Fiume di polemiche (inutili) per la statua del Vate
Trieste, la Fondazione del Vittoriale piazza una statua di D’Annunzio nel centenario dell’Impresa di Fiume. E il governo croato protesta. Per carità, niente difesa dell’occupazione, che fu più goliardica che politica, ma il Vate era anche un genio della letteratura. E poi, se i croati vedessero quali levate d’ingegno hanno avuto nel tempo i nostri amministratori… non si scandalizzerebbero.
Credevamo che solo da noi ci si dividesse ancora tra fascisti e anti, di cui, ovviamente, i secondi sono mejo dei primi, anzi i mejo e basta, i mejo a prescindere, con ben una sessantina di istituti per lo studio della Resistenza pagati anche dai nipoti dei repubblichini. Credevamo che solo da noi si stracciassero le vesti le custodi del fuoco sacro per una targa stradale, per una via, per un busto al Pincio di, che so, Mascagni o Pirandello che, ai loro tempi, ebbero la tessera del Pnf. Invece no, gli stracci volano anche in Croazia. Ebbene sì.
La Fondazione del Vittoriale ha creduto bene di piazzare sulla pubblica via a Trieste una statua di Gabriele D’Annunzio, il Vate, anche lui in odore di fascismo (in un’epoca in cui gli anti- erano tre di numero), e il governo croato ha protestato ufficialmente. Perché? Perché siamo nel centenario dell’Impresa di Fiume, impresa dannunziana tolta via, poi, dai cannoni italiani, mica croati. E Fiume non si chiamava ancora Rijeka. Dunque, che si vuole? Lungi da noi, che siamo kattolici, prendere le parti di un’occupazione, quella fiumana, più goliardica che politica, con tanto di feste pirotecniche, baccanali etero e omo, e coca.
D’Annunzio era, nel privato, quel che era e delle gesta eroiche ed erotiche del Poeta-Soldato tutti sappiamo. Epperò era anche un genio della letteratura e della drammaturgia, e questo devono riconoscerlo pure i croati, i cui geni letterari non possono dire di godere di altrettanta rinomanza. Premi Nobel che però erano anche, dato il tempo, fascisti di tessera, alcuni pure entusiasti, e non mi pare il caso di fare l’elenco delle personalità italiane di rilievo internazionale che col Ventennio furono in vario modo implicate, giacché non ci basterebbe lo spazio.
Capiremmo se la statua di D’Annunzio fosse in posa eretta e col braccio romanamente teso (nel qual caso ci avrebbe pensato l’Anpi nostrana a strillare); invece è seduta, pensosamente intenta a leggere un libro. Qualche strada più in là, sempre a Trieste, James Joyce e Italo Svevo hanno analoghe statue, tanto che, se continuano così, i triestini si ritroveranno senza più panchine per sedersi. A Porto Empedocle, per fare un esempio, hanno innalzato una pubblica statua a Montalbano, la creatura di Andrea Camilleri. Che era pure comunista. Ebbene, tutti quegli italiani a cui Montalbano non piaceva mica hanno fatto storie. Mica hanno tirato fuori che i telefilm su Montalbano sono interpretati dal fratello del segretario del Pd, e che l’editore Elvira era tesserata del Pci con tanto di importante incarico nel partito.
Le statue sono un problema per i piccioni, mica per la gente. A Roma hanno intitolato certi giardini a Lutero, senza che i papisti abbiano fatto una piega. Potremmo continuare con le levate d’ingegno delle varie amministrazioni comunali della nostra Penisola, che nei decenni hanno battezzato i luoghi secondo l’estro ideologico, ben attente a che gli avversari ideologici non riuscissero a piazzare i loro idoli. Sì, idoli, come fecero i piemontesi dopo il 1860, a cominciare da Giordano Bruno sparato di fronte al muso del Papa e per finire con le migliaia, sì migliaia, di statue, busti, targhe, monumenti ed edifici pubblici intitolati a Garibaldi. Non c’è quasi città, da noi, che non abbia una via Cavour, una piazza Mazzini, un viale Crispi.
E i croati si scandalizzano per una statua a D’Annunzio, peraltro in territorio altrui? Ma ci facciano il piacere (diceva Totò, il quale è venduto in migliaia di effigi diverse a Napoli)! Comico per comico, Walter Chiari e Carlo Campanini, negli sketch dei Fratelli De Rege, si dicevano l’un l’altro: dove vai? Vado a debuttare. E dove? A Fiume. E finiva con: ma vatti a debutta’ ar Fiume, va’! È il caso di dirlo. Anche se il primo era stato arruolato nella Rsi e il secondo passava più tempo da Padre Pio che non a teatro.