale al procedere di “un’alternativa umana di fronte alla globalizzazione dell’indifferenza” (…) “un progetto di vita che respinga il consumismo e recuperi la solidarietà, l’amore tra di noi e il rispetto per la natura come valori essenziali. È la felicità di “vivere bene” ciò che voi reclamate, la “vita buona”, e non quell’ideale egoista che ingannevolmente inverte le parole e propone la “bella vita”. Noi che oggi siamo qui, di origini, credenze e idee diverse, potremmo non essere d’accordo su tutto, sicuramente la pensiamo diversamente su molte cose, ma certamente siamo d’accordo su questi punti”.
A partire da tale speranza il Papa mette in guardia dagli schematismi ideologici di tradizione marxista affermando che “le soluzioni reali alle problematiche attuali non verranno fuori da una, tre o mille conferenze: devono essere frutto di un discernimento collettivo che maturi nei territori insieme con i fratelli, un discernimento che diventa azione trasformatrice “secondo i luoghi, i tempi e le persone”, come diceva sant’Ignazio. Altrimenti, corriamo il rischio delle astrazioni, dal “colonialismo ideologico globalizzante” che cerca di imporre “ricette sovraculturali che non rispettano l’identità dei popoli”. Invita poi alla pazienza ricordando che “questa germinazione, che è lenta, che ha i suoi tempi come tutte le gestazioni, è minacciata dalla velocità di un meccanismo distruttivo che opera in senso contrario (…)”.
A questo punto Francesco non ha esitato, citando i suoi predecessori, a proporre come punto di riferimento la dottrina sociale della Chiesa: “Quasi cent’anni fa, Pio XI prevedeva l’affermarsi di una dittatura economica globale”, ha continuato, “che chiamò «imperialismo internazionale del denaro» (Lett. enc. Quadragesimo anno, 15 maggio 1931, 109). Sto parlando dell’anno 1931! L’aula in cui ora ci troviamo si chiama “Paolo VI”, e fu Paolo VI che denunciò quasi cinquant’anni fa, la «nuova forma abusiva di dominio economico sul piano sociale, culturale e anche politico» (Lett. ap. Octogesima adveniens, 14 maggio 1971, 44). Anno 1971. Sono parole dure ma giuste dei miei predecessori che scrutarono il futuro”.
In conclusione ha ribadito la sua fiducia nei movimenti popolari da cui spera possa nascere non solo una nuova economia ma anche una nuova politica: “I movimenti popolari, lo so, non sono partiti politici e lasciate che vi dica che, in gran parte, qui sta la vostra ricchezza, perché esprimete una forma diversa, dinamica e vitale di partecipazione sociale alla vita pubblica. Ma non abbiate paura di entrare nelle grandi discussioni, nella Politica con la maiuscola, (…)Voi, organizzazioni degli esclusi e tante organizzazioni di altri settori della società, siete chiamati a rivitalizzare, a rifondare le democrazie che stanno attraversando una vera crisi. Non cadete nella tentazione della casella che vi riduce ad attori secondari o, peggio, a meri amministratori della miseria esistente. In questi tempi di paralisi, disorientamento e proposte distruttive, la partecipazione da protagonisti dei popoli che cercano il bene comune può vincere, con l’aiuto di Dio, i falsi profeti (…).
Il futuro dell’umanità, “non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. E’ soprattutto nelle mani dei popoli; nella loro capacità di organizzarsi ed anche nelle loro mani che irrigano, con umiltà e convinzione, questo processo di cambiamento» (…). A queste nuove forze, da cui spera la svolta epocale che si diceva, Francesco propone insomma di lasciarsi alle spalle le vecchie astrazioni ideologiche e di prendere invece come riferimento la realtà delle cose e la dottrina sociale della Chiesa. Tenuto conto della situazione è una bella sfida, che perciò merita in ogni caso il più grande apprezzamento.