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FOSCOLO. ASSOLUTO E ILLUSIONI/11

Fra grandi poeti e i giganti della storia

I sepolcri sono un carme di esaltazione della vita, della civiltà, della bellezza, non solo quella della natura, ma anche quella dell’arte e della poesia. Foscolo esalta i grandi sepolti in Santa Croce, tra questi Machiavelli, Michelangelo, Galilei, un politico, un artista e uno scienziato. Gli stessi citati nella lettera dell’Ortis.

Cultura 26_04_2015
Ugo Foscolo

I sepolcri sono un carme di esaltazione della vita, della civiltà, della bellezza, non solo quella della natura, ma anche quella dell’arte e della poesia. Foscolo esalta i grandi sepolti in Santa Croce, tra questi Machiavelli, Michelangelo, Galilei, un politico, un artista e uno scienziato, gli stessi cui ha fatto riferimento nella lettera del 27 agosto 1798 dell’Ortis. Machiavelli è descritto come colui che ha insegnato ai principi a governare e per la prima volta ha evidenziato le difficoltà dell’arte del comando, mostrando come lo scettro grondi di lacrime e di sangue. Con lui nasce la disciplina politica autonoma, cioè svincolata dalla morale. Michelangelo ha dipinto la Cappella Sistina, innalzando così un nuovo Olimpo in Terra per gli dei celesti (non più pagani), mentre Galilei ponendo il Sole al centro dell’universo ha aperto la strada della rivoluzione scientifica e alle ricerche dell’inglese Isaac Newton. 

Il numero maggiore di grandi presenti nel carme è, però, rappresentato dai poeti. Chi sono i maggiori scrittori di tutti i tempi per Foscolo? Aveva scritto Foscolo altrove: «Per me ho reputato grandissimi e veri Poeti que’ pochi primitivi di tutte le nazioni che la teologia, e la politica, e la storia dettavano co’ lor poemi alle nazioni: onde Omero, e i Profeti Ebrei, e Dante Alighieri, e Shakespeare sono da locarsi ne’ primi seggi». Due dei tre sono presenti nel carme. Evidentemente Foscolo aspira ad essere quarto tra cotanta schiera, il poeta vate della contemporaneità. Per questo invoca le muse, quando nell’ultima parte del carme deve innalzare il tono: «E me che i tempi ed il desio d’onore/ fan per diversa gente ir fuggitivo,/ me ad evocar gli eroi chiamin le Muse/ del mortale pensiero animatrici».

Il primo poeta che compare nell’opera è Parini, autore di versi satirici, capace di evidenziare i limiti e i vizi della società. Nonostante i suoi meriti artistici a lui «non ombre pose/ tra le sue mura la città, lasciva/d’evirati cantori allettatrice/ non pietra, non parola». Frivola e corrotta, Milano è città – a detta di Foscolo – che segue la moda e pensa solo a concedere onori ai cantanti evirati, così non ha tributato alcun riconoscimento al milanese di adozione, né un albero sepolcrale, né una pietra tombale, né un’iscrizione. Per Foscolo l’Editto di Saint Cloud ha creato delle fosse comuni dove finiscono i ladri e gli assassini così come pure i grandi. Nello squallido cimitero dove giace Parini si muove una cagna smunta e famelica, in mezzo a rovine di tombe e a teschi dove l’upupa si è nascosta per fuggire ai fastidiosi raggi della Luna. 

Ben diversa da Milano, Firenze è, invece, allietata dalla posizione particolare, dall’aria pura, dal fiume Arno, dalle convalli in festa per la vendemmia. La città è, però, ancor più fortunata perché per prima ha sentito i carmi che rallegrarono l’ira del «ghibellin fuggiasco». Volontariamente o no, Foscolo incorre qui in due errori: Dante non era un ghibellino, bensì un guelfo bianco finché non decise di far parte per se stesso; inoltre il poeta non iniziò la stesura del poema (per quanto risulta) prima dell’esilio, quando ancora si trovava a Firenze, per cui la città non fu la prima a sentire la soavità dei suoi versi. Due versi dedicati al Fiorentino sono sufficienti a mostrarne la grandezza e a documentare la funzione consolatoria della poesia, capace di dar conforto anche nelle situazioni più tristi. 

Terzo poeta che compare nel carme è Petrarca, quel dolce labbro di Calliope che ha rivestito l’amore che era nudo nella letteratura greca e romana e lo ha riportato in grembo a Venere Celeste. La poesia di Petrarca è musicale, armoniosa, scevra di carnalità, tutta protesa a descrivere l’aspetto psicologico e spirituale dell’amore. Pochi versi più tardi, quando l’attenzione è ancora tutta protesa a Firenze e a Santa Croce, Foscolo ricorda come Alfieri, solitario e animato da uno spirito patriottico, dopo aver errato là dove Arno era più deserto (privo di case), si recasse spesso a far visita a quella chiesa dove sono sepolti i grandi d’Italia, per trovare conforto e ispirazione, quando le vicende politiche sembravano negare la possibilità di un’unificazione dello Stato italiano. 

Infine, compare il poeta vate per eccellenza, l’innominabile, già definito con la perifrasi «colui che l’acque cantò fatali» in «A Zacinto». Ora nell’ultima parte dei Sepolcri prima della rovina di Troia Cassandra profetizza la distruzione della città, l’esilio dei Troiani, l’avvento di un mendico, cieco e povero, che vagherà per le tombe, penetrerà negli avelli ed interrogherà i morti. Il sacro vate placherà con il canto l’afflizione delle anime ed eternerà per sempre la memoria non solo dei vincitori, ma anche dei vinti: «E tu onore di pianti, Ettore, avrai,/ ove fia santo e lagrimato il sangue/ per la patria versato, e finché il Sole/ risplenderà su le sciagure umane». La poesia eterna anche chi, in vita, non ha avuto successo, anche chi ha perso. Chi è stato sventurato in vita, ma ha ben operato e compiuto grandi azioni, otterrà il giusto riconoscimento dopo la morte. Forse è un presagio della stessa sorte di cui Foscolo si sente investito?