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Fo in Rai per spiegarci papa Francesco. E noi paghiamo

Su Rai 1 Dario Fo ripropone "Lu Santo jullare Francesco", rifilandoci la solita lettura guitto-comunista del Poverello che ora accomuna il santo di Assisi a Papa Bergoglio. La Rai si scusa per gli anni di ostracismo, ma proprio quella è stata la fortuna di Fo e Franca Rame. E anche per questo ritorno a pagare siamo noi con il canone.

Cinema e tv 21_06_2014
Dario Fo

Ci sono personaggi che segnano se non la storia, almeno la cronaca. Che lasciano un’impronta, anche se somiglia a quegli sgorbi spray che gli imbrattatori chiamano murales. Insomma, personalità che restano nella memoria, nel bene e nel male. O più spesso, nel ridicolo. Ecco, Dario Fo è uno di questi: destinato a far ridere e a interpretare la parte del guitto pure quando fa sul serio. Cosa c’è infatti di più divertente e buffonesco di quell’improbabile Nobel per la letteratura a lui assegnato da un’altrettanta improbabile giuria di letterati? Son passati più di vent’anni da quell’imprevisto scherzo della cultura che lasciò di stucco il mondo, ed ecco che il nostro clown ormai vicino a festeggiare il secolo di vita (ne ha 91) torna a sorprendere con una delle sue. Anzi, una delle loro, dato che l’ultimo coup de théâtre del guitto, stavolta, ha la complicità di mamma Rai.

Domenica 22 giugno, in prima serata, l’ammiraglia della Tv di Stato, in splendida controtendenza rispetto “all’orgia calcistica dei Mondiali”, offre al gentile pubblico pagante  “Lu Santo Jullare Francesco", rilettura rivista e aggiornata (insieme al figlio Jacopo) di un’opera nata 15 anni fa e dedicata appunto al Santo di Assisi. Frutto, dice il buffoncello con malcelata umiltà, “di un lungo studio sui testi canonici del trecento e documenti affiorati negli ultimi tre secoli”. Insomma, mica un’operetta da tre soldi, semmai una fanta pièce popolare, a metà tra leggenda e storia (più la prima che la seconda) raccontata dalla parte degli oppressi, delle vittime di principi e cardinali e con espliciti accostamenti alla figura dell'attuale Papa Francesco. Ecco, qui sta la bella novità dell’antico testo rimasticato: i Francesco sono due, la Porziuncola e  il Vaticano, finalmente insieme per unire spade e crocefissi contro i nuovi sfruttatori e mercanti del tempio. 

Il regista la racconta così: “Essersi ritrovati con un personaggio non previsto come Bergoglio sembra un fatto magico“. Magico? Vabbè, non fermiamoci alle parole: come definire laicamente e altrimenti l’elezione di un Papa quando non si crede allo Spirito Santo? E poi si sa: per il maestro Fo, il Mistero non può che essere Buffo. Non solo. Sentite l’ardito paragone : “Tante le somiglianze tra il Pontefice sudamericano che si lancia senza mezze parole contro vescovi e cardinali troppo spesso sedotti dal denaro e dal potere e il santo medievale che si è messo a lottare contro i politici, le macchine del potere, la corruzione della Chiesa, dello Stato, degli uomini. A questo Papa tutti i cattolici e non guardano nella speranza di un mondo onesto”.

Amen e così sia:  il bacio della sacra pantofola ora è servito anche nella sua più pura versione guitto-comunista e grillina. Ci mancava giusto un Nobel papista nell’ammucchiata dei già affollato club scalfariano del Pontefice Buonasera. Con Dario in campo, il tiro della sottana del mite Bergoglio trova finalmente la sua versione umoristica.

Eppure a noi più che ridere viene da piangere. E non certo per il secolare Fo: da quasi un secolo recita la stessa parte in commedia (con qualche sbandamento solo in politica, da repubblichino a stalinista, da Darwin a don Gallo, da Di Pietro a Grillo, ma sempre e ostinatamente dalla parte sbagliata) e mica si può pretendere che cambi proprio adesso. No, le lacrime sono tutte per Rai Uno e per i suoi dirigenti. Sopra tutti, il direttore Giancarlo Leone che annunciando alla stampa la storica giullarata di domenica, è arrivato perfino a chiedere scusa al divino Fo per i 40 anni di ostracismo della tv di Stato. Lacrime più da coccodrillo che da Leone quelle del capoccia Rai, che si finge di non sapere che proprio grazie alla censura Fo ha costruito la sua fortuna. Fin dai tempi di Canzonissima 1962, quando fu cacciato dalla Rai per una sua battuta sulla mafia dei cantieri. “Se  Fo e Rame avessero continuato” ricordava qualche tempo fa il guru dei critici televisivi Aldo Grasso,”forse li avremmo confusi con Alberto Lionello e Lauretta Masiero,Corrado e Raffaella Carrà. Quella censura, invece, è stata la loro fortuna”. Ora invece, giù il cappello e vai con le scuse e il tappeto rosso.

Ma la cosa che più infastidisce è che nell’apologo dell’apostolo Dario (“tra i pochi grandi drammaturghi italiani”) cuor di Leone si guarda bene dal dire che Fo torna in onda grazie ai soldi di quegli italiani che continuano a pagare il canone del servizio pubblico. Che oggi, dice trionfalmente, è finalmente libero dopo decenni di occupazione berlusconiana. Capita la lezione, cari telespettatori e catto-beceroni del centrodestra che vi decidete a vendere l’anima alla sinistra teatrante e al renzismo dominante (forse le due cose coincidono). Pagate e beccatevi senza protestare che quel che passa l’allegro convento di badessa Rai e fra’ Dario.