Flotilla, un'operazione strumentale per destabilizzare
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La decisione di puntare su Gaza, malgrado gli appelli contrari dimostra che non di missione umanitaria si tratta ma di operazione ideologica. Una mossa per destabilizzare, contando sulla strumentalizzazione delle istituzioni da parte dei parlamentari italiani ed europei a bordo.

L’operazione Flotilla, nata ufficialmente come una missione umanitaria per portare soccorso e attenzione alla causa palestinese e alla popolazione di Gaza, si sta rivelando con sempre maggiore evidenza un’azione prettamente politica, carica di elementi simbolici e provocatori più che realmente diretta a garantire aiuti concreti. La vicenda ha subìto una brusca accelerazione dopo l’appello del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha esortato tutti a “fermarsi” prima che la situazione degenerasse e si trasformasse in un incidente diplomatico o, peggio ancora, in un evento tragico.
Le parole del Capo dello Stato sono sembrate stavolta particolarmente incisive e allarmate, segno di una consapevolezza istituzionale molto chiara: la Flotilla non è solo una spedizione navale con finalità umanitarie, ma è diventata un tassello in una più ampia strategia di tensione politica, orchestrata per mettere in difficoltà l’Italia e creare un caso internazionale dalle forti ricadute interne. È questa la chiave per comprendere appieno l’evoluzione della vicenda, che ha visto a bordo delle imbarcazioni dirette a Gaza anche parlamentari italiani ed europei, i quali, consapevoli del rischio, hanno scelto di intraprendere un’azione simbolica che però rischia di trasformarsi in una miccia accesa nel mezzo di una polveriera.
Non è un caso che la destinazione finale, in un primo momento genericamente indicata come la Striscia di Gaza, sia stata poi riconvertita in modo più concreto nella volontà di forzare rotte navali sotto stretto controllo israeliano, violando deliberatamente blocchi imposti per motivi di sicurezza. Il fatto che gli organizzatori abbiano insistito nel mantenere la rotta, pur sapendo dei rischi, dei limiti imposti, e delle possibili conseguenze diplomatiche e militari, è già un segnale chiaro che la finalità non è quella di portare aiuti materiali, ma di creare una frattura politica, un evento dal forte impatto, anche mediatico, un caso simbolico capace di scuotere l’opinione pubblica e destabilizzare il quadro politico.
Le similitudini con quanto accade da mesi nel Mediterraneo centrale con le ONG e il fenomeno migratorio sono fin troppo evidenti: anche in quel caso, sotto la bandiera dell’umanitarismo, si celano spesso obiettivi politici, logiche di scontro, e una volontà dichiarata di mettere sotto accusa l’operato del governo italiano. Le navi della Flotilla, infatti, non cercano veramente lo sbarco sicuro o la distribuzione razionale degli aiuti, ma puntano su una rotta precisa, quella che le porterà sotto i riflettori, a Lampedusa o a Gaza, purché si crei l’incidente, purché si forzi il blocco, purché qualcuno reagisca, e la notizia esploda.
In tutto questo, i parlamentari a bordo, rappresentanti delle istituzioni, eletti dal popolo italiano, assumono un ruolo ambiguo e pericoloso: invece di tutelare l’interesse generale e mantenere alto il profilo istituzionale, si espongono consapevolmente al rischio e lo creano anche per gli altri, mettendo in imbarazzo il governo, caricandolo della responsabilità di eventuali interventi di soccorso, e creando un precedente delicato. La loro presenza a bordo delle navi non è una garanzia di protezione, ma un moltiplicatore di tensione: un eventuale incidente con la marina israeliana, o con altre forze navali, rischia di trasformarsi in un caso diplomatico di portata europea, con l’Italia al centro di una polemica che non ha scelto né cercato. L’intera vicenda, dunque, si muove su un crinale pericoloso, in cui l’interesse per le sorti del popolo palestinese viene strumentalizzato per fini politici interni e internazionali.
Chi partecipa a queste missioni non può ignorare che i rischi non sono solo individuali, ma collettivi: ogni azione di questo tipo ha un prezzo in termini di sicurezza, di rapporti diplomatici, di reputazione dello Stato. Il richiamo del presidente Mattarella a “fermarsi” dovrebbe essere inteso come un invito al buon senso, alla responsabilità, alla misura. Non si tratta di negare il diritto alla solidarietà o all’impegno politico, ma di distinguere con chiarezza tra atti di aiuto concreto e gesti simbolici che diventano pretesti per lo scontro. La Flotilla, in questa fase, si configura sempre meno come una missione umanitaria e sempre più come una piattaforma ideologica galleggiante, utile a una parte politica per creare discontinuità, provocazione, e mettere alla prova le scelte del governo.
Ma uno Stato non può accettare che le sue istituzioni vengano usate in modo strumentale, e che i suoi rappresentanti si pongano in modo ambiguo rispetto al principio della lealtà costituzionale e all’osservanza delle norme internazionali. Le conseguenze di un eventuale incidente sarebbero gravi non solo per chi è a bordo, ma per l’intero sistema Paese: dal punto di vista diplomatico, si rischia un attrito con Israele e con i partner europei; dal punto di vista politico interno, si crea l’ennesima occasione di polemica e delegittimazione del governo; infine, sotto il profilo umano, si espongono vite a rischi che avrebbero potuto e dovuto essere evitati.
In conclusione, l’operazione Flotilla, per come si sta sviluppando, non appare come un’iniziativa guidata da criteri umanitari ma come una mossa ben studiata per creare pressione, destabilizzare, forzare la mano al governo italiano e innescare una crisi. È un’operazione fortemente politicizzata, e come tale va trattata: con la consapevolezza che non si possono sacrificare la sicurezza nazionale, la credibilità istituzionale e la vita delle persone sull’altare di una strategia mediatica. La politica estera, la solidarietà internazionale, e la protezione dei diritti umani sono cose serie, che richiedono strumenti adeguati, non provocazioni per immagini o navigazioni temerarie. In gioco non c’è solo il destino di una missione, ma la tenuta stessa del nostro sistema democratico.
La flottiglia che non fa il bene di Gaza
La grande operazione che vede coinvolte una cinquantina di imbarcazioni provenienti dai porti del Mediterraneo dirette a Gaza con un carico di aiuti umanitari, è in realtà un'operazione politica e propagandistica che fa l'interesse soltanto di chi la promuove.